Jep Gambardella, che grande perssonaggio. Autore di un solo libro, L’apparato umano, e in virtù di questo divenuto critico cinematografico e giornalista, soprattutto esperto navigante nei flutti romani, in quei salotti e terrazzi che sono la perfetta location di La grande bellezza, film di Paolo Sorrentino premio Oscar nel 2013. Un cinico disincantato con la faccia iconica di Toni Servillo, le giacche colorate, le battute fulminanti, lo sguardo di chi in fondo tende a rimanere a galla. In un film così immaginifico, Roma protagonista assoluta, riesce a spiccare per la propria dolenza, tanto quanto per la propria indolenza, come solo i grandi personaggi sanno fare.

Anni fa, ancora il Covid era lì da venire, ho scelto di usare una sua immagine, sua di Sorrentino, certo, ma con Jep Garbandella come protagonista, per farci la comunicazione del mio format a Sanremo, durante il Festival 2020. C’era Jep seduto sotto un imponente monumento romano, le gambe accavallate, i pantaloni bianchi, la giacca gialla. Lo slogan che avevo scelto, quello dal quale ero partito per poi lavorare sulle immagini, era il suo: “Io non volevo solo partecipare alle feste, volevo il potere di farle fallire”. Eravamo nel bel mezzo dell’inchiesta che avevo fatto partire sul conflitto di interessi dell’allora direttore artistico del Festival, Claudio Baglioni, e del suo manager Ferdinando Salzano, a capo del colosso Friends and Partners, inchiesta poi ripresa da Dagospia e esplosa definitivamente grazie a Pinuccio e ai suoi servizi su Striscia la Notizia, inchiesta che avrebbe portato alla brusca interruzione della striscia di Sanremo diretti dal cantautore romano, Amadeus chiamato in fretta e furia a sostituirlo nell’estate successiva, quando si dice essere l’uomo giusto al momento giusto, mi devi almeno una birra, Amade’. Comunque sia, l’idea di aver fatto saltare in aria il banco era in effetti coerente con tutto quello che stavo facendo, Jep Garbandella icona talmente riconoscibile da non richiedere didascalie.

Io non volevo solo partecipare alle feste, volevo il potere di farle fallire”

A parte questa frase, incisiva e ficcante, anzi, a partire da questa frase, incisiva e ficcante, credo di non avere nulla in comune con Jep Garbandella.

Sono un massimalista iperattivo, se posso dire qualcosa in una frase opto per dirlo con trenta, frasi per lo più iperboliche, piene di relative, lunghissime, siamo agli antipodi. Lui è un dandy, elegantissimo, io un ex punk che passa naturalmente dalle t-shirt in estate alle felpe in inverno. Lui salottiero e agilissimo nel districarsi tra flute e tartine, io orso asociale che rifugge presentazioni e Sale Stampa come fossero la criptonite per Superman, il sogno di vivere una vita in ciabatte e davanti a un PC presto naufragata nella costrizione contemporanea di stare su un palco o davanti a una telecamera. Lui capace con un unico, fulminante libretto, così lo definisce nelle sue conversazioni mondane, di lasciare un segno indelebile nella storia della letteratura italiana, io alla soglia del centesimo libro, partito come narratore e presto gettatomi nella varia e nella saggistica conscio dei miei limiti.

Insomma, niente in comune, a parte quella frase: “Io non volevo solo partecipare alle feste, volevo il potere di farle fallire”.

E in effetti mi piace l’idea di rovinare le feste, specie quando ritengo che quelle feste non dovrebbero esserci, o magari non dovrebbero essere fatte in una determinata maniera. Mi occupo di musica, sto parlando di questo, ovviamente, non sono uso andare per locali o ristoranti a ubriacarmi e magari lanciare strali contro festeggiati di varia natura. L’ho in qualche modo fatto recentemente, alla round table di Annalisa, pur senza intenzione ovviamente di rovinare nulla, ma solo per sottolineare l’anomalia del fingere che tutto intorno a noi le cose siano tranquille, ne parlavo qui https://361magazine.com/mentre-il-mondo-va-a-fuoco-esce-ma-io-sono-fuoco-di-annalisa/, l’avevo fatto mesi fa, andando a quella che era annunciata l’ultima conferenza stampa dei riuniti CCCP, andando a litigare platealmente e pubblicamente con Annarella, la “benemerita soubrette”, indispettita se non addirittura adirata per il mio aver chiesto indebitamente a Zamboni e Ferretti, lì sul palco con lei e con Fatur, “artista del popolo”, quando era prevista la reunion dei CSI, evidentemente, ai miei soli occhi, necessario passo successivo in quella che mi appariva e tuttora mi appare come una clamorosa operazione commerciale, operazione commerciale di cui io stesso ho beneficiato, visto che sono andato a vedere i riuniti CCCP a Sesto San Giovanni, al Carroponte, mettendo una pezza a una mancanza che era lì da quasi quarantanni, ne parlavo giusto qui https://361magazine.com/sono-stato-il-solo-punk-alla-conferenza-di-addio-dei-cccp/. Un gesto punk, il mio, andare lì a spezzare il rituale della celebrazione mettendomi di traverso, che Giovanni Lindo Ferretti aveva apprezzato, non poco, pur dovendosi trattenere per non ferire l’animo sensibile della sua compagna di palco, momentaneamente tornata alla ribalta dopo anni e anni passati dietro il bancone dell’erboristeria nella quale lavora a Reggio Emilia, città comunista.

