Per chiunque passi la propria viva raccontando storie, intuirete che sto parlando per interesse personale, il punto di vista dal quale si osservano le vicende dei personaggi che sono in scena è fondamentale. Al punto che, non dico niente di particolarmente sorprendente, una medesima storia, vista da prospettive diverse, può apparire completamente diversa. Poco prima di partire per le Marche, per dire, con mia moglie Marina abbiamo passato una piovosa domenica pomeriggio guardando un film su una piattaforma di streaming dal titolo L’innocenza, del regista giapponese Kore’eda Hirokazu, vincitore della Queer Palm e il premio per la migliore sceneggiatura originale a Cannes nel 2023, dove una storia viene raccontata da tre prospettive differenti, che ne stravolgono di volta in volta la lettura, un maestro violento nei confronti di un bambino, così inizia la storia che ovviamente non spoilero, diventa in realtà tutt’altro strada facendo.

Con questo, ovviamente non voglio dire che ogni storia possa essere letta in maniera differente a seconda di come la si racconti, faccio un esempio di attualità, il genocidio di Gaza è un genocidio anche a volerlo guardare con gli occhi di un israeliano lucido, ma è chiaro che, spostando l’attenzione all’atto del raccontare, ogni storia può prendere una piega differente a seconda di come la si presenti, al punto da poterne dare, è il caso de L’innocenza e di chissà quante altre opere, versioni che divergono completamente.

Quando ho quindi letto la notizia che Vogue USA ha pubblicato una campagna di Guess che ha come protagonista una modella concepita con l’AI, la temutissima intelligenza artificiale, non ho avuto dubbi su come leggere la cosa, con un moto di euforia. Intendiamoci, ho sempre guardato e ancora guardo al mondo della moda con diffidenza, non riconoscendo negli standard di bellezza che da sempre impongono, a partire dalle taglie per passare al resto, è di pochi giorni fa le accuse a una nota marca di jeans di aver veicolato attraverso lo spot che ha Sidney Sweeney, attrice balzata agli onori delle cronache per aver preso parte alla serie tv più scorretta di sempre, Euphoria, appunto, spot che ha come clain “Sidney Sweeney has good genes”, dove ovviamente il giochino verbale è basato sull’assonanza tra genes e jeans, ma dove quei “buoni geni” cui lo spot fa riferimento, ovviamente l’indubbia bellezza dell’attrice, da molti è stata interpretata addirittura come una sorta di propaganda nazista, Sidney è bionda e bianca, e parlare di geni in prossimità di chi è biondo e bianco ha richiamato evidentemente alla mente certi esperimenti di Goebbels. Ho sempre guardato con diffidenza ai modelli di bellezza imposti dalla moda, ritenendo che abbia fatto danni irreparabili, non dico nulla di nuovo, e quindi avendo di mio poco altro da aggiungere a riguardo, ma credo che la modella generata con AI da Saraphinne Valora, questo il nome dell’agenzia che l’ha partorita, abbia almeno qualche elemento di interesse che ritengo positivo. Dato per assodato che la modella in questione è esattamente come ci si possa aspettare una modella che compare su una campagna per Vogue, cioè esteticamente assolutamente aderente a quei canoni lì, qualcuno direbbe perfetta, e dato altrettanto per assodato che in questo caso non si è neanche dovuto ricorrere a ritocchi fotografici, niente imperfezioni da coprire, o da aggiustare, qui è tutto finto, mi sembra evidente che la momentanea sostituzione di una modella in carne, poca e al posto giusto, e ossa con una modella virtuale porta il vantaggio di accelerare una china che comunque l’uomo, intendendo con uomo gli esseri umani che lavorano nello specifico in quel mondo, da decenni stanno costruendo, dove appunto l’aderenza a quei canoni è talmente necessaria da imporre a modelle in carne, pochissima, e ossa di sottoporsi a una vita di inferno pur di avere un lavoro. Ora, non voglio parlare di schiavismo, non ho elementi sufficienti per farlo, ma è indubbio che chiunque sia stato a Milano durante una fashion week, io ho a lungo abitato, per ben due volte, in abitazioni contigue a agenzie di casting, avrà visto queste giovanissime lavoratrici emaciate, chiaramente in deficit alimentare, correre ricurve con un book fotografico in mano sperando di essere notate da chi poi gestisce sfilate o set fotografici, l’omologazione a quei canoni talmente spinta da far pensare di essere capitati in una qualche versione anoressica di Matrix. Pensare che pian piano quel mondo scomparirà, sostituito da tante Emily Pellegrini, sì, questo è il nome di una burrosissima top model virtuale, divenuta famosa per un noto calciatore ci ha provato con lei nei commenti del suo Instagram, questo nonostante il suo essere virtuale sia specificato chiaramente, quando si dice pensare coi piedi, mi sembra quantomeno un primo passo verso la tanto agognata emancipazione. Poi, è altrettanto ovvio, lavorare sul virtuale permetterà a chi di dovere di affinare ulteriormente quei canoni di bellezza, eliminando del tutto le imperfezioni, parlo sempre del punto di vista di chi a quei modelli lavora, generando immagino stereotipi sempre più inarrivabili, con conseguenze anche catastrofiche in chi a quegli stereotipi guarda come modelli ispirativi. E è anche altrettanto vero che lavorare su modelle e modelli generati dall’AI darà lavoro a chi con l’AI lavora, ma toglierà lavoro a fotografi, truccatori, personal, oltre che modelle e modelli, come del resto sta succedendo in tanti altri settori del mondo lavorativo, c’è chi parla di progresso, chi di apocalisse e chi, appunto, di accelerazionismo.

