Mi ha cagato su un braccio un piccione. Dicono che porti fortuna, in realtà per certo fa schifo, perché la cagata è un mix tra una parte verdastra gelatinosa, che una volta atterrata sul braccio tende a scivolare lentamente verso il basso, e una parte liquida, tra il trasparente e il biancastro, tipo l’albume dell’uovo, e soprattutto perché è una cagata di piccione, alzi la testa, vedi il piccione da cui quella cagata è arrivata e non hai dubbi su quel che è. In verità è successo giorni fa, per l’esattezza ancora prima di cominciare, quando eravamo a Porto e io ero fuori di un ristorantino turistico, di quelli a due passi da la Ribeira, il lungofiume, con menù. Dieci euro tutto compreso, in attesa di fare il collegamento con il mio amico Stefano Molinari di Radio Radio, col quale da ormai quasi dieci anni faccio collegamenti telefonici, con cadenza a volte settimanale, senza però esserci mai incontrati di persona. Mi aveva scritto la mattina, dopo aver visto la foto che avevo postato su Instagram di noi sei sotto l’aereo, a Malpensa, una bella foto che per me significava, finalmente partiamo e stacco per un po’, ma io non stacco mai veramente, sono qui a scrivere e scrivo di me che mi sono beccato una cagata di un piccione su un braccio mentre, davanti a un ristorantino turistico con menu a dieci euro tutto compreso, sto provando il collegamento su Teams con Radio Radio. Il tutto, per altro, mentre tale Kim di Airbnb mi confermava lo stanno dj ban dal sito up in questione senza riuscire a farmi capire il perché.

Segni del destino dei quali, va detto, non ho tenuto granché conto, specie quel giorno a Porto, dieci chilometri e mezzo fatti, compresa la scalinata che dal ponte di ferro nel quale abbiamo anche assistito a una rissa tra due gruppi di francesi, sotto lo sguardo umido e perplesso dei ragazzi locali che si tuffano da lassù in alto per quattro spicci, fino a Porto Sao Bento, non so chi sia questo Sao Bento, ma sicuramente uno a cui non pesava fare scale, avremo fatto almeno trecento scalini sotto un sole infuocato, che ne sanno i contapassi degli smartphone della differenza che passa tra cento, metri in piano e cento metri su per, una ripida scalinata? Un bel giro esaustivo, senza una meta precisa, se non l’idea di far vedere il più possibile ai nostri figli, che a Porto non ci sono mai stati, compreso un passaggio per il vicolo intitolato a San Nicolau, a due passi dal lungofiume, uno che amava le comodità, San Nicolau, e anche tenere d’occhio sia il,mercato in ferro battuto, bellissimo, sia la Borsa, qui chiamata Bolsa, tutte strutture che stavolta abbiamo visto solo da fuori. Non credo sia prudente dirlo in generale, e tantomeno nel bel mezzo di un pellegrinaggio come il Cammino di Santiago, non si può però essere spirituali e   scaramantici al tempo stesso, ma credo che se non mi è venuto un infarto su per quella scalinata, trentacinque gradi, cinquanta percepiti, e dire che la notte prima, mentre dormivamo tutti nella pittoresca camera da sei del Al Pitaes, in zona Campanha, vicino a dove poi avremmo preso il Flixbus, experience nella experience, diretti a Valenza di Minho, e poi di nuovo in taxi fino all’albergue Ideas Peregrinas di Tui, una sistemazione spartana, La Pitaes, ma assolutamente confortevole, con quel gusto arabeggiante così dignitoso, il tutto dopo una cena altrettanto spartana nel vicino risortorante Armaan, auto dichiaratosi italiano, e da noi scelto solo per il fatto di essere l’unico aperto in zona, odiamo tutti mangiare italiano mentre siamo all’estero, in realtà più indiano che italiano, dai quadri alle facce dei camerieri, io ho affrontato e battuto un bacalao bras ottimo e abbondante, e dire che la notte prima, dicevo, ha abbondantemente piovuto, noi tutti a letto, la consapevolezza che sarebbe potuta essere l’ultima notte comoda, diciamo così, per giorni e giorni. Questa cosa delle piogge improvvise e delle piogge abbondanti ce l’avevano preannunciata tutti, direttamente, chi conosciamo che c’è stato, penso alla nostra amica carissima Eleonora, che a Porto è vissuta e che poi si è fatta anche in bici il viaggio fino a Finisterre, il tutto poi raccontato nel documentario Dove non si tocca, titolo anche dell’ultimo progetto musicale, spero fin qui, a nome Eleviole?, una delle nostre eccellenze di cui un panorama arido come il nostro non ha saputo prendersi cura, a Porto è più in generale sulla costa atlantica del Portogallo piove sempre, almeno una volta al giorno come in montagna.