In quell’occasione, lì all’Arci Bellezza, la mia uscita è stata accolta dai miei colleghi, la sala grande era strapiena come si confà alle occasioni importanti, molti colleghi giovani erano rimasti basiti, già solo l’idea di un dissenso espresso con parole chiare deve essere stato per loro uno shock, abituati come sono ai cori monocordi che oggi vigono da colonna sonora, i più anziani, come me, tra il divertito e l’infastidito, infastidito evidentemente con me, perché in effetti, uso le parole di Annarella, ero andato a “rompere una liturgia”, ma ditemi voi se esiste qualcosa di più lontano dal punk della liturgia, santo Dio. Del resto, confesso, l’idea per qualche minuto, di essere stato il villain dei CCCP, invece di dover rivestire costantemente quel ruolo nelle carriere di gente come Laura Pausini, mi è parsa una sorta di miracolo, perché almeno stavamo parlando di artisti che avrei ascoltato anche se nella vita mi fossi trovato a occuparmi d’altro e non di musica.

Arriviamo ai giorni nostri, e non so se sia di per sé qualcosa di cui gioire, vista l’aria che tira. In occasione della festa della casa editrice Aliberti, a Rubiera, Giovanni Lindo Ferretti ha dialogato pubblicamente con Andrea Scanzi, e ribadisco, non so se ci sia qualcosa di cui gioire, o tempora o mores, quel medesimo Andrea Scanzi che del resto i CCCP appena riuniti, parlo dei giorni successivi all’inaugurazione della bellissima mostra Felicitazioni!, in quel del Chiostro di San Pietro a Reggio Emilia, mostra cui sarebbe seguita prima la folgorante reunion berlinese, sempre con Scanzi sul palco, poi il tour del 2024, e infine quello dell’estate 2025, dicono definitivo, in occasione della festa della casa editrice Aliberti, quindi, a Rubiera, Giovanni Lindo Ferretti ha dialogato con Andrea Scanzi, e in questa occasione, occorsa qualche giorno fa, ha non solo lasciato ben intendere che la reunion dei CSI è cosa praticamente fatta, ma che nell’estate del 2026 li si potrebbe già vedere su un palco insieme per un tour. Una buona notizia. Di più, un’ottima notizia, perché i CSI, in questo convengo con Giovanni Lindo Ferretti, pur essendo sempre stato io assai più zamboniano che ferrettiano, dopo la scissione tra i due, i CSI sono stati musicalmente assai più rilevanti dei CCCP, pur essendo i CCCP, forse per quell’essere stati in piedi giusto un quinquennio sovietico, una sorta di leggenda che, almeno fino alla reunion, era ammantata di leggendarietà proprio per la sua fugace permanenza sul pianeta Terra. L’idea di rivedere sul palco non solo, quindi, Ferretti e Zamboni, ma Ferretti e Zamboni con quel manipolo di straordinari musicisti lì, Ginevra Di Marco, Francesco Magnelli, Gianni Maroccolo, Giorgio Canali, in parte ex Litfiba, tutti comunque centrali nella scena indipendente anni Novanta, con alla batteria tanti nomi di spicco, ne scelgo uno tra i tanti, Gigi Cavalli Cocchi, è qualcosa che spero chiunque ami la musica, e magari non c’era ai tempi, per questioni di anagrafe, i tanti, tantissimi giovani che spero li abbiano scoperti poi, o per fatti loro non li hanno visti all’epoca, io li ho visti per l’ultima volta all’ex Palavobis, in una data straripante gente del Tora! Tora!, in buona compagnia di mia moglie Marina e di quella Lucia, all’epoca piccolissima e sul passeggino, che oggi scrive qui su 361Magazine.

Ora, non pretendo che adesso, o magari quando la notizia verrà data con tutti i crismi degli annunci, ci sia chi, tra cotanti colleghi, sottolinei come in effetti a dirlo ai tempi ero stato io, spezzando il rituale della messa sacra in commiato dei CCCP e tutto quel che si vuole aggiungere, ma sarebbe bello sottolineare, giusto per cronaca se non per rendere meriti a chi meriti ha, di come quella che appariva come una mera operazione commerciale, come del resto tutte le reunion tra chi si è mandato a quel paese e poi dopo anni si ritrova sullo stesso palco, da che mondo è mondo, non era che l’inizio di una serie di operazioni commerciali, anche questa coerentissima con l’idea di Grande truffa del rock’n’roll di Malcolm McLaren, uno che col punk ha più che qualcosa a che fare, senza star lì a fare gli offesi o quelli che provano a indossare abiti che non gli stanno bene. Certo in questa nuova operazione commerciale Annarella non è compresa, così va la vita, di qui immagino il nervosismo di quell’occasione, e solo Dio sa quanto io odi quelli che, di fronte a una risposta dettata dal nervosismo si sentono tirare in ballo il nervosismo, modo assai efficace per generare un loop di nervosismo, è indubbio, ma in realtà atteggiamento passivo aggressivo in grado di far saltare i nervi anche al Dalai Lama, o Annarella nello specifico. Le toccherà immagino portare pazienza per qualche altro anno, quando arriverà il cinquantennale dalla nascita o dalla morte dei primi CCCP, un ultimo giro valzer, credo, non si nega a nessuno, anche a una benemerita soubrette. Quando alla conferenza di addio mi toccherà fare la stessa domanda, stavolta chiedendo lumi riguardo una eventuale calendarizzazione della reunion dei PGR, perché uscito Zamboni dal gruppo, i rimanenti hanno dato vita ai Per Grazia Ricevuta, giusta traiettoria dopo il Consorzio dei Suonatori Indipendenti, dubito che il buon Massimo, per altro da poche ore fuori col romanzo Pregate per Ea, edito da Einaudi, si inalbererà come Annarella, altra pasta d’uomo. Potrebbe semmai farlo Canali, giusto per il gusto di mandarmi a quel paese. È solo rock’n’roll, ma ci piace, cantavano un’altra band che ancora non molla, non posso che essere d’accordo con loro.