La nuova sede in Via Pietro Micca
Flavio Briatore controlla ogni dettaglio del nuovo Crazy Pizza di via Pietro Micca, a due passi da piazza Castello, con la stessa precisione di sempre come racconta a Corriere della Sera. Tavoli, sedie, tappeti – «bellissimi, di Unopiù, azienda di cui è socio da un paio d’anni» – la disposizione dei posti, il personale: tutto deve essere perfetto. L’obiettivo, dice, è offrire un’esperienza, non soltanto una cena. «Usiamo i migliori prodotti, al prezzo corretto. Speriamo che la gente si diverta».
Le critiche al prezzo della margherita, 17 euro, lo lasciano del tutto indifferente. «Hanno scritto un sacco di cavolate. Quanto si spende dipende da cosa si mangia, come ovunque», ribatte con il tono deciso che lo contraddistingue.
Dopo ventitré locali aperti in tutto il mondo, Briatore riporta il suo marchio in Piemonte, la regione dove è nato, in provincia di Cuneo. A convincerlo è stato l’entusiasmo del licenziatario locale: «In Italia pensavamo di esserci fermati, invece eccoci qui». Ammette di conoscere poco Torino, ma parla con il piacere e la curiosità di chi ha ritrovato un luogo familiare. «Non mi sarei mai aspettato di aprire qui, ma l’ho fatto con entusiasmo, sperando si capisca che non è una semplice pizzeria».
Per Briatore, infatti, Crazy Pizza è molto di più: un luogo d’incontro, dove si viene per mangiare, bere e stare insieme. Dopo la parte più tranquilla della serata, arriva un dj a cambiare atmosfera, come un abito che si trasforma. Dietro la leggerezza apparente, c’è un lavoro meticoloso: studi sull’impasto – senza lievito, integrale, frutto di una ricerca continua – e controlli costanti per mantenere ovunque lo stesso livello di qualità.
Sulla pizza ha idee precise: la preferisce sottile, “alla romana”, e senza cornicione. «È come masticare un chewing-gum», dice sorridendo. Non si definisce un appassionato, ma è orgoglioso del prodotto.
Non mancano le frecciate ai critici. «In Italia c’è troppa gente che giudica a priori, media compresi. Non esiste la cultura del fare, ma del criticare. Sono degli sfigati», afferma senza giri di parole. E aggiunge che invidia e gelosia restano un male tutto italiano: «La gente ti perdona tutto, tranne il successo».
Parlando di Torino, Briatore la definisce una città bellissima, che dovrebbe smettere di inseguire Milano e puntare invece a superarla. Non teme che la centralissima via Pietro Micca, spesso teatro di cortei, possa essere un rischio per le vetrine del locale: «Spero che la gente venga qui per brindare, non per spaccare».
Sul futuro della città, segnata dalla fine dell’era Fiat, è realista: «L’azienda era la città, ma è inutile pensarci. La parte amministrativa ormai è altrove e i modelli non si vendono. Bisogna rimboccarsi le maniche e riconvertire la tecnologia rimasta sul territorio».
Da tifoso juventino, Briatore non risparmia critiche neanche alla sua squadra. «Non sono contento di come è stata gestita la Juve negli ultimi anni: giochiamo come la Cremonese, che però ha un altro budget». E su Spalletti, ora alla guida, concede un’apertura: «È un’opportunità. Tutti lo ricordano come ct azzurro, ma è lo stesso che ha portato il Napoli allo scudetto». Il tatuaggio di quell’impresa, scherza, «è come avere il nome della ex: se vince qui, dovrà tatuarsi quello della Juve. E comunque, è invitato».




