Cammino di Santiago, quinta tappa: San Amaro en barro

“Io non mi porto un libro, perché parlerò sempre!” Così mia moglie, prima di partire. Affermazione perentoria, poi smentita da due libri infilati di forza nello zaino, una cinta cui ho praticato un buco supplettivo con un acuminato coltello da cucina a stringerlo per farlo rientrare nei maledetti standard Easy Jet, ma comunque piuttosto chiara nelle intenzioni: parlerò sempre.

Con chi?

Non solo con noi, che comunque siamo sei, lei compresa, e offriamo una quantità infinita di argomenti e di interlocutori, corali, multipli e anche singoli, vis a vis, tanto per citare una serie tv che proprio in Spagna è ambientata, versione iberica di Orange is the new black e non esattamente in linea con una esperienza come il Cammino di Santiago, va detto.

Mia moglie intendeva parlare, prima ancora di lasciare casa, con chiunque gli fosse capitato a tiro durante il Cammino, specie pellegrini di altre parti del mondo, questa la sua idea. Del resto un pellegrinaggio è tale non certo e non solo per i piedi e i polpacci, e parlare con chi fa la medesima esperienza, il medesimo tratto di strada, magari partito da un altrove piuttosto lontano da noi, è suggestivo oltre che affascinante. Nelle sue intenzioni, presto diventate nostre, in maniera a tratti coatta, oltre che lungo la strada, avrebbe parlato, e noi con lei, anche durante le cene, da fare categoricamente in ostello. Le cucine comuni stanno lì per quello, del resto, e già in passato ne abbiamo usufruito. Ricordo una volta, a Vienna, all’ostello don Bosco, posto sul campanile della omonima chiesa, otto piani senza ovviamente ascensore, che noi italiani ci siamo trovati costretti a punire esemplarmente un gruppo di tedeschi che non mollava i fornelli, lasciandoci spettatori. Una intera fialetta di Guttalax, portata dalla nostra amica Laura per i suoi cronici problemi di stitichezza che avrà indubbiamente vendicato la nostra vana attesa di cenare. Ai due orientali che Arcade hanno monopolizzato la cucina con il,loro balletto cucinatorio è indubbiamente andata bene che nel mentre siamo invecchiati e soprattutto che non avessimo Guttalax con noi, va sottolineato.

Tornando però al cammino, ovvio che parlare a cena era uno degli appuntamenti che ci eravamo prefissati, contando invece di pranzare in qualche locanda dei pellegrini una volta raggiunta la tappa, perché fermarsi a metà strada potrebbe comportare problemi con la ripartenza, e perché eravamo e siamo tutti molto curiosi di conoscere la cucina locale, stando alle guide specializzata in frutti di mare e baccalà. Solo che non avevamo considerato, mentre ancora stavamo a casa a vagheggiare di quel che ci avrebbe spettato e di quel che avremmo fatto, che gli ostelli hanno orari da pellegrini, non esattamente volti alla socievolezza. O meglio, non volti alla socievolezza di chi, una volta arrivato nella location di una tappa voglia anche farsi un giro turistico, per ammirare bellezze che probabilmente non vedrà in altra occasione. Perché gli ostelli, questo mi ha detto Google mentre ero in aeroporto, e questo ho in effetti constato frontalmente, prevedono il check out entro le otto di mattina, dal momento che i pellegrini tendono a mettersi in cammino presto, molto presto,, anche alla cinque prima dell’alba, c’è chi fa venti, trenta chilometri, e per coprire quelle distanze tocca in effetti impiegare molto tempo, e al sera, di conseguenza, chiudono entro le ventuno, in alcuni rari casi le ventidue, dove per chiudono intendono che è previsto che non puoi fare, o non dovresti fare, casino, non che chiudano effettivamente porta o luce laddove ci sono le camerate, tutti a nanna e, mi raccomando, in silenzio. Alla faccia della socievolezza e del “parlerò sempre di mia moglie”.

Fortunatamente la faccenda del coprifuoco era un falso allarme, perché per andare a nanna alle ventuno, fate una botta di conti veloce, e aver prima cucinato e parlato, tocca mettersi davanti ai fornelli alle diciotto massimo, così da poter poi cenare per le diciannove, diciannove e trenta, e avere anche il tempo di pulire. Roba che qualche pellegrino fa, sicuramente, ma non tutti.

E comunque la doccia conviene farla prima, a meno che non si voglia puntare la sveglia alle quattro di mattina, col risultato che se si arriva per pranzo e si pranza in una locanda, di tempo per la visita al luogo è relegata in poche ore, le più calde della giornata, per altro. Insomma, non esattamente quel che avevamo previsto, ma questo è un pellegrinaggio, le regole non le facciamo mica noi. Sono lì e tocca prenderne atto. Solo che le regole che non facciamo noi cozzano non solo con la ferrea e dichiarata volontà di mia moglie di parlare sempre con chiunque, ma anche col fatto che ci sono pellegrini più propensi alla socialità ma anche pellegrini chiusi, o in gruppi numerosi, quindi poco inclini a cercare compagnia, parlo di quelli che incontri lungo il cammino, strada facendo.

