Giorni fa guardavo come sempre distrattamente una serie tv, talmente distrattamente che non ricordo più quale, quando a un certo punto la mia attenzione è stata rapita dalla canzone che una anziana signora stava cantando nel piccolo schermo del mio tablet, che è poi dove sono solito guardare le serie tv mentre lavoro. Una versione acustica, quasi irriconoscibile, tenendo conto che invece l’originale è diventato giustamente famoso per essere eseguito da una band che ha nelle chitarre elettriche la sua colonna vertebrale. La canzone, che dopo un po’ ho riconosciuto, perché la mia attenzione si è risvegliata lentamente, come immagino capiti a chi gode di un buon sonno, io soffro di insonnia e o non dormo proprio o mi sveglio di colpo, da zero a cento in due secondi, era Free Bird, dei Lynyrd Skynyrd, qui eseguiti da una donna, voce e piano. Ho provato a risalire che serie fosse, mettendo su Google la richiesta di una lista di serie tv che avessero Free Bird nella colonna sonora. Poi restringendo il campo mettendo Free Bird cantato da una donna, ma essendo la scena parte del film, quindi cantato dall’attrice anziana che interpretava non ricordo più che ruolo, non ho trovato traccia di che serie si trattasse. Peccato, perché la curiosità è rimasta, e conoscendomi so che finirò per incistarmici sopra, lì a fare ricerche sempre più specifiche, visto che andare a cercare tra Netflix, Amazon Prime, Now e Disney+, cioè le piattaforme di cui usufruisco di solito, mi sembra quantomeno improbabile.
Free Bird, mi ha detto Google, è presente in tante serie tv e film, quasi sempre nella versione dei Lynyrd Skynyrd, qui ancora con Ronnie Van Zandt alla voce, Allen Collins, Gary Rossington con l’aggiunta di Steve Gaines alle chitarre elettriche, e l’ex roadi Billy Powell al piano, sua l’intro divenuta a ragione famosa e iconica tanto quanto il lunghissimo doppio assolo di chitarra, a volte anche in quella di Dolly Parton.
Io ne ricordo con particolare affetto una, quella che accompagna le scene finali del film di Rob Zombie The Devil’s Reject, La casa del diavolo in italiano, secondo capitolo delle brutali vicende della famiglia Firely, il primo è La casa dei 1000 corpi, il terzo 3 from Hell. Nella scena, un po’ come nel finale del decisamente più edificante Thelma & Louis, ci sono gli eroi di queste avventure, chiamiamoli così, dentro una macchina decappottabile, di fronte a un plotone di poliziotti che gli hanno evidentemente intimato di fermarsi, pronti altrimenti a far fuoco. In questo caso, però, la macchina non viene lanciata verso il vuoto, come a voler metaforicamente lasciare che le due protagoniste possano finalmente essere libere, ma punta dritto contro le carabine dei poliziotti, che mentre la canzone dei Lynyrd Skynyrd va avanti, aprono il fuoco, apparentemente uccidendo tutti e tre. Alla guida c’è Otis, nel sedile di dietro, già piuttosto conciati, sua sorella Baby, interpretata come sempre dalla moglie del regista, Sheri Moon Zombie, e il loro padre, i Capitano Spaulding.
Una scena epica, tragica, assolutamente in linea con la colonna sonora.
