È l’una di notte e sono seduto sulla tazza del water della nostra camerata, camerata che noi sei condividiamo con altre sei persone, tre signore di Firenze partite da Porto, una coppia italiana silenziosissima, da svegli, è un ragazzo del nord Europa piuttosto solitario. Sono seduto qui perché avere un po’ di pace durante il Cammino di Santiago, intendo con la parola pace quella forma di intimità che ti permette di startene in solitudine senza che ci sia qualcuno in fila davanti alla porta, è faccenda rara. E perché comunque non riesco a dormire. Sempre la solita faccenda, soffro di insonnia, ma con in più la complicazione di stare in stanza con tre signore più anziane di noi che russano come locomotiva e per di più russano fuori sincrono. Pensate a una batteria di russii, non so se si dice così, inizia una, poi un’altra e quando la prima sta finendo il suo strombazzamento inizia la terza, in una cacofonia nella cacofonia, roba che a uno come me, fissato con la musica, è capace di mandarmi fuori di testa. Siamo andati a letto neanche troppo presto, alle undici, dopo aver cenato in ostello, fatto il gioco da tavolo di Lucia in piazza, fatto la terza diretta Instagram del viaggio, che coprirò solo domattina mi ha bruciato ventuno giga di traffico e poi fatto un giro in paese, replicando quello già fatto nel pomeriggio, Tui, Porrino e Redondela sono assai diversi tra loro, accomunati giusto da alcune costruzioni storiche affiancate da palazzine nuove e molto brutte (alcune coperte da lamiere, altre lasciate incompiute. Altre fatiscenti), Francesco che è finito a giocare a calcio coi ragazzini locali, come in ogni nostro viaggio, siamo andati a letto presto e io già da subito ho capito che non avrei dormito un minuto. Nonostante fuori facesse freschino, quasi freddo,
La stanza era calda. Ma per questo, è ovvio, sarebbe bastato aprire una finestra. Solo che l’albergue affaccia su una piazzetta, dove passa e si ferma gente a parlare. Niente in confronto al concerto per nasi messo su dalle tre signore toscane, una roba quasi assordante, presto impreziosita dal vaneggiare sonnambulo del tipo del nord, e da varie e eventuali. Di fatto all’una sono seduto sulla tazza, nella solitudine del bagno, a interrogarmi su parecchie cose. Tipo cosa spinga un uomo di cinquantasei anni, non dico benestante, immagino per pudore, ma che comunque si può permettere di vivere crescendo quattro figli a Milano, ora con lui in vacanza, a spendere soldi e tempo in una vacanza, appunto, che contempli notti insonni, sedute solitarie all’una dopo mezzanotte al fine di. Non essere disturbato, il tutto dopo aver camminato per tutta la mattina sotto il sole, con uno zaino pesante sulla schiena. Se infatti fino a prima di partire pensavo che questo viaggio avrebbe anche potuto essere una sorta di studio antropologico sui pellegrini, questi sconosciuti, ora mi rendo conto che il vero oggetto di questo studio dovrei essere io, che pellegrino lo sono ma con molta meno convinzione di altri. Perché non fosse la faccenda del non riuscire a dormire per il russio o a cagare per il caso, resta che ritrovarsi a augurarsi quasi la morte di qualcuno mentre si è nel mezzo, beh, nel mezzo magari no, all’inizio di un pellegrinaggio non credo sia molto coerente. E se dico quasi, per altro, è solo perché mi sono anche detto, spero per sfinimento, che se davvero poi i miei compagni di stanza fossero morte e morti sarebbe stato ancora peggio, la polizia, le ambulanze, gli interrogatori. È che va bene camminare, diciamo così, ma gli ostelli…