Che l’AI sia una realtà già presente è innegabile, nascondere la testa sotto la sabbia non la farà sparire e non ci farà tornare indietro nel tempo. Che quindi è con l’AI che dovremo e dobbiamo fare i conti è altrettanto un dato di fatto. Che però l’AI possa volendo spazzare vie delle storture che sono già presenti nel nostro vissuto è altrettanto ipotizzabile, dal mio punto di vista certo.

Faccio un esempio spostandomi di qualche passo a lato. Ciclicamente compaiono su giornali e magazine articoli allarmistici che parlando di come l’AI, siamo sempre lì, sia arrivata nel mondo delle sex dolls. Se ne parla perché nel mentre le sex dolls, che per intendersi sarebbero quegli androidi che hanno sostituito nell’immaginario dei sex toys le bambole gonfiabili, ormai quasi irriconoscibili in quanto androidi tanto sono simili a noi esseri umani e l’idea che ora siano in grado, per mezzo del match con l’AI, di imbastire anche un rapporto in qualche modo empatico con i clienti sembra una aberrazione. Non sono un prete, né un inquisitore, quindi proverò a parlarne lasciando da parte la morale, fatto di per sé difficile dal momento che l’etica è alla base del ragionamento che comunque sto facendo in questo pezzo. Chiunque abbia mai sentito l’impulso di rivolgersi a una sex dolls, prima ancora a una bambola gonfiabile, per accoppiarcisi, voi non sapete che fatica ho fatto a trovare il verbo giusto per parlarne, senza cadere nel volgare ma neanche scivolare nel ridicolo, ecco, credo che chiunque abbia mai sentito l’impulso di rivolgersi a una sex dolls per accopparcisi non troverà nulla di immorale nel fatto che ora quella sex dolls potrà scambiare quattro chiacchiere dopo l’amplesso, o che magari, proprio grazie all’AI, sarà in grado di dar vita a tutta una serie di situazioni che renderanno quell’accoppiarsi ancor più appagante. Non sono un prete ma neanche uno psichiatra, ma credo che nessuno che voglia accoppiarsi con una sex dolls, senziente o meno, la veda come un sostituto di un essere umano. O meglio, immagino la vedrà esattamente come la sostituta di un essere umano, uso il femminile perché credo siano più gli uomini a usufruirne, ma so che ne esistono anche versioni maschili, ma una sostituta che non ha nessun reale essere umano con cui giocarsela, non è che uno lascia la moglie per una sex dolls, e se così fosse credo che la moglie in questione dovrebbe tirare un sospiro di sollievo. È un po’ come per il porno, che con l’AI si apre ovviamente a scenari fantascientifici che faranno inorridire i più, ovvio che diventare in qualche modo dipendenti dal porno genera dinamiche tossiche, ma non credo che il problema stia tanto nel fatto che i porno ci sono, quanto piuttosto il fatto che ci siano dinamiche sociali che portano a una eventuale dipendenza dal porno. Per essere chiari, suppongo che sia meglio che chi è incastrato dentro quelle dinamiche passi il tempo a sfondarsi di porno, magari anche di porno generati dall’AI con sembianze o trame create ad hoc, o che si accoppi con una sex dolls che ne assecondi le pulsioni, piuttosto che vada in giro a fare danni.

Torno quindi a alla campagna di Guess per Vogue USA, campagna evidentemente vincente, dal momento che se ne parla in tutto il mondo. Penso, e lo penso seriamente, che una modella virtuale finita lì, cioè nella Scala della moda, continuerà a generare modelli ispirativi profondamente sbagliati, con una idea di bellezza ancora più irreale, sempre che sia reale quello delle modelle in carne e ossa, e quindi indicabile come un vero passo indietro verso i progressi eventualmente fatti sul campo della body positivity (questo finché l’AI non genererà modelle virtuali curvy, per dire), ma credo anche che quando un mondo fittizio come quello della moda verrà totalmente sostituito da uno virtuale sarà un grande passo per l’uomo e per l’umanità.

Credere che l’estetica imposta dalla moda sia vero è stato per decenni un modo di agire dannoso, scoprire di colpo che è in fondo tutto talmente finto da essere sostituibile facilmente da qualcosa di realmente finto è come fare per la prima volta il conti col proprio libero arbitrio, evviva.

Traslando al mondo della musica, che è quello nel quale opero, e dove comunque l’AI è arrivata spaventando tanti se non tutti, penso che il giorno in cui le tante canzoni fatte a tavolino, stessi suoni, stesse reference, stesse parole usate per costruire testi inutili, verrà sostituito totalmente dall’AI, certo facendo perdere lavoro a autori che passano il tempo scopiazzando vecchie hit, produttori che fanno lo stesso coi suoni, tutti a seguire i dettami indicati dalle piattaforme di streaming, quindi da un algoritmo, il mondo dell’arte tutta avrà da festeggiare. Sarà una accelerazione verso il baratro, diranno i luddisti, anche quelli che neanche sanno di esserlo, o coloro che pensano che questa accelerazione farà perdere loro il lavoro, ma sarà anche il momento in cui un sistema comunque fasullo, costruito sul nulla e propenso a assecondare e costruire stereotipi nocivi, imploderà, lasciando macerie sulle quali sarà forse possibile ricostruire qualcosa. O alla peggio sarà lo scenario nel quale saranno proprio gli androidi matchati con le AI a sostituirci, come in un incubo cyberpunk o dentro una visione alla Donna Haraway, la filosofa che ormai decenni fa ha scritto quel Manifesto Cyborg mai attuale come oggi. Per chiunque la vedesse come me, è chiaro, ci sarà solo da identificare la Sarah Connor da seguire per fare la rivoluzione.