Quel briciolo di esperienza nel campo della narrativa che tutti questi anni come narratore mi hanno lasciato mi insegna che quando crei in maniera potente una aspettativa di un certo tipo, nello specifico narrativa, avendo prima descritto Caldas de Reis come una cittadina inaccogliente, la donna barbuta, Miss Simpatia, non ho descritto la titolare di El Timonel solo perché di fronte alla bruttezza dell’ostello qualsiasi cosa avesse fatto o detto sarebbe passato in secondo piano, ecco, quando crei in maniera potente una aspettativa negativa, questo è il caso, il colpo di scena migliore sarà rovesciarla, andando a dire esattamente il contrario di quel che ci si sarebbe potuto e dovuto aspettare. Avendo quindi io detto che non avrei usufruito del bagno, senza se e senza ma, perché di cagare in mezzo a un bagno aperto, con tre box doccia, mi sembrava poco adatto alla mia persona,e. Altrettanto sicuramente non avrei chiuso occhio, cuccette strette e scomode,e. Attaccate a suddetti bagni, nessuna intimità nei confronti degli altri avventori della camerata, insomma, un disastro, ora dovrei dire che finalmente, dopo sei giorni di Cammino, sono riuscito a andare in bagno proprio lì, a El Timonel,,e che finalmente sono anche riuscito a dormire come un giusto, in barba scomodità e assenza di privacy.
Ma siccome dire che non pratico da anni letteratura è una sciocchezza, perché non ho mai smesso di farla, semplicmente e ora la spaccio per giornalismo, in questo caso potrei azzardere anche una narrativa di viaggio, so bene che se ribaltare una aspettativa è un buon espediente, fare il doppio salto mortale e, dopo aver lasciato intendere che una spettativa si è ribaltata tornare all’idea di partenza, e quindi ribardirl, e ancora meglio. Questo avevo apparecchiato e questo dico: non sono andato in bagno e non ho chiuso occhio, anzi, ho quasi sofferto di claustrofobia, con ancora negli orecchi la voce sgraziata della titolare del El Timonel, che fottendosene di noi pellegrini ha urlato tutto il tempo, e lo sciabordio dei panni lavati a ore improbabili nei lavatoi, posti a mezzo metro da noi, sciabordio provocato da quei medesimi pellegrini che ci hanno intimato il silenzio appena arrivati, maledetti.
Fortunatamente ieri, mentre mandavo malauguri a chiunque, Jeorge mi ha chiamato col capo cosparso di cenere, e mi ha comunicato che oggi, tornati dalla nostra camminata, perché anche oggi come il primo giorno a Pontevedra, all’arrivo della nostra tappa dovremo chiamare una taxista, tale Veronica laddove a Pontevedra era William, sovrappeso taxista di origini avellinesi, cVeronica che ci riporterà al nuovo ostello, l’Albergue Albor, le cui recensioni sembrano quantomeno rassicuranti, né topi né squallore supremo. Sapere che andremo lì, oggi, non ci ha fatto dormire meglio ieri, non abbiamo dormito affatto, ma quantomeno ci ha fatto ben sperare, che è già qualcosa, il fatto che il pomeriggio di ieri sia andato a puttane, e che nessuno abbia recuperato energie è dato di fatto che nessun capo cosparso di cenere potrà mai espiare questa colpa, come del resto nessun capo coperto di cenere ripagherà, stavolta parlo di soldi, il fatto che abbiamo pagato per un ostello carino e con piscina e siamo finiti a dormire in un cessi, amen. La cena, va detto, arrivata dopo un giorno in centro,,post pioggia, un salto alla fonte termale dove è possibile fare gratis trattamenti ai piedi, una fonte di acqua fredda a due passi da una fonte con acqua bollente, facile d a trovare visto che ci passano tutti i pellegrini, una foto sul ponte romano, qui in Spagna sono molto sensibili ai resti archeologici di epoca roman, un salto a supermcatomoer prendere le enoanada che poi avremmo mangiato lì, nello spazio com7ne aperto di fronte a El Timonel, tra altri pellegrini e semplici clienti del bar El Timonel, stessa proprietà dell’albergue, lì a due passi. Una situazione naif, indubbiamente, con due pellegrine nordiche, poi scopriremo tedesche, appena arrivate e già intortate da un locale, due pellegrini entusiaste della location, hanno evidenziato con un doppio WOW urlato quando hanno scoperto di dormire nello stesso letto a castello. Medesime pellegrine che in mattinata, poco prima che lasciassimo l’ostello dopo una notte insonne. Tormentat,a dico solo che per ovviare all’impossibilità di usare un cuscino altissimo di gomma, sono stato costretto a farmene uno io, usando come federa la felpa di mia moglie, e come cuscino coperte e felpe dei miei figli, sveglio ma almeno senza torcicollo, il viavai nel bagno, la doccia di tre quarti d’ora proprio di una delle tedesche, il russare fuori sincrono dei miei vicini di letto, padre e figlia, la claustrofobia di un leggo a castello preso dalla casa dei sette nani, chiaramente.