Ecco, parliamone. La notte prima di partire per Milano, primo pit stop alla volta di Porto, e poi di Tui, non ho chiuso occhio. Non per l’emozione, attenzione, sono abbastanza abituato a viaggiare, da sempre, e neanche per apprensione, idem, ma perché soffro di insonnia, l’ho già detto, e in Ancona, lì eravamo, faceva di nuovo un caldo boia. Considerate che io e mia moglie abbiamo passato il mesetto scarso passato lì in camere separate, proprio perché io soffro il caldo e non riesco neanche a tollerare il rumore dei ventilatori, tanto per dire. Insonne sul letto, madido di sudore, ho quindi cominciato a ragionare su quel che ci sarebbe aspettato, concentrandomi, era notte e ero sveglio nel letto, sui giacigli che ci avrebbero di volta in volta accolto. Ho quindi chiesto a Gemini, la ChatGPT di Google, se negli ostelli dove saremmo andati, albergue in spagnolo, c’erano cuscini, delle lenzuola poco mi importava perché ne abbiamo uno a testa fatti a mo di sacco a pelo, e ho scoperto che sì, gli albergue ne forniscono, poi ho chiesto, già che c’ero, se in quegli albergue le camerate erano comuni e se sì quanto grandi, per scoprire che saremmo stati in albergue un po’ “commerciali”, quindi con stanze piccole e senza camerate. Questo almeno tranne in un caso. A quel punto sono anche andato a vedere le recensioni su Tripadvisor, scoprendo che quando fa caldo, in genere, negli albergue fa più caldo, e lo stesso quando fa freddo. Vuoi a questo punto non andare a vedere il meteo per le prossime settimane. Tempo variabile, con qualche giorno di nebbia, qualche pioggerellina sparsa, ma tendenzialmente bello e anche piuttosto caldo. Sia mai che dovremo fare come certi nostri amici, penso alla cantautrice Federica Camba, che si alzava all’alba per camminare prima che il sole picchiasse. Stando comunque alle recensioni i nostri albergue sono tra i migliori, per alcuni degli utenti anche troppo, perché non abbastanza spartani e quindi veritieri. L’idea del pellegrinaggio, questo è il cammino di Santiago, prevede anche il relazionarsi con gli altri pellegrini, in effetti, e se non lo fai negli ostelli dovrai farlo solo cammin facendo, questo dicevano quei commenti. Personalmente preferisco parlare con gente mentre cammino che mentre provo a prendere sonno a letto, almeno con sconosciuti, ma capisco che stanze che non prevedano convivenza tolgano un certo folklore al tutto. Essere andato a leggermi le recensioni degli albergue, forse, non è stata una mossa in linea con lo spirito del cammino di Santiago, e quello che in genere si fa in qualsiasi altra vacanza, però, credo sia normale,e anche più normale dal momento che a scegliere e quindi prenotare gli albergue in questione sia stata una agenzia, senza prima ovviamente consultarci, l’agenzia in questione l’abbiamo pagata proprio per questo, per evitarci di dover scegliere sul posto una volta arrivati. Esserci andato a ridosso della partenza, complice l’insonnia, da una parte è una attenuante generica, quando si è svegli di notte si fanno pensieri che in genere non si fanno di giorno, dall’altra la prova provata che al Cammino ci sono comunque arrivato lungo, avrei potuto fare quella ricerca appena abbiamo avuto l’elenco degli albergue, un paio di mesi fa. Certo, ho letto un sacco di libri a riguardo, e non solo a riguardo, ispirato dal libricino Camminare di Henry David Thoreau, mi sono addentrato anche in Walden, vita nei boschi, scoprendo un modo di intendere la vita e anche la società non troppo distante da chi decide di affrontare il mondo a piedi, si tratti di fare un pellegrinaggio, un viaggio non dichiaratamente spirituale, o di affrontare la città. Ho quindi letto molto, ma non ero ancora andato a studiare nel dettaglio il Cammino, e neanche il nostro cammino. A rasserenarmi, almeno ‘parzialemente, vedere che sull’aereo che da Milano ci ha portato a Porto o Oporto che dir si voglia, c’era un tipo, clamorosamente somigliante a Luca Fantacone, A&R del catalogo della Sony, che stava leggendo la guida che ho regalato a mia moglie a Natale, come simbolo di questo viaggio. Avevo fatto una cosa del genere anche anno scorso, quando per celebrare la scelta di festeggiare i nostri. venticinque anni di nozze con tutta la famiglia