Giorgia, o dell’incommensurabile capacità di illuminare tutto (manco fosse Safran Foer)

“Ah, scusa, non mi ero accorto che stavi registrando…”
“No, non sta registrando. Lui registra tutto a mente, tanto poi scrive come je pare”.
“…”.
Siamo nella sala riunioni di Rtl 102,5, a Cologno Monzese. Il brevissimo dialogo che ha aperto questo pezzo, giusto due battute, la terza senza testo, avviene tra Jody, voce storica del network di Lorenzo Suraci e Giorgia, sì, quella Giorgia lì, la cantante. Il lui che non registra e che tanto poi scrive come je pare sarei io, e in effetti no, non ho registrato nulla, e sì, poi scriverò di questo incontro come mi pare, lo sto già facendo, l’ho sempre fatto. Anche per questo sono qui.
Giorgia è a Milano, di passaggio, a una settimana e poco più dalla fine del Festival della Canzone. Ieri era ospite di Fazio Fabio, a Che tempo che fa, oggi a The Flight, programma di punta del primo network radiofonico italiano, network per il quale ho prestato la mia voce e la mia penna per anni, dopo aver detto esattamente quello che pensavo della proprietà e di certi giochetti editoriali che trovavo discutibili. Network nel quale ho rimesso piede appunto per l’occasione, giusto per recuperare un appuntamento che a Sanremo è slittato di giorno in giorno, fino a sparire inghiottito nel caos festivaliero, io del tutto non interessato a gravare sullo stress che indubbiamente è piovuto addosso alla interprete di La cura per me.
Giorgia è vestita di nero, come anche a Sanremo, elegante e, seppur stanca, ha lo sguardo della tigre, quello cantato dai Survivor per la colonna sonora di Rocky III. Tigre stanca, Giorgia, quindi, non tigre triste, come le tre tigri tristi di Guillermo Cabrera Infante.
Si è vestita con la gonna apposta per RTL 102,5, dice a Jody appena scende dal van nero, van nero che è arrivato a noi, me, Jody e Alessandra e Chiara dell’ufficio stampa e promozione, che la stiamo aspettando all’ingresso posteriore del palazzo di Cologno Monzese, dopo una doverosa sosta con un nugolo di fan che l’aspettava ai cancelli, foto, autografi e qualche veloce chiacchiera. Partiamo male, le dico, perché pensavo avesse messo la gonna per me, sottolineo, ma lei risponde ridendo che per me non è previsto alcun vestito, nudi alla meta, facendo chiaramente riferimento al servizio fotografico e articolo per il quale ci siamo conosciuti, ormai ventidue anni fa. Un pezzo uscito su Tutto Musica che si intitolava A letto con Giorgia, con riferimento al film A letto con Madonna, Giorgia si era appena scoperta icona segni con il video di Spirito Libero, il singolo di lancio di Ladra di vento, album appunto del 2003, in qualche modo upgrade della sua sexieness dopo Vivi davvero, hit di lancio della sua prima raccolta di successi, e per celebrare il tutto io, come lei ventidue anni più giovane, l’avevo intervista a letto, sotto lo sguardo di Luca Del Pia, fotografo della testata mondadoriana. Jody, di Rtl 102,5 e le due addette stampa non sono a conoscenza della cosa, quindi la spiegazione repentina di Giorgia ci libera da imbarazzi, che comunque anche ai tempi c’erano stati. Eravamo giovani, dice Giorgia, lui vestito da capo a piedi, io mezza spogliata, ribadisce. Ricordo bene, penso.
Stavolta optiamo per stare vestiti entrambi, e entrambi seduti in una comoda sala riunioni, l’età avanza e una certa saggezza di è impossessata di noi.
Giorgia è contenta, lo si percepisce a vista, come a vista si percepisce come nel tempo abbia trovato un proprio equilibrio, si chiama maturità o età adulta, equilibrio per nulla scalfito dal passaggio sanremese, fatto che è di per sé miracoloso. Non che durante il Festival non abbia sentito stress o pressioni, ritornare su quel palco, nel quale è in qualche modo nata e esplosa, trent’anni dopo, fatto che è stato sottolineato a ogni suo passaggio assai più di quanto quest’anno si celebrassero i settantacinque anni del Festival, aspetto che tecnicamente non si è calcolato proprio nessuno, ha avuto un suo peso nella gestione psicologica di questa settimana, settimana di suo bella incasinata, tra prove, interviste, promozione, spostamenti in una città invasa da centinaia di migliaia di persone, il tutto con trent’anni di più sulle spalle.