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Fatto che rende, ci hanno detto tutti, e dicono anche tutte le guide, il Cammino portoghese il più godibile d’estate, ventilato, col suo essere a pochi passi dalla costa, e fresco per le piogge. Mentre appuntavo questa cosa della cagata del piccione mentre ero a bordo del Flixbus diretto a Valenca do Minho e poi a Tui mi è caduto addosso con violenza il mio zaino, circa dieci chili, messo evidentemente da me male nell’angusto apposito spazio sopra le nostre teste, sé quella testa di minchia dell’autista non avesse guidato come Tazio Nuvolari mi sarei evitato una bella botta,sul braccio destro, e confermo che le cagate dei piccioni fanno solo schifo e nulla hanno a che fare con la fortuna. Tornando però a questa cosa che tutti ci hanno detto, dalla nostra carissima amica Eleonora alle guide tipo quella che leggeva il sosia di Luca Fantacone della Sony in aereo, e che quindi il Cammino portoghese e il più praticabile d’estate, fresco e piovoso, la tappa di oggi è la prova provata che sono tutte dicerie, degne di popolazioni sottosviluppate o di analfabeti di ritorno. Perché nella nostra seconda tappa, quella che da Porrino ci deve portare verso Redondela, in realtà solo seconda tappa del nostro cammino, di caldo se ne sente parecchio, come ieri specie quando la meta ma anche le ore più roventi della giornata si avvicinano. A Porrino siamo stati decisamente bene, l’albergue che ci ha ospitato era meno cool del primo, ma Sendasur è stato decisamente una location di tutto rispetto, domani semmai mi soffermo un po’ di più sugli ostelli e quel che ci è o dovrebbe essere dietro e dentro. Il paesino pure è grazioso, con un centro storico naïf, chiese di pietra con dentro pareti tinteggiate di bianco ma statue barocche cariche di dettagli e palazzi pubblici sontuosi, per il resto quest’aria sgaruppata che fa tanto Spagna prima della crescita economica, sarà mica un caso che qui tutti siano orgogliosissimi del loro essere in Galizia, la mappa della regione campeggia ovunque, anche sulle tovagliette di carta dei bar e ristoranti. Non avendo la cucina del nostro albergue i fornelli abbiamo optato anche per cena per mangiare fuori, io e mia moglie Marina optando per un bocdillo ai calamaros davvero notevoli, comprese le fette di formaggio tipo fontina appoggiate sopra i calamari fritti.