La tappa di oggi, comunque, che temevamo funestata da una fastidiosa pioggerellina, ma che in realtà abbiamo fatto sotto un sole neanche invasivo, vista l’ari fresca, Caldas de Reis prova a riscattarsi, prevede noi si arrivi abbastanza vicini, a Carracedo. So che questa faccenda dei taxi è buffa, e so anche che richiama tremendamente alla mente Il cammino di Santiago in taxi, album di Brunori SAS di quasi dieci anni fa che ha causato, ne parlavo altrove, un dissing tra me e il cantautore calabrese, io a scrivere sul Fatto Quotidiano, che il disco in questione era pura maniera e che a quel punto avrei preferito che a vincere la Targa Tenco come Miglior album in assoluto fossero i Dear Jack, che almeno erano fuffa che non si spacciava per altro che fuffa, e lui a scagliarmi contro i suoi fan, come una Laura Pausini qualsiasi, dissing poi finito con un chiarimento e dopo con un buon rapporto di stima reciproca, all’ultimo Festival lui a dirmi in diretta video che in fondo allora avevo ragione. Questo discorso a parte, il titolo di quel libro partiva da una notizia di cronaca, una signora si era fatta il cammino non a piedi o in bici o in cavallo, come previsto, ma in taxi, mettendo i timbri nella credencial e tutto, ma senza fare un passo. Per noi è diverso, perché il taxi ci prende dove siamo arrivati e ci riporta indietro, visto che non ovunque ci sono ostelli, e poi la mattina dopo ci riporta al punto in cui ci ha recuperato il giorno prima. In taxi abbiamo fatto per due volti un percorso a ritroso, senza avvantaggiarcene nel nostro avanzamento verso Santiago. E come noi altri, abbiamo visto, spero più fortunati di noi con le prenotazioni degli ostelli.
Gli ostelli, provo un attimo a approfondire. Sono parte integrante del Cammino di Santiago, e lo sono perché da una parte i Pellegrini dovrebbero rigettare il lusso, credo, dall’altra costano poco e quindi permettono anche a chi non se lo potrebbe permettere di compiere questo gesto spirituale. Tutti molto bello, con delle criticità.