La faccenda dei trent’anni, non registro niente ma, come il Daniele Silvestri di Testardo, mi ricordo tutto, è stata per altro protagonista involontariamente, almeno fronte Giorgia, della sua settimana, perché il buon Mogol, da non confondersi con il Gran Mogol, ha ben visto di fare quella sua dichiarazione ad minchiam, direbbe il professor Scoglio, di cui tutti, ma credo proprio tutti tutti hanno parlato. Sì, ha detto che Giorgia non ha vinto perché canta ancora come trent’anni fa, invitandola poi a seguire un corso presso il suo CET, come fosse una principiante. Parole, se possibile, che hanno ulteriormente acceso il calore della gente intorno a Giorgia, non fosse già bastato tutto il calore, anche vagamente scioccato, piovutole addosso quando Carlo Conti e Alessia Marcuzzi hanno dovuto dire che no, neanche quest’anno, come nel 2023, era finita nella cinquina dei finalisti, passando velocemente da una che era entrata Papa a una che usciva Cardinale, sempre che vincere il Festival fosse quello cui Giorgia puntava. Perché, questo Giorgia me lo dirà più volte, ma non era necessario, ci sono stato a letto ventidue anni fa, le foto di Luca Del Pia ne sono testimonianza, so bene quel che pensa e dice, il suo ritorno a Sanremo non era tanto per rivincere a distanza di trent’anni da Come saprei, quanto piuttosto per una ennesima ripartenza, una canzone canzone come La cura per me, scritta con lei e per lei da Blanco e Michelangelo assolutamente da onorare proprio su quel palco lì. Una canzone, e questo credo che se Mogol non avesse ottantotto anni e fosse ovviamente pur sempre quello che in coda alle dichiarazioni ad minchiam su Giorgia si è lasciato andare anche a un panegirico in favore dell’altra Giorgia, Meloni, a suo dire orgoglio nazionale, lo potrebbe capire da solo, che sarebbe stata impossibile da cantare dalla Giorgia di trent’anni fa, per il semplice motivo che è stata scritta con una scrittura tipica di questi anni qui, inesistenti, come Blanco e Michelangelo, quando Giorgia ha vinto con Come saprei.
Una canzone certo classica, perché il ritornello è passato sotto le mani di Giorgia, che ci ha appoggiato su un canto pieno, alla sua maniera, arricchendo di svolazzi alla Giorgia anche le strofe, ma che per il resto è molto molto attuale, lo special così serrato, senza quasi spazi per respirare, impensabili anche solo cinque anni fa, altro che trenta. Per non dire di come sarebbe pur bello per una cinquantatreenne avere ancora la voce di quando aveva ventitré anni, pur nella consapevolezza che gli anni regalano sfumature, esperienza di canto e di vita, oltre che mestiere, ancora non presenti trent’anni fa, e di come, quindi, questo lo dico io, Mogol ha detto una cazzata, giustificata da quel che ha fatto e smesso di fare circa trent’anni fa, mica per caso.
Giorgia mi ha raccontato di come, ascoltata la canzone, provinata da Blanco con la sua voce quasi urlata, e sprovvista appunto di special, l’abbia fatto balzare sulla sedie, andando dai suoi collaboratori a gridare “è arrivata una canzone”. E di come poi, per conoscersi e approfondirsi, Blanco e Michelangelo siano a andati in studio da lei, negli studi della RCA che ora si trovano nel palazzo della Sony, Enrico Brun dietro le macchine, per parlare e cercare di entrare in sintonia, al punto che Blanco ha poi chiesto a Michelangelo di andare fuori dallo studio, lasciandoli a chiacchierare da soli, lì Luca Del Pia non c’era a testimoniare alcunché, la figura della madre di Blanco a irrompere nelle scene narrative, col suo aver fatto ascoltare a lungo a suo figlio Quando una stella muore, le madri, dice Giorgia, a un certo punto entrano sempre in scena. E proprio di essere madri, e compagne, e donne che vivono con uomini, compagni e figli e gatti, Giorgia mi ha poi parlato, dicendo che il periodo precedente al Festival, seppur coronato dall’ottima riuscita della sua esperienza a X Factor, figlia a sua volta non solo del passaggio sanremese come co-conduttrice dell’anno scorso, ma anche di quello precedente in gara di due anni fa, poi ci torno su, Giorgia mi ha parlato di come il periodo precedente al Festival sia stato per lei piuttosto emotivamente impegnativo, per poter cantare una canzone così, difficile tecnicamente e con un testo comunque molto suo, di lei l’idea di aggiungersi nel finale, ribaltandone in qualche modo il significato, indicando nell’essere una donna che vive con uomini un ruolo fondamentale per vivere in qualche modo senza pelle, il verbo piangere è ricorso talmente tante volte nella nostra chiacchierata, da quando qualche giorno fa una tipa le si è messa a piangere davanti al supermercato, mentre lei pesava le mele, a quando a piangere è stata lei, per l’emozione, sul palco dell’Ariston, e via discorrendo. Un’esperienza provante andare per tre anni di fila al Festival, inaugurata nel 1994, con E poi, replicata nel 1995 con la vittoria di Come saprei, e poi chiusa l’anno successivo con Strano il mio destino, e poi replicato oggi, prima col ritorno in gara con Parole dette male, nel 2023, la co-conduzione nel 2024 e stavolta con La cura per me. Non c’è mai quattro dopo tre, a chiosare. Riguardo Parole dette male, canzone che per molti è stata quasi un tradimento di un suo modo di cantare considerato, Mogol a parte, patrimonio dell’Unesco, credo di essere stato tra quanti l’hanno difeso col coltello tra i denti, non solo per l’affetto che ci lega, quanto piuttosto perché ritengo, e lo ritengo con una grande radicalità e veemenza, che il pretendere da Giorgia che faccia sempre Giorgia, non che lo sia ma che lo faccia, quindi che appaghi sempre l’ascolto di chi la vorrebbe sempre lì a fare gorgheggi a voce piena, è un frutto del patriarcato né più né meno di chi vorrebbe le donne sempre e comunque a incarnare un qualche cliché, benvenga se il cliché in questione è quello della cantante dalla voce incredibile, ma venga ancor di più che la cantante con la voce incredibile a volte si possa permettere di giocare coi generi, andando altrove.