In questa mia disperata ricerca per scoprire di che diavolo di serie si trattasse, ma magari poteva anche essere un film, vallo a sapere, sono ovviamente incappato in quello che credo sia il video più noto di una performance live dei Lynyrd Skynurd che interpretano Free Bird, quella del 2 luglio 1973 all’Oakland Colliseum Stadium. Qualcosa come quasi dodici minuti di performance, roba che la ascolti e non riesci a non fare almeno un po’ di air guitar, se non air guitar per tutti i tanti minuti di assolo. Di quella performance, davvero incredibile, a me colpiscono sempre alcuni dettagli, e questo credo dica molto di come, in fondo, io tenda a concentrare l’attenzione sempre sugli argomenti sbagliati. Non posso certo non notare i movimenti sgraziati dei chitarristi mentre fanno i loro assoli, fatto che recentemente ho ritrovato, e so che qui molti cominceranno a sanguinare dagli occhi, nell’andare fuori tempo di Victoria De Angelis dei Maneskin, andare danzando fuoritempo mentre il tempo che tiene col basso è quello giusto, attenzione, mi colpisce la scenografia, che vede il palco in mezzo a una riproduzione delle facce dei presidenti immortalate sul monte Ruhsmore, una parte delle scenografia è alzata, come la saracinesca di un garage, lasciando spazio alle bandiere sudiste sullo sfondo e gli strumenti del gruppo, e quel che più mi colpisce è il momento nel quale chi fa le riprese, lì allo stadio c’è un sacco di gente, cotta dal sole, si vedono pelli di gente che sicuramente è di origine caucasica, gente di colore non se ne vede al seguito di una band di southern rock, tendenti quasi al fucsia, quel che mi colpisce, dicevo, è il momento nel quale chi fa le riprese è costretto a spostarsi sempre un po’ di lato, mentre in primo piano c’è la schiena bruciata di una ragazza che se ne sta, come altre nell’arena, sopra le spalle del ragazzo. La ragazza in questione, che tende a spostarsi sempre quel tanto che basta a impallare quel che succede sul palco, sembra non avere il reggiseno, come fosse una prova molti anni prima di quel che poi sarebbe successo ai concerti di Vasco durante l’esecuzione di Rewind. Mentre sto provando a concentrare l’attenzione su questi per me fondamentali dettagli mi passa sotto gli occhi a scena nella quale Ellie di The Last of Us, ci metto un po’ a capire che si tratta del videogioco da cui è tratta la serie tv, esegue una veloce minimale versione del giro di Free Bird alla chitarra acustica, niente a che vedere con quella assai più definita di Take on Me degli A-Ha eseguita da Bella Ramsey, che proprio Ellie interpreta, nella stagione due episodio quattro, per una emozionata Dina, poco prima di entrare in scontro con zombi, sempre zombi in questo mio viaggio di parole.
Tornando alle scene del concerto dei Lynyrd Skynyrd a Oakland, e alla tizia in topless, la schiena ustionata, che sulle spalle del proprio ragazzo impalla la band sul palco, sono fatto male, lo so, tutto questo mi fa pensare non so perché a qualcosa che succede da anni sempre negli States, stavolta a partire da una band, chiamiamola così, che viene dal Michigan. Niente southern rock, in questo caso, rap, semmai, nello specifico rap virato sull’horrorcore, nome della band, che in realtà è un duo, ICP, ovverossia Insane Clown Posse. Violent J e Shaggy 2 Dope, questo il nome dei due rapper di Detroit, dopo aver cominciato come Inner City Circle, decidono di adottare delle maschere da clown cattivi, da PennyWise di It in poi esiste tutta una letteratura riguardo i clown cattivi, cattivissimi, anche i clown killer. Stando a quel che raccontano i due il tutto era nato dopo una lunga serata passata a chiacchierare appunto di killer e altre amenità, serata cui è seguita una notte di incubi per Violent J, lì a sognare un’entità malefica, la Dark Carnival, legata all’apocalisse, entità cui i due si votano e che onorano con le loro canzoni che mischiano gangasta rap con tutta una serie di generi connessi, dal punk al grindcore, passando per lo psychobilly, il goth e l’hardcore. Quello che è strano, e che mi ricollega alla già anche troppe volte citata tipa sulle spalle del ragazzo, lì all’Oakland Collisium Stadium il 2 luglio 1973, ormai sarà una signora anziana, la tipa, è che ben presto i due Insane Clown Posse hanno cominciato a raccogliere un folto pubblico ai loro concerti, gente che si riconosce nei nomi di Juggalos, nel caso degli uomini, e Juggolettes, nel caso delle donne, a loro volte mascherati, spesso in bikini, le