Negli ultimi anni abbiamo visto spuntare come funghi sotto la pioggia vagonate di podcast, alcuni intrattenenti, divulgativi e interessanti, altri che ti chiedi: ma perché? Chi lo guarda?
Altri ancora, i peggiori, sono quelli di cui vi parlerò oggi, che fanno più danni che altro.
Oggi vi parlerò della puntata 17 del podcast “Lo Sperone”, che fortunatamente, dopo vagonate di critiche, è stata rimossa, ma non abbastanza in fretta da non essere stata ricondivisa da altre pagine online.
In questa puntata vediamo due conduttori intervistare il figlio di Riina, esatto quel Riina.
Giuseppe Salvatore Riina è lì in qualità di figlio di Totò Riina, boss di Cosa Nostra, ma non per fare sensibilizzazione sulla mafia, non per prendere le distanze e criticare il padre, no.
E’ lì per omaggiarlo, per far presente quanto fosse un padre amorevole, divertente, un marito fedele, un uomo inquadrato, con dei valori: amore, dedizione, coraggio, un uomo che si è fatto da solo.
Giuseppe Riina esordisce invocando la democrazia, dicendo quanto sia importante difendere la libertà di esprimersi, curioso detto dal figlio di un mafioso, dal quale non ha mai preso le distanze.
Sì, perché è importante sottolineare quanto la Mafia sia la cosa più antidemocratica che esiste, quanto la Mafia rappresenti l’assenza di libertà, in ogni punto di vista, ecco perché risulta assurdo detto dal figlio di Totò Riina: un uomo che negato la libertà a moltissime persone.
Giuseppe però non si limita a questo, peggiora il tutto negando la responsabilità del padre su alcune stragi, come quella del 1992, dicendo che il padre è stato incastrato e arrestato perché fastidioso per il sistema.
Questo è gravissimo, non solo perché deresponsabilizza un mafioso, del calibro di Riina, ma anche perché umanizza un uomo, cercando di indurre all’empatia, al martirio, alla visione di vittima dello stato, giustificando, in un certo senso, la sua violenza, come se fosse legittima difesa da un sistema che ci va contro e non ci è alleato.
Per tutta la puntata Totò Riina viene dipinto in maniera santificata, viene elogiato e raccontato come un uomo che, a seguito di tante difficoltà, la perdita del padre a 14 anni per esempio, si è trovato all’interno di un mondo difficile, ma rimanendo una persona buona, con sani principi.
Viene detto che Riina non fosse un uomo violento, confermato anche dalla sua posizione di padre e marito amorevole, il figlio lo dipinge come un padre buono, presente e divertentissimo.
Per tutta la puntata non vengono mai ricordate le vittime, non viene mai ricordata la violenza, il terrore e neppure la Mafia, per quello che davvero è, solo un lungo memoriale di una persona che ha terrorizzato e tolto la vita a un sacco di gente, e si ritorna sempre alla solita narrazione mafiosa che ancora oggi viene utilizzata: l’uomo d’onore che è costretto a fare certe cose, ma di buon cuore e sani principi.
La Mafia viene, ancora una volta, dipinta come una storia pittoresca, da film, allontana dalla realtà e normalizzata, perché ancora adesso permane e nessuno fa niente.
Boss come Totò Riina, che hanno tolto la vita a centinaia di persone, devono essere raccontati per quello che sono stati: assassini, niente di più niente di meno, l’umanizzazione in questi casi non serve a niente.
Umanizziamo le vittime piuttosto, che una voce non ce l’hanno mai avuta.