Ovviamente si è anche parlato di album, visto che proprio poche ore prima del nostro incontro ha dichiarato da Fazio Fabio di non averlo ancora completato, ammettendo poi di non averlo proprio inciso, giusto qualche canzone provinata, due, a suo dire, canzoni canzoni come quella presentata al Festival, e a quel punto è arrivata anche una difesa d’ufficio della serie, avrei anche voluto essere in studio, lì all’RCA, a incidere, ma mi tocca star qui a parlare con te, spostando su di me un senso di colpa che, lo dico a scanso di equivoci, in questi miei primi cinquantacinque anni e rotti di vita ho imparato a domare manco fossi Moira Orfei con i suoi elefanti, pace all’anima sua. Il racconto di come si fosse ormai abituata a cantare da seduta di fronte al computer, un microfono con asta posta di fianco alla scrivania, e di come ora invece si sia riabituata a andare in studio, da Enrico Brun, a cantare dietro un vetro, pronta anche a farsi riprendere da chi dietro quel vetro si trovi, è al tempo stesso un esercizio di umiltà, Giorgia è Giorgia anche per i produttori, da Slait che sta seguendo tutta la sua nuova produzione, ai vari coi quali sta iniziando a collaborare, a un certo punto è saltato fuori anche quello de Il Tre, ma giuro che non sono riuscito a memorizzarne il nome, e io, è noto, non registro mai le interviste, ecco, tutto questo è al tempo stesso un esercizio di umiltà e un flexare clamoroso, perché solo Giorgia può pensare di cantare e incidere le canzoni di Giorgia standosene seduta in una stanzetta. Altra cosa, questa dello studio in una stanza, molto contemporanea, altro che studi coi vetri e cantare come trent’anni fa, anche se sotto questo profilo il ritorno al passato coinciso con l’andare negli studi RCA sembra aver sortito ottimi effetti.
A un certo punto, in effetti la nostra chiacchierata sta andando avanti da circa un’ora, Jody irrompe in scena, con la questione del non essersi accorto che stavo registrando da cui questo pezzo ha preso i primi passi, e di lì a breve ho lasciato Giorgia ai suoi impegni radiofonici, non prima di averle dato modo di dire qualcosa riguardo a un ipotetico prossimo impegno a X Factor, come a lasciarle modo di dire quanto io, in effetti, sia poco incline a giocare di diplomazia, magari trincerandomi dietro lo scudo della letterarietà di quel che scrivo, ma sempre e comunque dicendo quello che penso, anche quando in passato si è trattato di fare qualche critica a lei, Giorgia, critica di cui, giuro, non ho però memoria, il mio subconoscio le vuole bene tanto quanto il mio inconscio, è chiaro. Giorgia che oggi, mi ripeto, è una artista in stato di grazia. Non una che con quella voce potrebbe cantare quello che vuole, sorta di versione canora della mia conterranea Virna Lisa, quanto piuttosto una che con quella voce è in grado di ammantare di bellezza quello che canta, una capacità di creare un contatto di emozioni con chi la sta a sentire unico in Italia, al punto di far piangere la gente dentro i supermercati, mentre sta pesando le mele. Arriva il momento di salutarci, non prima di aver fatto una foto, lì nella sala riunioni di RTL 201,5, foto fatta controluce, col risultato che sembra che io e Giorgia, più Giorgia di me, stiamo irradiando i presenti di un’aura innaturale, se non sovrumana. Succede, stando di fianco a certi artisti, pensa cosa può succedere se dentro una foto di artisti ce ne sono assieme due.