
Il primo ricordo che ho, parlo del primo ricordo in assoluto, risale al 21 gennaio 1972, nono compleanno di mia sorella Caterina. Io avevo poco più di due anni e mezzo, quindi tecnicamente, mi dicono quelli che hanno studiato la psiche, è impossibile sia un ricordo reale, quanto piuttosto una mia elaborazione di fatti che mi sono stati raccontati. Può essere, nei fatti il mio primo ricordo è di quella sera, quando la città nella quale ero nato il 2 giugno del 1969, venne colpita da una tremenda scossa di terremoto, costringendo la mia famiglia a lasciare la casa nella quale vivevamo, e nella quale non saremmo mai tornati, in fuga a fare gli sfollati prima a casa di amici a Vicenza, poi dalla famiglia di mio zio Sandro, marito della sorella di mia madre, mia zia Giuliana, a Senigallia. Un terremoto tremendo che ha devastato la città nella quale sono nato e cresciuto, rimasta miracolosamente in piedi solo perché città fortemente sismica e quindi città che col tempo aveva provato a tirare su delle difese, per quanto sia possibile tirare su difese contro una forza della natura come un terremoto, con quelle giunture di metallo che tenevano attaccati tra loro i palazzi del centro storico, quelli più nuovi costruiti seguendo le norme antisismiche. Io quella sera avevo un pigiama a tutina celeste, e a tavola avevo mangiato la cotoletta, che dalle mie parti si chiamava e forse si chiama tuttora “fettina impanata”, dentro il mio piatto preferito dei tempi, a sua volta celeste e con la faccia di una paperella gialla in sovraimpressione. Ricordo perfettamente il momento in cui è arrivata la scossa, potente, un attimo prima che mi cadesse in testa il tubo della caldaia, alle mie spalle. Dovessi poi dire a quando risale il mio secondo ricordo temo che dovrei andare molto avanti nel tempo, probabilmente ai tempi dell’asilo, che per me era la scuola materna, e poi via via fino alla tarda adolescenza. Ho pochissimi ricordi, sfocati, e ho deciso che non avrei mai indagato sul perché il mio subconscio o chi per lui abbia fatto questo lavoro accurato di rimozione. Quella sera, però, me la ricordo bene, ricordo reale o ricostruito che sia. In televisione, una televisione in bianco e nero, a casa mia quella a colori sarebbe arrivata molto tardi, nel 1990, per i Mondiali di calcio dell’Italia di Totò Schillaci, quello delle Notti Magiche di Edoardo Bennato e Gianna Nannini, canzone orribile scritta da Giorgio Moroder, figuriamoci, in televisione, dicevo, stavano dando l’ultima puntata di una serie televisiva, ai tempi si sarebbe detto sceneggiato, a tema fantascientifico, A come Andromeda. Ovviamente questo lo so perché me lo hanno raccontato, non certo perché me lo ricordassi. Ecco, tutta la città di Ancona non ha idea come quella serie sia andata a finire, perché il terremoto ci mise tutti in fuga, in buona parte della città andò via la luce e comunque nessuno se ne restò in casa per uno stupido sceneggiato televisivo. Anni dopo, nel 1992, guidata da Vincenzo Guerini e con Massimo Gadda come capitano, l’Ancona sarebbe tornata in serie A, tecnicamente devo dire tornata anche se la prima e unica volta che c’era stata era durante il fascismo, per volontà di Mussolini che voleva tutte le squadre dei capoluoghi di regione nella massima serie, e lo slogan che accompagnerà quella promozione sarà A come Ancona, diciamo che a livello di fantasia si sarebbe potuto fare di meglio. Decisamente fantasioso è stato l’anno scorso l’attuale sindaco di Ancona, il primo di centro destra, Daniele Silvetti, il quale per mettere una pezza all’ennesimo fallimento della squadra di calcio, a memoria cinque negli ultimi trent’anni, ha ben pensato di richiamare in città proprio Guerini e Gadda, il primo come presidente onorario della rinata squadra, il secondo come allenatore, idea geniale che però è poi miseramente naufragata dopo un solo anno, Ancona è una piazza evidentemente assai difficile per il calcio.
Comunque il 21 gennaio 1972 è andata in onda l’ultima puntata di A come Andromeda, a nessuno dei miei concittadini ha saputo come fosse andata a finire, almeno fino all’arrivo di internet.
A mia memoria, ma qui mi baso su ricordi ancora più flebili, almeno altre due volte mi è capitato di non sapere come andasse a finire qualcosa che avevo seguito, nel caso di A come Andromeda direi in maniera piuttosto distratta.
