
Dalle finestre di casa mia si vedono le montagne. No, attenzione, non abito in una zona a ridosso delle montagne, né immerso nella natura. Abito in una zona semicentrale di Milano, ma da un lato di casa mia, quello che volge verso nord, abito al settimo piano, si vedono le montagne. O si vedrebbero le montagne, a essere più pragmatici, perché a Milano c’è spesso foschia, che è poi il modo elegante e rassicurante che usiamo per dire che c’è sempre smog, per cui spesso le montagne, laggiù, si intuiscono, sappiamo che ci sono quindi ci convinciamo di vederle anche quando neanche si riescono a intuire. Dalla finestra della mia cucina si vedono le montagne, e la mattina, quando faccio colazione, unico già sveglio in una famiglia di sei persone, con me svegli Sparkie, una tartaruga acquatica, e Scurina, un pesce rosso, le vedo. Quando non le vedo, perché appunto c’è foschia, le immagino, anche se la vista dei palazzi, del silos che funge da garage, della torre di quella televisione, di un paio di grattacieli, trasforma la prima vista delle mie mattinate spesso in qualcosa di assai poco immaginifico, naturale, inspiratorio. Quando però c’è il sole che è sorto da poco, la porta finestra della mia cucina volge a nord, quindi il sole che sorge non fa parte del panorama, c’è una vetrata in cima a un palazzo alto suppergiù come il mio, abbastanza distante, che si colora di rosso. Un rosso acceso, come poi saranno i tanti grattacieli ammassati dalla parte opposta, verso ovest, quelli che compongono i due nuovi poli di City Life e più vicino di piazza Gae Aulenti e l’Isola, tutti rosso accesi. Il fatto è che le vetrate rifraggono il sole, che sorge dal lato opposto della città, raccontandoci qualcosa di speranzoso e ottimistico laddove di speranzoso e ottimistico, di suo, ci sarebbe poco o nulla. Guardi lì, in mezzo a vetro, calcestruzzo e acciaio, e pensi che da qualche parte è sorto il sole.
Quella vetrata infiammata, lì in mezzo a palazzine anonime, tra me e le montagne, sono quasi tutti i giorni la prima cosa che mi accende le endorfine, il primo guizzo di spiazzamento che irrompe nella mia quotidianità, o a essere più terra terra, il primo segno che volere e potere, anche quando la foschia copre le montagne lontane, lasciando che sia solo l’opera poco fantasiosa dell’uomo a dettare ritmi e melodia.
Gabry Ponte ha vinto il San Marino Song Contest e andrà a cantare Tutta l’Italia a Basilea, all’Eurovision, esattamente come era chiaramente prevedibile. Saranno così tre le canzoni che parlano a loro modo italiano in quel contesto, quella di Lucio Corsi, Volevo essere un duro, lì a rappresentarci, la sua, a rappresentare una versione imbarazzante di noi, e quella di Tommy Cash, che invece è lì per gettare un velo di situazionismo in un contest altrimenti quintessenza della tamarritudine. La gente si è offesa con l’artista estone, fossi parte della gente sarei molto più incazzato con l’ex Eiffel 65 per il quadro assai poco edificante che propone, parlo di musica e parole, ma fortunatamente non faccio parte di quel contesto.
Gabry Ponte ha vinto il San Marino Song Contest, e fin qui nulla di strano, in una serata che ha però proposto almeno due canzoni, e quindi due artisti, che avrebbero meritato molto di più.