Questa faccenda del condividere spazi con sconosciuti continua a non convincermi del tutto. Anzi, non mi convince affatto. Nel senso, dormiamo in camerate con persone di cui ignoriamo nome e nazionalità, spesso anche la faccia, se come spesso capita sono andati a dormire prima del nostro rientro in ostello e la mattina si alzano prestissimo e quando è il turno della nostra sveglia di suonare, per altro senza svegliare più nessuno, visto il casino che questi sconosciuti senza nome, volto e nazionalità hanno fatto, se ne sono già andati. Quindi la nostra breve convincenza è fatta prevalentemente di rumori percepiti durante la notte, leggi alla voce russare, in alcuni casi anche scoreggiare, rumori che si fanno più insistenti e forti la mattina, leggi alla voce parlare, preparare gli zaini senza attenzione, e niente più. Come vivessimo nel contrario di quel film, A quiet place, dove la Terra è in balia di una invasione aliena, coi mostri che riescono a trovare e uccidere gli umani sentendo i rumori, privi di vista come sono, e tutti sono costretti a tacere e vivere nel più totale silenzio per sopravvivere, mi sembra di vivre in un posto dove tutti tendono a fare troppi rumori, o a farli nei momenti sbagliati. Per il resto la presenza altrui si manifesta sotto forma di bagni occupati, ce ne sono sempre troppi pochi per i posti letto, rammento che qui a Caldas de Reis, a El Tu,Noel, ce n’è unominnmezzomao,bagno, di fronte alle tre porte delimbixmdiccia, di cucine occupate, questo solo a Arcade, altrove le cucine sono sempre prive di fornelli, quindi ci si limita a mangiare cibi non cucinabili, e al massimo incrociare qualcuno che si è fatto la doccia, o che sta provando alla bene è meglio di curarsi i piedi feriti. Niente che sfoci nella socialità, nello scambio culturale, è solo convivenza rumorosa e priva di linguaggio. Con in più tutte le scocciature del caso, oltre all’evidente difficoltà di dormire in un posto dove la gente russa in massa e la mattina presto si veste facendo casino, quello dei bagni occupati, o dei bagni liberi ma dei lavandini o le docce occupate mentre vorresti usufruire in santa pace dei bagni. Insomma, niente che porti a un qualche valore aggiunto.Uno dice, ma è il bello degli ostelli, vivere in uno stato semibrado, a contatto con gli altri, come in campeggio. Ecco, esatto, il campeggio. Ci sarà un motivo se non vado in campeggio da almeno trenta e passa anni, e se quando ci sono andato non era esattamente per mia scelta. L’idea di fare qualcosa di inutilmente scomodo, è di farlo pagando è a tutt’oggi per me un mistero, al pari del perché ci sia gente che si appassiona per le fiction della Rai.
Quando giorni fa siamo entrati in una delle camerate che ci hanno ospitato fin qui, non dico qualche perché parlerò di una ragazza Italiana e non vorrei ferire la sua sensibilità nel caso arrivasse a queste mie parole, e ho visto lei, questa ragazza appunto, che provava goffamente a coprirsi con la schiena mentre tentava senza successo di infilarsi il reggiseno, lì in quella che per un ostello è il corrispettivo di una pubblica piazza, ho provato un senso di desolazione, mentre nei fatti sarebbe potuto anche essere un gesto sensuale. La desolazione era dovuta da una parte dalla goffaggine dei movimenti, quando la mattina dopo la vedrò provare a rappezzare un calcagno praticamente scarnificato capirò molto di quello che in quel momento mi era sfuggito, dall’altra dal suo essere evidentemente così stanca da non voler neanche tentare di vestirsi come in genere si fa negli ostelli infilandosi dentro le cuccette e tirando ke tende come fossero un sipario o un separè. Niente di malizioso, né di provocatorio, solo tanta stanchezza esibita in quello che sembrava un balletto stanco e di resa. Il fatto è che non è normale infilarsi in un letto, tirare due tendine, di solito in mezzo si trova la scaletta oer salire o scendere dal letto a castello, a seconda che si dorma sopra o sotto, sfilarsi gli indumenti, contorcersi, nel caso di chi è sovrappeso come me, e in parte anche la ragazza di cui sopra anche lei, per poi infilarsi gli indumenti puliti. Non è normale perché uno queste cose le dovrebbe poter fare senza essere un contorsionista, e non voglio neanche tirare in ballo la faccenda del,pudore, della sessualizzazione dei corpi e di tutti quegli argomenti di cui mi occupo generalmente quando incarno il mio ruolo da scrittore. Una fatica inutile, credo ordita ai danni dei pellegrini da un ateo che odia l’idea che ci sia gente che si mette in cammino oer raggiungere un santuario che si trova a centinaia di chilometri di distanza. E questo è in fondo l’altro tema, ancora non risolto, perché fare a piedi una cosa che si potrebbe comodamente fare in auto? Ovviamente scherzo, fare un pellegrinaggio a piedi non è fare un pellegrinaggio, ci arrivo.
