
Un piccolo damerino, con un abito settecentesco, la giacca in broccato, il panciotto, la camicia coi pizzi che escono dalle maniche, dal collo. I calzoni alla zuava. Fin qui, si direbbe, una immagine d’epoca, come le tante che si trovano nei musei d’arte, o nelle ville regali e nobiliari. L’immagine presenta però delle crepe, delle sfasature. Lo sfondo non è quello tipico dei ritratti cui siamo abituati, quanto piuttosto uno scenario post-apocalittico, o quantomeno post bellico. Macerie, distruzione, giocato su ovvi toni grigi. Altro dettaglio, ancora più evidente, il piccolo damerino, ha gli occhi luminosi. Non nel senso di particolarmente vivaci, per essere chiari, ma nel senso che a vederlo sembra che i bulbi oculari siano stati sostituiti da due luci accecanti. Anche quel che il piccolo damerino tiene in mano sembra una lattina, un oggetto cilindrico che difficilmente ci richiama alla mente un’epoca passata. Il piccolo damerino, proprio per questi dettagli in apparenza sbagliati, potrebbe potrebbe indurre a pensare uno spettatore distratto, distratto ma comunque con un buon bagaglio culturale, che si tratti di una copertina aggiornata di una qualche raccolta Streampunk, non per niente in quella dello storico Mirrorshades, curato da Bruce Sterling ormai trentanove anni fa, santo Dio. Due occhi luminosi laddove ai tempi facevano bella mostra di sé un paio di occhiali a specchio, che Mozart, lui campeggiava in quella copertina, protagonista dell’omonimo racconto dello stesso Sterling in compagnia di quel mezzo genio di Lewis Shiner (va beh, il titolo era Mozart in Mirrorshades, Mozart con gli occhiali a specchio, ma da lì partiva tutto), che Mozart, dicevo, fosse basso di statura è cosa nota, anche se qui si tratta chiaramente di un bambino. Magari un prequel di quel testo, anni fa, davvero tanti anni fa, quando ero da pochissimo arrivato a Milano, sono ventotto anni in questo 2025, ho scritto un testo teatrale dal titolo Chi era Wolfgang, portato in scena con Mauro Ermanno Giovanardi, leader dei La Crus nella parte di, qualcosa sempre piuttosto attinente al cyberpunk, per altro. Comunque, questa non è la cover di un prequel di Mirrorshades. E non è la cover di una nuova edizione di Chi è Wolfagang?, con magari Fulminacci al posto di Giò dei La Crus. No, è la copertina, e so che parlare di copertine per i singoli digitali, cioè i soli singoli che circolano in questi tempi, fa ridere, perché lo streaming, se possibile, ha davvero reso inutile un lavoro di grafica e estetica a riguardo, ma questa resta comunque la copertina del nuovo singolo dei Primus, Little Lord Fentanyl, il primo da quando è uscito il loro ultimo lavoro, l’EP Cospiranoid, altro titolo geniale, nel 2022, stavolta in compagnia di Maynard James Keenan dei Tool, A Perfect Circle e Puscifer, e mica per caso presentato proprio mentre il trio in questione sta accompagnando in tour A Perfect Circle e Puscifer per il 60 V2.0 Tour, tour di festeggiamento per il sessantesimo compleanno del di Keenan. Singolo, poi lascio da parte queste noiose notazioni giornalistiche, che vede per la prima volta dietro le pelli, leggi alla voce batteria, il nuovo acquisto John Hoffman, subentrato a Tim Herb Alexander dopo una selezione che lo ha visto giocarsela contro oltre seimila concorrenti. Un nuovo singolo dei Primus, come di qualsiasi realtà che veda coinvolto Les Claypool, che dei Primus è bassista, cantante oltre che indubbio leader, è qualcosa da festeggiare. Come quando esce qualcosa che porti la firma di Mike Patton, Serj Tarkian, John Zorn, Bill Laswell, Buckethead, troppi i nomi da fare qui e ora. Little Lord Fentanyl, i titoli non è che si trovino lì per caso, è una delle tipiche canzoni solo in apparenza surreali di Claypool, uno che in quanto a stramberie si è sempre messo in evidenza. In realtà, si potrebbe azzardare, ancora una volta una fotografia messa parecchio a fuoco di uno spaccato di realtà contemporanea, l’America, quella degli Stati Uniti, in primo piano. Anche se ovviamente non è ambientato negli USA, ma in Inghilterra, la visione della terza stagione di Gangs of London che sta accompagnando la mia scrittura odierna, come sempre cupa e iperviolenta, è non a caso incentrata sull’arrivo nella capitale inglese del Fentanyl, l’antidolorifico a buon mercato che ha già trasformato i tossici americani in una sorta di zombie incapaci anche di mangiarsi i vivi. Quando si dice stare sul pezzo.