abbiamo deciso di andare in Tanzania a fare un safari e poi a passare qualche giorno al mare a Zanzibar. In quell’occasione le ho regalato un tipico cappello da safari, color sabbia, con tanto di retina per proteggersi dagli insetti, un kit di sopravvivenza con tutto quel che serve, dagli attrezzi ore cucinare, a quelli per accendere il fuoco, finimmo a un coltello, col quale immagini difendersi dalle fiere e poi scuoiarle una volta uccise. Siccome però sono un inguaribile showman, non mi sono limitato ai regali, ma mi sono anche mascherato da rinoceronte per darglieli.Un ‘rinoceronte in Ancona, la vigilia di Natale, con dei doni in mano, o sulla zampa, fate voi. Mica un caso che il libro in cui ho raccontato quel viaggio si sia poi intitolato “Considera il rinoceronte”, omaggio sia al David Foster Wallace di “Considera l’aragosta”, sia al Douglas Adams che ha scalato il Kilimangiaro vestito, appunto, da rinoceronte per promuovere l’organizzazione Save the Rhinos. Quest’anno sono stato più sobrio, sia nei regali che nel look, anche perché il Cammino di Santiago mi ha fornito decisamente meno materiale su cui lavorare. Comunque nel nostro volo c’era il sosia di Luca Fantacone della Sony che leggeva la guida, è soddisfatto condivideva con un suo compagno di Cammino, immagino, informazioni anche basilari, come la notizia, non recentissima, né Santiago è in realtà San Giacomo il Maggiore, del suo essere stato in zona per evangelizzare, prima di tornarsene in Palestina per trovare la morte da martire per decapitazione, Luca Fantacone, lì, ha ripetuto non so quante volte la parola “garota”, e del suo ritorno sotto forma di salma a bordo di una barca trasportata da angeli, e anche qui, come per garota, sai le risate di Luca Fantacone. Il top, comunque, è stato quando ha scoperto che la birra costa solo un euro, questo dice la guida, della serie che ognuno affronta il Cammino di Santiago con i propri propositi.
Va bene, quindi, sentirsi in colpa, ma con moderazione, c’è chi ha fatto molto peggio di me. Del resto sapere troppo, o, peggio, sapere tutto credo rovina a prescindere qualsiasi viaggio, privo di colpo del giusto stupore. Bene hanno fatto i nostri figli, che non solo non hanno letto nulla a riguardo, non dico i gemelli, anche se Chiara è diventata grazie ai romance un vero topo di biblioteca, ma almeno i più grandi pensavo volessero sapere qualcosa, ma neanche a chiedere, se non una volta arrivati in aeroporto, quando ormai, per capirsi, le loro sorti erano segnate. Sapevano che si sarebbe camminato, ovviamente, e che sarebbe stato un cammino più impegnativo del solito, in genere quando viaggiamo siamo soliti girare per le città a piedi, il più possibile, il nostro record di famiglia è quasi ventitré chilometri fatti un giorno di qualche anno fa a Budapest, solo passeggiando, e lo sapevano anche perché, in una giornata di pioggia, giornata di pioggia iniziata andando a Loreto, intendo Loreto Loreto, nelle Marche, non piazzale Loreto, non troppo distante da casa nostra, i fatti narrati sono accaduti mentre evamo ancora lì, siamo andati d Decathlon a comprare scarpe da running, quelle da trekking ci sembravano troppo, oltre che calze ad hoc e pure, ma quelli in farmacia, cerotti per le vesciche ai piedi. Beata innocenza, la loro, e forse anche un misto di menefreghismo e fatalismo, vallo a capire. Di fatto gli ostelli sono tutti mondi a sé stanti, e quello di Redondela, e i tre provati fin qui, è quello più ostello, quindi anche quello meno comodo. Non i letti, tutti davvero comodi, parlo della comodità di avere spazi personali, di non dover sentire il russare degli altri, dell’avere il cesso in camera, roba così. Metteteci qualche macchia di umidità di troppo in bagno, un millepiedi che stamattina camminava sopra Francesco a letto, e tutto quello che ho raccontato, capirete come il risultato non sia stato dei migliori.