In giro, come noi, gente del luogo, che mentre noi cenavamo, stanchi della giornata, andavano a farsi un aperitivo, e altri pellegrini,  compresi alcuni incontrati strada facendo e le tre spagnole che hanno dormito nella nostra stanza a Tui. La mattina dopo, andati a dormire verso le undici e dopo aver fatto un gioco da tavola nella sala comune dell’albergue, ci siamo alzati alle sette, ormai il solito orario, abbiamo fatto i bagagli, lasciando qui quelli che avremmo poi ritrovati alla prossima tappa, Redondela, abbiamo fatto una buona colazione, per i nostri standard, gli altri pellegrini mangiano tantissimo, roba tipo salame piccante, formaggi, marmellate, e siamo partiti. La guida, quella che ci ha fornito Jeorge dell’agenzia che ci ha anche prenotato gli albergue, dicva che questa è una tappa breve, nove chilometri, ma come vi dicevo abbiamo già scoperto che è una falsa informazione, perché i chilometri saranno quindici. Questo dice la più fedele Google Maps. Quello che però la guida e anche Google Maps non dice è che parte di questi quindici chilometri è in salita, a arrampicarci, sì camminando sui marciapiedi ma pur sempre in salita, su per il Pazo do Mos, e l’altra parte è quasi tutta in discesa, una discesa ripidissima, dove per altro sfrecciano ciclisti, anche loro a fare io Cammino e quindi a dirti “buon camino”, dei veri e propri pazzi furiosi. Un paesaggio bellissimo, intendiamoci, fiori di tutti i colori, pini, animali, villette con giardino e quasi tutte con questa sana costruzione tipo le casette che Cucchi, il pittore della Transavanguardia mio compaesano faceva come fosse un bambino di quattro anni, solo un bambino di quattro anni i cui disegnetti vengono pagati milioni di euro, Benedetto Achille Bonito Oliva, con in più una croce sul tetto, tra noi ci siamo detti che potrebbero essere tipo tombe di famiglia poste in giardino. Tutto bello e affascinante, con altri pellegrini, molti già incontrati ieri, al nostro fianco, comprese appunto le tre spagnole di Tui, incontrate prima al bar dove poi abbiamo fatto colazione e poi in un bar lungo la strada, noi a camminare e loro a bere e massaggiarsi i piedi, non le avessi viste in piedi all’Ideas Peregrinas avrei potuto pensare che sono esseri mitologici, metà donne e metà sedie di bar,  ma anche piuttosto stancante, la salita spezza i polpacci, la discesa le ginocchia, il tratto finale, in pianura, nella periferia di Redondela tutto il resto. A spezzare l’animo, si fa per scherzare, scoprire che non solo Jeorge ci ha dato numeri a caso, tanto per restare sul pezzo come il Corrado Guzzanti che imitava Fausto Bertinotti, numeri a caso e che si contraddicono tra loro, i chilometri da Perrino, alla fine, saranno diciotto, pochi meno di ieri, solo con più salite, ma anche il fatto che pure le colonnine che si trovano ogni tot di metri forniscono numeri a caso, una volta sembra che hai fatto dieci chilometri, cento passi dopo ti dicono che ne hai fatti otto.

Sarà magari una caratteristica spagnola, vallo a a sapere, di fatto, considerando che fatto pranzo e preso possesso dei nostri letto all’albergue A Casa Da Herba, a Redondela, fatte le docce e riposatici un po’, io niente perché mi ritrovo nello spazio comune a scrivere dopo aver anche ripulito la valigia grande dall’olio per massaggi che mia moglie si è voluta portare per i piedi, la cui confezione si è aperta inondando tutto, macchiandomi una camicia, anzi, la sola camicia che mi sono portato, le scarpe da camminata di riserva e varie  eventuali, ci faremo un giro per la cittadina, per vederla e anche per capire se stasera mangeremo in ostello o fuori, di fatto, quindi, anche oggi faremo oltre venti chilometri, e siamo solo al secondo giorno. Io ancora medito sul senso del cammino e sul senso di affidare a un cammino la ricerca di un senso su se stessi, nel mente, però, e sono le sedici e trenta, due portoghesi che erano con noi anche a Perrino, il maschio della coppia una palese testa di minchia che ha aperto lo stendino su cui ha messo a scolare e asciugare i suoi panni bagnati, ieri, sopra la nostra valigia aperta, ringrazi Santiago che non l’ho giustiziato sommariamente sul posto, limitandomi a fargli trovare, mentre dormiva, lo stendino con le sue cose davanti alla porta della sua stanza, impossibilitato a uscire, ecco, nel mentre testa di minchia e sua moglie sono arrivati nella sala ci,une e si stanno facendo una frittata su una piastra per bistecche, impuzzonendo tutto quanto e costringendomi a chiedere qui e, già che ci sono, a scendere sotto per dormire un po’. Domani ci attende Arcade, la patria delle ostriche, direi che sulla carta non sarà male.