Entrambe le volte che andrò a citare, senza essere riuscito a ricostruire perfettamente la cosa, è successo nel 1978, anno non particolarmente felice per la nostra povera patria. La prima volta è successo quando doveva andare in onda l’ultima puntata di Goldrake, il primo anime, anch’esso fantascientifico, trasmesso da quello che allora era il secondo canale della RAI. Pur essendo parte di una trilogia che comprendeva anche Mazinga Z e Il grande Mazinga, tutte ideate dal genio Go Nagai, con Goldrake come ultima parte, da noi l’esordio in tv toccò proprio al robot in questione, col titolo Atlas Ufo Robot e le due canzoni famose come sigla, Ufo Robot e Goldrake, quest’ultima poi ripresa nel 2005 dal cantautore Fabio Caraturo in una versione acustica e assolutamente malinconica. Sempre di quegli anni la leggenda, o meglio in quegli anni è ambientata una leggenda successiva che vuole fosse Piero Pelù a cantare la sigla di Jeeg Robot d’acciaio, notizia smentita da tempo ma che ogni tot torna in circolo, come la varicella intorno a giugno. Il motivo per cui la puntata non andò in onda, è stato Giuseppe Genna a ricordarmelo, scrittore geniale nato nel mio stesso anno e col quale mi sono passato la poltrona negli uffici della Mondadori, a cavallo tra gli anni Novanta e gli anni Zero, il quale da qualche parte ha raccontato come proprio nel giorno in cui l’ultima puntata di Goldrake era prevista è stato ritrovato in via Caetani, a bordo della famosa Renault 4 Rossa il cadavere di Aldo Moro. In realtà, una veloce ricerca online mi dice che le cose non dovrebbero essere andate esattamente così, perché l’ultima puntata di Atlas Ufo Robot, cioè Goldrake, è andata in onda il 6 maggio 1978, mentre il corpo di Moro è stato ritrovato il 9 maggio dello stesso anno, tre giorni dopo, per ritrovare parte dei suoi memoriali si sarebbe dovuto invece aspettare molto più tempo, nell’ottobre del 1990 durante lavori di ristrutturazione di un appartamento in via Monte Nevoso 8, a Milano, e non a Roma, togliendo un cantinfoglio saltarono fuori.
Del terzo episodio non ho trovato traccia, ma ho a sua volta un ricordo abbastanza preciso. Prima dicevo come ne avessi pochi, cosa che confermo, ma per dire, ricordo perfettamente quando il giorno in cui Moro venne rapito in via Fani, con gli uomini della sua scorta uccisi dalle BR, il 16 marzo del 1978, mia madre mi prese e mi portò a scuola per avvisare le maestre di quel che stava capitando, quel giorno ero rimasto a casa perché non stavo molto bene. Sul perché abbia fatto ciò non ho mai avuto risposte, magari stasera quando chiamerò giù in Ancona proverò a indagare, ma io e mia madre che andiamo dalla casa di Via Vittorio Veneto fino alle scuole Faiani, in via Oberdan, di fretta, con un’aria di sventura, me lo ricordo bene, così come mi ricordo le manifestazioni nelle quali i cortei di estrema sinistra urlavano lo slogan “fascisti carogne tornate nelle fogne”, io a chiedere sempre a mia madre chi fossero quei fascisti che dovevano tornare nelle fogne come i topi. Sapere che in quegli anni, esattamente nel 1975, lo ricordo perché in tv guardavamo lo sceneggiato Michele Strogoff, un eroe col mio nome che a un certo punto diventava cieco perché qualcuno gli appoggiava un ferro incandescente sugli occhi, roba davvero cruenta, quando mia madre venne ricoverata per un problema di salute, passai serate e serate a casa di mia nonna Fiorina, con le zie che non si erano sposate Giuseppina e Teresa, parlo della famiglia di mia madre, a sentirmi lettere le lettere dei partigiani condannati a morte potrebbe darvi l’idea di come io sia cresciuto, non vi bastasse leggere come e cosa scrivo. Tornando al terzo ricordo, in realtà ennesimo, ho chiaramente in mente il momento in cui alla televisione hanno dato notizia che era morto Papa Paolo VI. Lo ricordo perché stavo guardando in televisione la replica di uno strano sceneggiato, sì, la mia vita da giovane era scandita dagli sceneggiati, che aveva per protagonista un condottiero che sapeva farci con la spada quanto col canto, interpretato dal cantate preferito di mio padre, Domenico Modugno. Lo sceneggiato era Scaramouche, in realtà trasmesso la prima volta nel 1965, leggo online, e replicato più volte, ma non sono riuscito a risalire quando. Essendo Papa Paolo VI morto il 6 agosto del 1978, mi sorge il dubbio che potrebbe anche non essere quello il motivo della sospensione dell’ultima puntata di Scaramouche, anche perché nel mio ricordo mia madre stava guardando la televisione mentre stirava, pratica non agevolissima il 6 di agosto, anche se allora non c’erano ancora i cambiamenti climatici. Potrebbe essere stato l’annuncio del pontefice successivo, Giovanni Paolo I, il 3 settembre, o la sua morte, il 28 dello stesso mese, o l’annuncio della salita al soglio pontificio per Giovanni Paolo II, il 16 ottobre. Ora, mentre la Rai ha annunciato recentemente che nei prossimi palinsesti verrà riproposta la serie originale di Goldrake, quella appunto di nome Atlas Ufo Robot, complice il successo della recente messa in onda del recente Goldrake U, immagino che volendo, ma proprio volendo volendo, sarebbe facile trovare un qualche sito che riporti tutte le volte che questa o quella serie tv è andata in onda, mia madre, interpellata nel mentre, non ricorda, ma direi che è abbastanza irrilevante stabilire se in effetti io abbia o non abbia mai visto come andava a finire Goldrake come Scaramouche, mentre penso sia un filo più rilevante constatare che la mia atavica assenza di memoria, o la mia memoria selettiva capace di ricordare solo faccende evidentemente rilevanti solo per me, mi abbia col tempo spinto di gran foga verso un lavoro fatto di parole e di trame inventate, non sai come è andata a finire qualcosa?, no problem, ci penso io.