Fortuna che latappa di oggi, comunque sia, prevede che noi si parta da Redondela alla vicina Arcade, una tappa che Jeorge dell’Agenzia ha pensato per noi, non prevista altrimenti. Sei chilometri e mezzo, ha scritto nella nostra tabella di marcia, come ieri ne aveva scritti prima nove e poi quindici, in realtà ne abbiamo fatti diciotto e mezzo, e l’altro ieri sedici, divenuti magicamente diciannove e mezzo. Ovviamente i chilometri si dimostreranno dieci, santo Jeorge Bertinotti, e in buona parte fatti in salita e discesa. Da ora in poi sarà sempre così, ci ha spiegato un pellegrino romano in giro con sua figlia mostrandoci una app con tutti i dislivelli indicati chiaramente, app di cui Jeorge non ci ha fatto cenno, e che io non posso scaricare perché ho finito in tre giorni ventuno giga di traffico, fatto di cui Lucia era a conoscenza, che i giga illimitati all’estero sono limitati, ma di cui si è dimenticata di mettermi a conoscenza, maledizione. La vista, dallo scollinamento, è spettacolare, e questo in parte spiega il perché un pellegrinaggio tocchi farlo a piedi, questo nonostante con noi esattamente in quel punto di fosse una ragazza, anche lei romana, che ha fatto un pezzo del cammino in treno, perché indisposta, la sua amica invece è andata avanti senza di lei, amica amica amica un cazzo.
Fare solo dieci chilometri comporta metterci ovviamente meno del solito, sempre che tre giorni contemplino la possibilità di usare un termine come “solito”, questo nonostante si sia andati assai più lentamente. Di fatto a Arcade ci siamo arrivati per neanche le undici, con l’albergue Liminaires che apriva il check in alle tredici. Quindi siamo andati a vedere il famosissimo ponte romano, sul quale si è combattuta una importante battaglia che ha per protagonista Napoleone, ci ha detto tra le righe una madre di famiglia di Ravenna debordante, nell’’eloquio quanto nella forma, onestamente niente di che, e poi a mangiare ostriche al ristorante, fatto forse poco in linea col pellegrinaggio ma credo necessario. Arcade, dicono le guide, è la capitale dell’ostrica. Mia moglie Marina ne va pazza. Bene. Chiediamo a un anziano, il quale non ha mai sentito parlare di ostriche, e ci indirizza verso un ristorante carissimo, spero di sua proprietà. Tra noi iniziamo a ipotizzare che l’anziano sia in realtà Jeorge, non pago di averci parlato di chilometri a caso. Andiamo in altro ristorare, buonissimo, ma non enonomicissimo, andando fuori budget, ma sono pur sempre un uomo di mezza età che vive a Milano crescendoci quattro figli, mica dovrò solo stare seduto sulla tazza all’una di notte, no? Il nuovo ostello è molto bello, con una camerata gigantesca, di cui noi sei occupiamo però ben un’ala da soli. Unico inconveniente, le docce assieme da spogliatoio, e non tutti i nostri figli se la vivono alla stessa maniera, ricorrendo a una doccia privata dentro il bagno per i disabili. Visto che qui c’è un enorme spazio comune e una bella cucina, con tanto di spazio all’aperto, credo che stasera cucineremo, riequilibrando le spese che ci eravamo fissati per ogni giorno. Nessuno dei pellegrini visti neo primi giorni e nei paraggi, tutto evidentemente diretti oggi a Pontevedra, dove noi andremo domani. Chiara è triste per questo, ma lei è la più sensibile dei quattro. Mentre eravamo a pranzo mi ha chiamato tale William, che iter due giorni dovrà venirci a prendere a San Amaro per riportarci a dormire all’albergue di Potevedra, visto che a San Amaro di ostelli non ce ne sono. Poi la mattina seguente ci riporterà di nuovo lì, per riprendere il cammino dal punto giusto,e così farà due giorni dopo, sempre per il medesimo motivo. William mi ha chiamato perché era a San Amaro oggi, in nostra stessa. Jeorge gli ha dato un programma sbagliato. Me lo immagino seduto su una poltroncina gonfiabile a forma di mini poni o fenicottero in una piscina di Miami, del tutto estraneo a tutto ciò che riguarda il Cammino di Santiago. Il karma prima o poi risolverà le cose, mi dico, mentre provo a sistemare la faccenda dei giga, e se non ci penserà il karma ci penserò io stesso.