Preso atto che Eurovision è qualcosa che non premia mai la poesia, intendendo con questa un atteggiamento votato ai sentimenti e l’introspezione, non sono tra quanti sostiene che i testi delle canzoni siano poesie per il semplice fatto che le canzoni sono a loro volta una forma letteraria, che prevede anche la musica, e che quindi Pierdavide Carone non avrebbe potuto e forse neanche dovuto vincere, a lui giustamente il Premio della Critica, perché lui ha portato un brano di spessore che in quella direzione guarda, ostinatamente. E preso anche atto che l’ultima settimana di Pierdavide Carone è comunque da incorniciare, credo sarebbe d’accordo con me, prima la vittoria a Ora o mai più con Non ce l’ho con te, poi il passaggio sempre in Rai al San Marino Song Contest, con Mi vuoi sposare?, peccato giusto i tanti, troppi articoli che si soffermino sulla sua vita privata, lui così discreto da essersene sempre stato per i fatti suoi, ma ormai avrà ben capito come gira il mondo dello spettacolo, cantautore di talento e di spessore, direi che se Gabry Ponte è stato il vincitore annunciato e reale, entrato Papa e uscito Papa nella banalità più sconsolante, lui è stato uno dei vincitori morali, chi se ne frega della classifica finale.
Ma è un’altra voce, un altro talento, un’altra penna e presenza scenica che esce invece vittoriosa da quel contesto, per aver saputo far proprie le istanze non sempre edificanti di contesti come quelli e averle trasformate in qualcosa di proprio, applicando il postmoderno al tutto, e facendo di un semplice passaggio televisivo qualcosa di assai più alto e interessante, parlo di Elasi e della sua Lorella. Elasi è oggi come oggi l’artista più assimilabile all’idea di postmoderno che mi venga in mente in Italia.
Un passo indietro, tanto scrivo sempre pezzi lunghi e seppur io giri da queste parti da poco tempo vi sarete già in qualche modo abituati.
La faccenda del postmodernismo mi sta particolarmente a cuore. Credo e temo per ragioni meramente anagrafiche, sono nato negli anni Sessanta, ma a ridosso della fine degli anni Sessanta, quando quel sogno lì, la Summer of Love, Woodstock, gli anni del boom, stava per prendere un palo in faccia. Non voglio dire che la mia esistenza sia stata segnata dalle domeniche senza auto, non intese come primo passo verso una sostenibilità ambientale che ai tempi neanche si sapeva cosa fosse, quanto piuttosto sintomo di una crisi economica che avrebbe presto fatto infrangere i sogni senza frontiere dei nostri genitori, figuriamoci i nostri, ma è evidente che se l’artista caratterizzante della mia generazione è Kurt Cobain, e lo scrittore caratterizzante della mia generazione è David Foster Wallace, entrambi morti suicidi, qualcosa vorrà pur dire, penso. Il sogno di un mondo dotato di futuro, leggi alla parola ottimismo, è morto con quel periodo lì, il postmodernismo, parlo di letteratura, certo, ma di arte in generale, è arrivato a provare a metterci quella che volgarmente chiameremmo “pezza a colori”, l’ironia, il citazionismo, la destrutturazione del narrare a indicare una crepa, laddove molti hanno letto superficialmente una bonaria pacca sulle spalle a un mondo fatto di plastica e schiuma.
Chi se ne frega della realtà, si sono detti, se la realtà è questa che vi avete apparecchiato davanti, tanto vale farne una descrizione sarcastica, mettendo sullo stesso piatto alto e basso, stratificando, certo, e comunque contrapponendo a un paesaggio monodimensionale, come le facciate in truciolato dei villaggi dei film Western, un mondo variegato e ipercolorato, altrettanto falso ma decisamente non ipocrita. Di colpo, quindi, il pop è diventato non solo una strada percorribile, ma addirittura una strada interessante da percorrere, piccole differenze piuttosto rilevanti. Contrapporre a un reale ingannevole un immaginifico cinicamente impietoso è di colpo diventata la sola possibilità plausibile, almeno per quanti non hanno deciso di arrendersi al paradosso, o forse arrendersi e basta, Mark Fisher docet.