Di fatto fin qui abbiamo conosciuto diversi pellegrini, alcuni italiani, perché è più facile attaccare bottone con gente che parla la tua stessa lingua, ma anche di altre nazionalità, specie con quelli che a loro volta avevano in dotazione donne come mia moglie, del tutto intenzionate a parlare sempre e con chiunque, come la signora di Ravenna che ci ha approcciato un po’ sgraziatamente mentre ci riposavamo davanti alla nostra accomodation di Arcade, arrivati troppo presto per il check in, ma da qui a sentirci rimbrottare “E voi qui cosa ci fate?” da una perfetta sconosciuta, converrete, ce ne corre. Del resto la famigliola in questione, signora oversize, figlio ragazzino altissimo, marito silenzioso e dal volto vagamente rassegnato, esibiva chiari equilibri squilibrati, lei esuberante, anche troppo, lui afflitto da mutismo inselettivo, più che altro impossibilitato a aprire bocca.

Ciò nondimeno mia moglie non è arretrata di un centimetro, né nella sua intenzione di parlare sempre, né nel suo entusiasmo quasi fanciullesco, anche quando è palesemente stanca, magari anche scazzata. Un esempio di ostinazione e coerenza decisamente encomiabile, più che una certificazione di avvenuto cammino meriterebbe una statua da qualche parte a Santiago.

Oggi, sulla carta era comunque una delle tappe meno impattanti, dovevamo spostarci da Pontevedra alla Capilla di San Amaro en barro, attenzione, barro e non barrio, niente ghetti o gang da queste parti, appena nove chilometri stando alle indicazioni di Jeorge. Nove chilometri che si riveleranno ovviamente come dieci e ottocento metri, praticamente undici, con tanto di sconfinamento della soglia dei cento chilometri fatti da che siamo partiti per questo viaggio. Sì, benché il Cammino da Tui a Santiago sia di centodiciassette chilometri e con la tappa di oggi siamo ufficialmente a metà strada, sia a livello di chilometri percorsi sia di tappe fatte, abbiamo già fatto centi chilometri a piedi, e entro sera saranno forse anche centodieci. Questo perché, essendo per noi sì un pellegrinaggio, ma anche la nostra vacanza, noi finita la tappa, fatto pranzo, preso possesso della stanza e fatte le docce, riposatici un pochino, siamo soliti andare a fare un giro nel paese o città in cui siamo arrivati, percorrendo nel pomeriggio meno chilometri di quanti ne abbiamo fatti di mattina, ma neanche così di meno. A voler essere notarili,abbiamo fatto 12,3 chilometri il primo giorno, a Porto, 20,9 da Tui a Porrino, 21,6 da Porrino a Redondela, 16,1 da Redondela a Arcade, 21 da Arcade a Pontevedra, o meglio nei giorni in cui abbiamo fatto quelle tappa e nei giri connessi. Oggi ne abbiamo fatti già circa 11, i conti sono presto fatti. A parte questa faccenda di numeri, fredda, va detto che l’albergue Aloxa, che stando a Trioadvisor non era niente di che, anzi, veniva presentato come molto caotico in quanto molto grande, è bello. Un ostello ostello, con grandi camerate, come dicevo ieri noi ne abbiamo una piccola ala in apparenza tutta per noi, e con uno spazio comune gigantesco. Difetto eclatante, solo due bagni per uomini e tre per donne, parlo di sedute, con docce comuni, divise ovviamente per sesso, più numerose. Con uno spazio comune così grande, ci siamo detti prima di andare a fare un giro in città, ci sarà un sacco di gente che cena qui, e così abbiamo deciso che, giro finito, avremmo prese delle pizze da Domino’s, a due passi, da consumare in ostello. Pontevedra è decisamente bella. Una città di ottantatremila abitanti con bellissime chiese, su tutte la Iglesia de la Peregrina, prima sosta obbligata della tappa di domani, e la vicina San Francisco, che ci ha offerto una perfetta fotografia di cosa voglia dire gap generazionale. Su per la scalinata davanti a noi, infatti, c’era una ragazza letteralmente col culo di fuori. In realtà, sostiene mia moglie, sotto un vestitino completamente trasparente che arrivava al culo, appunto, aveva delle culotte color carne, ma il risultato è stato che ho fatto le scale con un culo davanti, mentre arrivato davanti all’ingresso della chiesa c’era una signora anziana e anche piuttosto rinsecchita vestita completamente di nero, con tanto di fazzoletto in testa. Un bel contrasto. Sempre per parlare di culi, che non credo faccia mai male, neanche durante un pellegrinaggio, dopo la tappa di oggi, a San Amaro ci siamo ritrovati a mangiare in una trattoria per pellegrini ma soprattutto per lavoratori locali a Pontevedra. Sì, oggi era previsto che una volta arrivati alla Capilla di San Amaro en barro dovessimo chiamare William per farci venire a prendere in auto e riportarci indietro, perché lì non ci sono albergue, e così è stato, domattina ci riporterà lì e da lì partiremo alla volta di Caldas de Reis, dove per il medesimo motivo e nella medesima modalità, dormiremo due notti. Credo cambi solo il tassista. Tornando ai culi. Arrivati in questa locanda non troppo distante dal nostro albergue, abbiamo chiesto di poter mangiare all’interno, perché fuori all’ombra era fresco, io avevo la schiena zuppa di sudore a causa dello zaino, e al sole era caldissimo: benvenuti in Galizia. Il locandiere ci ha detto che assolutamente no, dentro era tutto pieno e ci andavano a mangiare i clienti abituali. Fanculo i pellegrini, suppongo abbia aggiunto senza dirlo a voce alta. Dentro era in realtà vuoto, ma pazienza. Dopo averci letteralmente lanciato tovaglioli e posate, fortunatamente non i bicchieri, ci ha proposto un buon menù del giorno, almeno questo.