Tornando invece alla tappa, Carracedo dista da Caldas de Reis sette chilometri e poco più, in una lieve salita quasi sempre tra gli alberi, o costeggiando campi di granoturco e vigneti, a volte prati con cavalli, insomma, uno spettacolo. Con tanti pellegrini, alcuni già incontrati, una mamma di Roma che ha raccontato a mia moglie qualcosa che non ho memorizzato riguardo il fatto che in classe di sua figlia piccola ci sia un influencer con cinquantamila followers, incentivato in questa attività dai genitori, o le due ragazze col culo stretto nei pantacollant da runner che a Pontevedra hanno quasi fatto cappottare i due operai. Abbiamo incrociato anche un ragazzo ucraino, che ci ha approcciato e dopo di noi, staccati perché troppo lenti per il suo passo, ha approcciato tutti quelli che ha superato,un gruppo di ragazze spagnole che a un certo punto si è messo a fare un reel per Tik Tok con tanto di balletto twerk, a riprova che noi italiani e gli spagnoli stiamo in assoluto i più casinari. Anche i più empatici, perché a un certo punto abbiamo di nuovo incrociato le ragazze del twerk che stavano intorno a una ragazza abbastanza goffa che stava tornando su da un fosso, molto preoccupate, e non avendo capito perché, ma avendo colto l’emergenza ci siamo ovviamente fermati anche noi e abbiamo scoperto che la ragazza sola, una giovanissima norvegese, aveva perso le cuffie della Apple cadute giu nel fosso e per recuperarle era scivolata fino in fondo per altro trovarle. In tempo di capire cosa fare e passa, nel bel mezzo del bosco dove ci trovavamo, una macchina della polizia e come in un film uno dei due poliziotti, sentito l’accaduto,scende agilmente, recupera le cuffie e le riporta alla ragazza, tra gli applausi di noi e delle ragazze spagnole. La ragazza norvegese, decisamente molto meno espansiva di noi, si imbarazza e per questo resterà dietro di noi anche quando noi ci fermeremo per foto.
Nell’insieme questa è una tappa molto breve e molto bella sotto il profilo panoramico, che per molti prosegue verso Padron, per noi termina a Carracedo, piccola frazione che ha la bella chiesa di Santa Marina, piuttosto chiusa, e poco altro. Lì attendiamo Veronica e Josè, i due tassisti, che ci riporteranno a Caldas de Reis. Finalmente abbiamo un paio di ore di tempo per rilassarci al bellissimo Parco Botanico, esattamente dall’altra parte del fiume , il RiomUmia, rispetto al El Timonel, tanto noi oggi andremo in un altro ostello, l’albergue Albor. Poi pranzeremo al ristorante O Muino, dicono uno dei migliori in città. Nel pomeriggio, dopo essere andato all’albergue Albor, Dio volendo, vorremmo andare a vedere le cascate e l’oasi naturale di Fervenza de Segade. Dista un paio di chilometri dal Caldas de Ries, per noi ormai una inezia. Perché questo va detto, abbiamo rotto il fiato. Nel senso, i dolori ci sono, e per me e mia moglie soprattutto, ci andiamo a dormire, metaforicamente, la sera e li ritroviamo lì al risveglio, sempre metaforico, ma per il resto camminare ci è diventato meno faticoso. Oh, magari domani, dodici chilometri da Carracedo a Padron, sarà un supplizio, ma negli ultimi giorni è stato meno dura. Che sia quello il senso del camminare? Riconnettersi con se stessi, anche fisicamente?