Spostando il discorso in musica, e in fondo è di musica che mi occupo per la più parte del tempo nel quale scrivo, posso dire che la mia atavica mancanza di memoria mi è spesso di sollievo, perché mi impedisce, forse qui il subconscio dimostra nei miei confronti una benevolenza anche immeritata, di ricordare brutture che non farebbero che rendere la mia vita quotidiana un inferno, io a ascoltare per lavoro canzoni che non hanno evidentemente me come pubblico di riferimento, sempre che esistano canzoni che hanno me come pubblico di riferimento. Discorso che d’estate si fa ancora più radicale e violento, non perché io odi l’estate, come Bruno Martino, tutt’altro, ma perché d’estate in genere tutti o quasi tirano fuori il loro lato più superficiale, lato più superficiale che coincide, vai poi a capire perché, con canzoni effimere e vacue, spesso talmente brutte da essere chiamati con quel nome che fa riferimento al tormento, non certo qualcosa di cui andar fieri, a occhio. Certo, grazie o per colpa di Amadeus e dei suoi Festival, magari non tutti ma almeno gli ultimi tre, i tormentoni sono diventati pratica praticabile tutto l’anno, già a febbraio a sentire canzoni che in genere avremmo ascoltato d’estate, senza però il beneficio del caldo, del mare, della salsedine e di qualche culo da rimirare in spiaggia, rimirare culi è pratica ambosex, non mi si tacci di sessismo, ma d’estate è un’esplosione di queste canzoni, al punto che quest’anno se ne sono salvati, nel senso che si sono salvati dall’oblio, o forse sono emersi dal grande calderone che li contiene in partenza, la giustamente vituperata Spotify, giusto un paio, Me Gustas Tu di Alfa e non saprei neanche indicare la seconda. Non volendo però parlare dell’ovvio, di quanto cioè Alfa sia a fuoco nel suo cammino discografico, un giovane artista che sembra davvero non sbagliare un colpo da oltre un anno, è su una canzone che, il mondo si adeguasse al mio raffinato gusto musicale, raffinato non necessariamente nel senso di elegante, quanto piuttosto di frutto di studio e esperienza, sono un critico musicale e studiare musica è appunto il mio mestiere, ecco, voglio parlarvi di una canzone che, il mondo seguisse il mio raffinato gusto musicale, sarebbe la canzone lì a contendersi lo scettro di canzone dell’estate 2025 senza se e senza ma, che poi nella vita non si sa mai, non è poi detto che la faccenda non possa finire così. Parlo di un brano della talentuosissima cantautrice e dj Elasi, ve ne avevo già parlato qui https://361magazine.com/elasi-una-sirena-incanta-a-san-marino/, che insieme alla collega e producer Plastica ha tirato fuori una mina dal titolo Amore Godzilla, sempre il medesimo immaginario nipponico dal quale è arrivato a noi Goldrake, mostro generato dall’orrore atomico che ha devastato ottant’anni fa di questi giorni Hiroshima a Nagasaki a averlo tirato fuori dalla fantasia dei superstiti. Una canzone fresca, che attinge da sonorità esotiche che hanno il Brasile ma soprattutto l’Africa come centro nevralgico, e che ambisce come i brani estivi devono appunto fare a farci svagare, ma senza ammorbarci coi soliti giri e i soliti suoni, e soprattutto con quel povero vocabolario che non fa altro che ruotare intorno a cocktail e nomi di città esotiche per costruire testi che fanno sembrare in genere il Pulcino Pio opera di sommo poeta. Il tutto con una spruzzata di sensualità talmente naturale da non infastidire, in quanto non ostentata come fosse un dovere. Ecco, Amore Godzilla è un ricordo che il mio subconscio non ha prontamente rimosso, evviva Elasi, evviva Godzilla, evviva Amore Godzilla.