Guardavo proprio ieri Theory of Obscurity: a film about The Residents, visione assolutamente consigliata a chiunque guardi alla musica per cercare stimoli intellettuali. La stravagante band americana, quella dei tizi di cui si ignorano le identità, i visi occultati dalle famose maschere a forma di bulbi oculari, col loro muoversi tra avanguardia e arte performativa, sono indubbiamente stati una delle fonti di ispirazione iniziale di Claypool e soci, al punto che Les è uno degli artisti le cui dichiarazioni e i cui aneddoti fanno da contrappunto alla storia della band nel documentario. Da quel documentario si evince che ai Residents intessi davvero poco di apparire come singole parti di un intero, l’anonimato difeso con tenacia negli anni, tanto quanto interessi di mettere in scena qualcosa di unico, disturbante, conturbante, affascinante. Mica per caso uno dei loro spettacoli, loro che a lungo si sono tenuti alla larga dalle scena, si intitolasse The Freak Show, ovviamente nulla a che spartire con quello omonimo portato recentemente in giro da tale Naska, Dio lo perdoni. Chi meglio dei Primus, oggi come oggi, potrebbero portare avanti un freak show? Loro che hanno scritto e interpretato la sigla di South Park, sì, è loro quel jingle straniante che apriva le puntate di una delle più iconiche e politicamente scorrette serie tv a cartoni animati di sempre, o che nonostante non abbiano mai concesso nulla a una fruibilità anche vagamente pop, mica per niente un loro lavoro si intitolava Anti-pop, hanno comunque venduto oltre cinque milioni di copie, passando spesso per MTV e finendo per vincere un paio di Grammy Awards, il tutto al suono di un hard rock psichedelico, funky e assolutamente votato al prog, infarcito di testi surreali e immaginifici. Loro, poi smetto, giurin giurello, che hanno portato in tour la propria versione di un intero album dei Rush, trio canadese di cui Claypool è sempre stato grandissimo fan, A Farewell to the Kings, nel 2020, e che sei anni prima avevano fatto lo stesso con la colonna sonora di Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolata, film del 1971 diretto da Mel Stuart e interpretato da Gene Wilder, tratto dall’omonimo romanzo di Roald Dahl (il remake di Tim Burton del 2005, intitolata semplicemente La fabbrica di cioccolato, presentava un’altra colonna sonora a firma Danny Elfman, incidentalmente anche autore della sigla dei Simpson, che di South Park per un po’ è stato competitor, vincendo comunque sulla lunga distanza). Già che ci sono ho anche un rigurgito di nerdosissimo spirito giornalistico, e sia messo agli atti che dentro Anti-pop, considerato da Claypool il peggior album dei Primus insieme al Brown Album, rispettivamente del 1999 e 1997, sesto e quinto album di studio, lo so che generalmente si procede in avanti, parlando di spazio e di tempo, ma sto parlando dei Primus, essere storti mi sembra il minimo, sia messo comunque agli atti che dentro Anti-pop ci sono collaborazioni di gente come Tom Waits, Les era dentro il suo Bone Machine del resto, Stewart Copeland dei Police, Fred Durst dei Limp Bizkit, James Hetfield dei Metallica (che provarono a assoldare Claypool come bassista, evidentemente senza riuscirci), Tom Morello dei Rage Against the Machine, la trickyana Martina Topley-Bird e lo stesso Matt Stone, creatore con Trey Parker del già menzionato South Park. Per altro, non ne ho certezza ma credo di non essere lontano dalla verità, proprio questa continguità con South Park ha fatto sì che i Primus non finissero mai dentro un episodio dei Simpson, sorte toccata invece a un numero altissimo di loro colleghi, dai Green Day, addirittura dentro il film andato nei cinema, agli Smashing Pumpkins, protagonisti insieme ai Cypress Hill di un episodio incredibile ambientato al Lollapalooza, rinominato HomerPalooza, via via, fino a Bob Dylan, gli Stones e chi più ne ha più ne metta. Essersi privati di una faccia surreale come quella di Claypool deve essere stato alquanto doloroso per Matt Groening, che dei Simpson è il creatore. E dire che anche lui è uno degli artisti intervistati in quel Theory of Obscurity dedicato ai Residents, a sua volta grande fan della band californiana d’adozione. Passione che per altro Groening ha anche per Doctor Who, più e più volte apparso sia nella serie dei Simpson che in quella futuristica chiamata Futurama, quasi sempre sotto le spoglie mortali di Tom Baker, incidentalmente anche il mio preferito, o del più recente David Tennant. Ecco che mi sto di nuovo perdendo in nerdismi inutili e ridondanti. Inutili e ridondati fino a un certo punto, a dire il vero, perché vedendo il protagonista della copertina di Little Lord Fentanyl, diciamolo, noi amanti del Dottore non abbiamo potuto non pensare a qualche remoto episodio della serie che si rifaceva chiaramente a Il villaggio dei dannati, da non confondersi con Il viaggio dei dannati, che è un episodio speciale, del 2007, con sempre Tennant nei panni del protagonista e di una smagliante Kylie Minogue in quelli della coprotagonista nei panni della cameriera della astronave da crociera Titanic. A Kylie Minogue, nei panni di Kylie Minogue, Paul Morley ha dedicato pagine e pagine del suo libro cult Metapop- Storia del pop dal Big Bang a Kylie Minogue, libro che è in parte uno dei motivi per cui mi sono a un certo punto preso la libertà di scrivere come scrivo. Tutto torna, come in un loop o un giro di basso.