Ora, come passare da un suicidio tragico, in quanto razionalmente cercato, come quello di Mark Fisher, e una ventata di energia e leggerezza postmoderna come quella portata a San Marino da Elisa e dalla sua Lorella, brano dance spumeggiante costruito per veicolare un balletto, a sua volta veicolato dalla stessa Elasi in compagnia di due gigantesche drag queen, brano che cita mica a caso Lady Gaga e Raffaella Carrà, oltre la Lorella che dona a tutto il titolo, è operazione complicata, solo apparentemente impossibile. Il fatto è che Elasi, non lo scopriamo certo oggi, è una cantautrice, producer e DJ decisamente multistrato, che è accreditata nel mondo del clubbing, certamente, ma ben si è mossa e si sta muovendo i quel pop internazionale solo da noi considerato eccentrico, i suoi passaggi allo Sziget o a Eurosonic la riprova che siamo noi come popolo, la famosa gente, a essere due passi indietro, non certo il resto del mondo. E se Cosmo è riconosciuto a ragione come un cantautore che ha il clubbing se non addirittura il mondo dei rave come campo di battaglia o di gioco, stupisce coem Elasi, andatevi a recuperare i suoi lavori sulla lunga distanza come Campi Elasi, del 2020, Oasi Elasi, del 2023, e il recente Elasir per immergervi zeppe e tutto nel suo immaginario. Un mondo che non ha certo i confini patrii come steccati, e che miscela suoni dance a quelli provenienti da ogni angolo del pianeta, tanto quanto un’estetica assolutamente a fuoco, di quelle che indosso a artiste internazionali ci fanno applaudire, ma fatichiamo a decifrare correttamente se portate avanti da nostri connazionali.
Elasi a San Marino Song Contest si è piazzata quarta, letteralmente sovvertendo pronostici che vedevano lassù nomi sempre in apparenza più in hype. Con la sua Nu Disco, infatti, Elasi si dimostra in grado di farci muovere il culo lasciando che la testa la segua, esattamente facendo propri i noti versi di George Clinton. E come il George Clinton a metà strada tra Parliament e Funkadelic, anche Elasi è chiaramente arrivata sul pianeta Terra dal futuro, per altro forse involontariamente flirtando proprio con la poetica che fu di Mark Fisher e dei suoi compari del CCRU, la Cybernetic Cultur Research Unit, Kodwo Eshun in testa. In Elasir, il suo primo album, i lavori precedenti erano degli EP, collabora anche Plastica, altra collega producer con la quale Elasi ha fondato POCHE Collettivo, un collettivo, appunto, di artiste donne in un mondo di uomini, tra le altre anche WhiteMary, un modo per farsi forza vicendevolmente, certo, ma anche per rimarcare un passo diverso in un contesto che spesso discrimina o marginalizza chi non rientra in determinati canoni, essere uomini tra questi. Le sue canzone, Lorella, contenuta in Elasir, ne è prova provata, sono un miscuglio di influenze sonore da tutto il mondo, e anche di parole da svariati paesi, lì a dar vita a una sorta di esperanto sonoro che punta a abbattere barriere, siano essere legate alle nazionalità come ai generi, la presenza delle due drag queen con lei sul palco del San Marino Song Contest non era certo una faccenda solo di show.
Il fatto che a rappresentare San Marino, e quindi l’Italia, ci sia finito Gabry Ponte, cioè la versione mainstream e assolutamente posticcia di un immaginario non solo sonoro ma anche estetico e culturale, è una non notizia, risaputa ancora prima di avvenire, il fatto che oggi molta più gente conosca Elasi, invece, è un’ottima notizia, di cui essere felici e non solo per lei. Nelle immagini di lancio del singolo Musica Especial, altra traccia di Elasir, parente stretta della Lorella portata in gara a San Marino, Elasi appare come un sirena glitterata. Ecco, dovessi al momento decidere come e dove naufragare, senza stare a tirare in ballo un noto collega nato dalle mie parti, direi che farlo con le canzoni di Elasi non sarebbe affatto male. Nel mentre il sole è sorto del tutto, la vetrata nel palazzo che si tinge i rosso all’alba è tornata una semplice vetrata, e dovrò aspettare domani per tornare a guardarla con lo stupore di un dettaglio capace di portare energia nel piattume metropolitano. A volte è una questione di volontà, vedere il bello laddove il bello non è, poi ci sono le eccezioni come Elasir, e chi non è in grado di capirlo si tenga pure quella tamarrata di Gabry Ponte, povera anima perduta.