La femminista e influencer presenta la prima raccolta di poesie «La signorina Nessuno»
Non chiamatela “fidanzata di”, Giorgia Soleri ha un nome e un cognome e vuole che la sua storia e le sue esperienze vengano prese come esempio.
L’influencer e modella, nota anche per la relazione con Damiano dei Maneskin, presenta a Bergamo la prima raccolta di poesie «La signorina Nessuno», edita da Vallardi.
A Corriere della Sera ha parlato di tanti temi e appunto delle sue poesie e del perché usasse il nome di Signorina Nessuno.
«Nasce come frutto della mia codardia, era il mio alter ego quando non avevo il coraggio di dire con il mio nome le cose che sentivo. Poi è diventata un universo a sé, la chiamo la mia “signorina” perché è come se fosse reale. Abbiamo fatto un bellissimo viaggio insieme e le devo tanto. Ma, fortunatamente, me ne sono liberata perché ora c’è Giorgia».
Non manca lo spazio per la diagnosi di vulvodinia
«Il 2 settembre 2020. Mia mamma ha avuto tre volte il cancro e ogni diagnosi è stata difficile. Per chi soffre di vulvodinia, endometriosi, fibromialgia, cistite interstiziale dare un nome alla malattia è una liberazione perché passi anni a dire di avere certi dolori, senza sapere cosa siano. Il 99 per cento delle persone, tra amici familiari e personale medico, crede che tu non abbia nulla. Vieni delegittimata nel tuo dolore. È quasi una vergogna provarlo».
E poi: «Ho passato il primo lockdown a cercare tutti i sintomi su Google. Sono capitata sul blog di un’associazione dove in tanti parlavano di vulvodinia. Me la sono autodiagnosticata e ho cercato un medico in grado di darmi una conferma e trattarla. Ho trovato il dottor Galizia che riceveva a Roma, Bologna e Modena. A Modena la lista era di soli tre mesi, lì ho ricevuto la diagnosi che già sapevo».
Giorgia Soleri, poi a cuore aperto parla dell’aborto fatto a 21 anni: «Ero giovanissima, avevo problemi di salute mentale ed economici, non avevo un lavoro con entrate certe. Il momento in cui mi sono interfacciata col mondo sanitario è stato un’esperienza che mi è stata fatta vivere in modo estremamente negativo. La 194 ha lacune enormi che dovrebbero essere prese in considerazione. Invece rimane una legge fuori dal periodo storico in cui viviamo».
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La Soleri poi aggiunge: «Sono andata in consultorio e sono stata aggredita dalla ginecologa, che mi sgridò dicendo che noi giovani facciamo sesso senza precauzioni e usiamo l’aborto come contraccettivo, senza sapere nulla della mia storia».
E poi: «Ci sono donne che abortiscono senza senso di colpa, è ingiusto obbligarle a vivere questa esperienza in modo traumatico quando è possibile accompagnarle. Piuttosto di un colloquio con l’assistente sociale, proporrei delle sedute di psicoterapia».
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