Chiudo la pagina di diario di oggi con uno dei momenti memorabili di questo nostro cammino. Il momento che ha aperto questa giornata, perfetto suggello del nostro passaggio a El Timonel.
Verso le cinque e quarantacinque nella camerata che per qualche istante aveva guadagnato un po’ di prezioso silenzio parte una delicata melodia al pianoforte. È la sveglia della coppia di spagnoli che dormono di fronte a me, e di fianco a Lucia e Chiara, coppia già incontrata in altre tappe e che ieri ci ha segnalato, con la circospezione che si riserva ai segreti di Stato, tipo chi ha fatto rapire Moro, chi ha causato Ustica, che nella stanzetta della lavanderia, vicino allo scaffale delle scarpe e dietro una porta sempre chiusa c’è in realtà un gabinetto riservato, sempre che sia considerabile riservato starsene lì seduti mentre a un metro e dietro una porta sottile, che non arriva al soffitto, c’è qualcuno che sta lavando mutande e calzini. La melodia suona lieve nella camerata, gia abbandonata da qualche pellegrino mattiniero. Suona e nessuno la spegne. Lucia si alza e invece di interromperla, erroneamente, la posticipa. Tempo cinque minuti e riparte. Così per tre volte, finché i titolari dello smartphone che la fa partire non si alzano. Vorrei poter dire che il sonno è andato, ma come dicevo prima, non ho chiuso occhio. Altri si alzano, facendo casino. Noi siamo attaccati ai bagni,e ogni volta che anche solo si apre la porta è un rumore. Arrivano le sette, suona la nostra sveglia e la spengi dopo un secondo. Mi alzo e vado nel bagno segreto, che mi fa venire in mente i Bagni misteriosi di Milano, ovviamente solo come nome. Approfittando di un momento di calma, molti sono andati via, provo a sedermi, ma la luce scatta ogni diciotto secondi, giuro, li ho cronometrati, lascio perdere. Si alzano anche mia moglie e i nostri figli e tutti ci prepariamo, nel mentre hanno anche acceso le luci della camerata, immagino i titolari dell’ostello, fra poco ci sarà il check out. Quando però siamo quasi sul punto di andarcene una delle due tedesche entusiaste intortate la sera prima esce dalla sua cuccetta urlando istericamente di fare silenzio, in inglese. Urla di fare silenzio e già questo basterebbe a farle riconoscere un certificato di demenza. Non le rispondiamo, abbastanza basiti, anche perché ormai abbiamo tutti gli zaini in spalla. Evidentemente si aspettava una reazione, perché esce di nuovo, urlandoci di nuovo di fare silenzio, dicendo che siamo i soli a parlare, anche perché siamo i soli oltre loro ancora in ostello e mandandoci poi a cagare, bofonchiando qualcosa riguardo una emergenza che l’ha costretta a andarsene nella notte, immagino andarsene di testa, visto che nessuno è uscsito di qui nottetempo. Alla parola con la effe, direbbero in America, la reazione arriva, ma sorprendentemente non da me, né dagli altri due caratteri polemici della nostra famiglia, Lucia o Francesco. Mia moglie, quella che fin qui ha sempre affrontato ogni fatica o situazione scomoda con felicità, quella che ha anche provato a dire che El Timonel non era poi così male, scatta e la mette in un angolo, verbalmente, dicendole, in perfetto inglese, e con movenze vagamente alla Beyoncé, che non deve permettersi di usare un linguaggio del genere con noi, “be polite”, e che se non è in grado di convivere con gli altri forse dovrebbe evitare di fare esperienze come questa, ottenendo come risultato il suo sparimento dentro la cuccetta. Nessuno mette in un angolo Marina, baby. Per essere una che aveva dichiarato di voler parlare sempre va detto che quando l’ha fatto ha lasciato indubbiamente il segno. Il tempo di andare a fare colazione al bar e di questa versione “Cavaliere nero” non c’è piu traccia”, ma ancora una volta Italia -Germania 4-3, popopopopopo-pò.