La moda mi affascina, ma non è mai stato uno dei miei più grandi interessi, infatti oggi voglio raccontarvi e analizzarvi la sfilata di Dolce Gabbana a Roma, non per quanto riguarda la moda, ma per il punto di vista dei beni culturali.
Il recente show di Dolce & Gabbana ai Fori Imperiali, principalmente via Sacra e Foro Romano, è stato senza dubbio uno spettacolo visivamente potente, abiti drappeggiati come statue, corpetti dorati che richiamano armature romane, e il simbolo della lupa capitolina ricamato su mantelle di velluto, un tripudio di scenografia e opulenza.
I vestiti “fatto a mano”, le citazioni latine, le epoche fuse, dall’antica Roma al cinema hollywoodiano degli anni ’50–’60, erano affascinanti, certo, ma sollevano una domanda: a che prezzo?
Usare un luogo sacro alla storia politica, religiosa e sociale dell’umanità come passerella rischia di svuotarlo di senso, trasformandolo in set cinematografico di un’orgia di Couture.
Mi domando, quindi, opportunità o sfruttamento?
Da un lato, l’iniziativa punta i riflettori su Roma, la sua bellezza e i suoi artigiani, dai filati, tessuti, ricami lavorati da mani esperte, posti sotto il sole romana, una sorta di celebrazione del made in Italy, che nella moda è anche sinonimo di pregio.
Dall’altro, però, la manipolazione dello spazio pubblico per rendere esclusivo un evento dedicato a 450 facoltosi acquirenti, solleva problemi di accessibilità, turismo élitista e mercificazione del patrimonio culturale, che come abbiamo già visto, quando abbiamo trattato il tema del Colosseo e la vendita dei biglietti, non è figlio di una buona gestione.
Iconografia drammaticamente, la rinascita storica poteva dirsi riuscita? Le armature dorate e le vestali in abito da sera rischiano di cadere nel kitsch del costume teatrale, svuotando di profondità l’ambientazione?
Possiamo definirla dunque una dimostrazione di potere o una riconciliazione con la storia?
Un segnale del potere dei fashion brand, sì, che Dolce Gabbana non ha mai disdegnato.
Ma dove rimane il dialogo con archeologi, comunità accademiche, cittadini? Sembrano spettatori di un’operazione prestazionale, non interlocutori.
Una sorta di patriottismo in nuovo stile. Forse Dolce & Gabbana volevano ricordarci che Roma è viva, non un museo pietrificato. Ma a che costo estetico ed etico?
Lo show ai Fori Imperiali rimane un colpo da maestro visivo, un’esperienza emotiva, “l’energia” di cui parla Domenico Dolce in Vogue, ma innesca pericolosi cortocircuiti tra rappresentazione storica, elitismo culturale e sfruttamento iconico del bene pubblico.
In tempi di crescente sensibilità per l’uso critico degli spazi storici, sarebbe necessario porre una domanda: questi sontuosi rituali mediatizzati servono davvero la cultura, o ne sono solo l’ultimo simbolo-lussuoso?
In definitiva: un grande show, bella la confezione, ma doverosamente ambivalente, perché se la moda è energia, i Fori sono storia, e non meritano di restare semplici scenografia.
E come sempre, l’Italia si dimostra un paese che tende a preservare l’apparenza che la sostanza della storia e del contenuto che porta con sé.