Ok, ma il culo.

Ci arrivo.

Di fianco a noi c’erano tre pellegrini spagnoli, due ragazze, inizialmente confuse come giovanissime, in realtà immagino sopra i trenta, e un uomo della medesima età, coi capelli brizzolati ma palesemente non vecchio. Le ragazze avevano dei sabot e piedi curati, questo nonostante fossero palesemente a fine tappa, come noi, il ragazzo le tipiche scarpe da camminata. Per farla brave, a fianco a loro c’era un tavolo con tre operai, tutti con la medesima divisa, due sui quaranta, uno poco sopra i venti. Quando i tre pellegrini spagnoli si sono alzati per andare a pagare, va detto che gli undici euro del menù erano davvero meritati, nonostante il servizio un po’ wild, i due quarantenni sono rimasti prima incantati dal culo della prima delle due pellegrini che si è alzata, poi addirittura estasiati dal culo della seconda, entrambe avevano delle tipiche pantacollant da camminata. Per rimirarlo meglio, quello della seconda, uno dei due è letteralmente quasi caduto a terra, sbilanciatosi sulla sedia, nel grande imbarazzo del giovane collega. Volessi trarre una morale da questi due aneddoti che ruotano intorno ai culi potrei azzardare che non sempre le nuove generazioni sono peggio di quelle che le hanno precedute, come vuole l’adagio. Siccome però non posso chiudere una pagina di diario del Cammino di Santiago, pur promettendo che domani sarò più ligio, parlando di culi, ci tengo a dire che la camminata di oggi è stata piacevole, pur essendo il percorso in parte su asfalto, il che rispetto a ieri è un passo indietro. Il paesaggio è comunque sempre piacevole, e oggi c’erano tanti pellegrini, immagino in buona parte destinati a Caldas del Reis e non a San Amaro come noi. Forse per questo la maggior parte di loro si è alzato alle cinque, nella nostra e nelle altre camerate, facendo un baccano del diavolo, senza alcuna remora a farlo. Dicevo prima che noi avevamo in apparenza una ala della nostra camerata tutta per noi,  con due tende a delimitare il tutto. In apparenza perché di fianco a quelle tende, ho capito stamattina salmodiando alle prime luci dell’alba, ci sono gli armadietti di tutti i pellegrini della camerata, quindi da quel momento finì alle sette, quando la nostra sveglia è inutilmente suonata, è stato tutto un aprire e chiudere zip, appoggiare rumorosamente zaini e borracce in terra, bisbigliare sotto voce con un effetto di eco che neanche nei cortili a Milano, quando dici A e lo sanno tutti i tuoi vicini. Insomma, bene ma non benissimo. Quando infine mi sono alzato, anche infastidito dal non essere riuscito neanche a andare in bagno nottetempo, perché quando ci ho provato prima delle quattro i bagni erano invasi da pellegrini di cui non avevo percezione ieri sera, ora ci arrivo, ho appunto concluso con mia moglie che tutto il silenzio di ieri sera, e anche la gigantesca sala comune incredibilmente vuota, non era perché i pellegrini erano tutti in giro per Pontevedra a bisbocciare, ma perché erano già a letto tutti alle ventuno, esattamente rispettando quel coprifuoco che Google mi aveva prefigurato. Domani William viene a prenderci alle otto oer riportarci a San Amaro, dove faremo colazione e poi partiremo per una tappa di circa dodici chilometri. Tappa che prevedo sarà anticipata da me che salmodio dalle cinque, mentre tutti intorno fanno rumore, come nel testo di Bandiera Bianca di Franco Battiato.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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