donne, e a torso nudo gli uomini, ma anche le donne, droghe leggere, pasticche e alcool come se davvero l’apocalisse fosse questione di ore. Dei veri e propri raduni, con una fidelizzazione che raramente capita di trovare, in America vien da pensare ai famosi deadheads, i fan dei Grateful Dead, che seguivano in vere e proprie carovane itineranti Jerry Garcia e soci in giro per gli States, registrando ogni singolo concerto, concerti lunghissimi, fatti di brani dilatati all’inverosimile, anche lì la psichedelia, leggi alla voce “acidi”, aveva un peso specifico altissimo, quasi fondamentale. In Italia, e so che la cosa potrebbe far sorridere, viste le nette divergenze, qualcosa di simile è accaduto con i Sorcini, per Renato Zero, o con i fan dei Nomadi, un amore talmente radicale e viscerale, il loro per la band che fu di Augusto Daolio e che ha ancora in Beppe Carletti il fondatore superstite, che vede un popolo seguirli nonostante il cantante sia morto ormai da oltre trent’anni, e nel tempo i sostituiti si siano fatti sempre meno carismatici. Una fede, appunto, che nel caso degli Insane Clown Posse, i Juggalos e le Juggalettes, ha dei fedeli facilmente riconoscibili, qualcosa a metà strada tra un raduno di motociclisti, una fiera di white trash, come viene chiamata quella popolazione degli USA centrali che poi è quella che ha votato in massa Trump, e un gruppo di cosplayer tornati malconci da una convention di fumetti, e non è un caso che di fumetti dedicati agli Insane Clown Posse ce ne siano eccome. Andare a vedere le immagini delle Juggalettes su Google è operazione che provoca non poco disagio, perché il tasso di trivialità che le fan degli ICP riesce a esibire, le pose sguaiate e sconce, ma anche solo i corpi sfatti, le pance da birra in evidenza, le tette cadenti, le lingue fuori dalla bocca, i tatuaggi su chiappe o parti del corpo che in genere non dovrebbero essere esibite in pubblico, ma che lì, le macchine parcheggiate nei pressi, proprio come a una fiera, tutto lascia pensare a un ambiente non esattamente edificante, sembra di essere in un film di Harmony Korine, in un libro di Harry Crews, in un’opera teatrale di Romeo Castellucci della Societas Raffaello Sanzio, in entrambi i contesti i corpi sono imperfetti, a tratti mostruosi, comunque disturbanti. La carica sessuale che evidentemente attraversa ogni singola immagine, in molti casi si simula il sesso, in altri addirittura lo si mette in mostra, anche la più goffa immagine, non ha praticamente nulla di erotico, semmai di pornografico e di pornografico detto con un piglio moralistico, di chi dissente, o quantomeno prova a farlo. Le foto di Miss Juggalettes, per dire, sono qualcosa che riscrive il concetto di osceno, pur dimostrando una certa leggerezza e con un tocco di surreale che quelle maschere da clown cattivi non possono che dare. Molte di queste immagini, leggo, derivano dagli annuali raduni che gli Insane Clown Posse e gli altri artisti della Psychopatic Records, la loro label, organizza negli States. Gathering of Juggalos, li chiamano, la Woodstock dei Juggalos, raduni giganteschi dove un popolo di adoratori si ritrova, diciamo così, lasciandosi andare. Anche quest’anno, se foste capitati a Thornville, Ohio, tra il 13 e il 16 agosto sareste potuti incappare in questo incubo a occhi aperti. Anche in questo caso, come nello stadio di Oakland dove nel luglio 1973 i Lynyrd Skynyrd, ancora tutti vivi, eseguivano quella fulminante versione di Free Bird da cui tutto questo mio parlare è partito, le donne e gli uomini che si vedono sono tutti bianchi, in questo ultimo e più recente caso con un tasso di promiscuità che ai tempi in tutti i casi non si sarebbero potuti permettere anche lì, in California, nella città dove è stato sintetizzato l’LSD e dove si era da poco consumata la Summer of Love. Dico questo non per dare al tutto una connotazione razziale, forse, ma son preconcetti, razzista, pur essendo il rap un genere che non dovrebbe prevedere razzismo, afroamericana come nascita, e pur prevedendo il Gathering of Juggalos che spesso salgano sul palco artisti afroamericani, da Ice Cube ai Cypress Hill, da Tone Loc al compianto Coolio, da Mystikal a Xzibit, a Busta Rhyme, a KRS One, agli Arrested Develpment, davvero troppi gli artisti passati di lì per citarli tutti. Tra questi anche la tribute band dei Grateful Dead, tanto per creare un altro cortocircuito in questa narrazione, corto circuito su cui questa narrazione per oggi si ferma.