Proprio mentre stavamo chiudendo le valige a Milano ho ricevuto una mail da Airbnb. Diceva così: “Ciao Michele, Abbiamo un aggiornamento da condividere. Abbiamo deciso di rimuovere il tuo profilo dalla nostra piattaforma poiché risulta strettamente legato a un utente a cui non è consentito utilizzare Airbnb. Ciò significa che non potrai più effettuare prenotazioni su Airbnb.” Poi proseguiva dicendo che questa azione era per tutelare gli altri utenti di Airbnb, e che se ritenevo fosse un errore potevo presentare un ricorso.

Non so come la prendereste voi, ma a me è parso un singolare caso del destino. Sto per partire per un viaggio, che per altro prevede una casa affittata da mia moglie su Airbnb, e mi arriva un messaggio che mi dice, parola più parola meno, che sono pericoloso perché strettamente legato a qualcuno che a sua volta è stato bannato. Vai poi a capire di chi si tratti, perché dato per assodato che non è mia moglie, che infatti ha pagato proprio oggi la seconda rata della pigione per quella casa, sorvoliamo sul fatto che ha dovuto rifare il pagamento con carta di credito perché Airbnb non riusciva a correlarsi con PayPal, mi viene in mente una sola occasione in cui io sono stato in un Airbnb con un’altra persona, che potrebbe quindi essere il colpevole di questa situazione. Era prima del Covid, subito prima del Covid, a Sanremo 2020, quando il tipo che produceva Attico Monina, così si chiamava il format che ho portato al Festival, una roba davvero fighissima che vedeva coinvolta una quarantina di persone tra doppia regia, tv e radio, ero con Rtl 102,5, ai tempi, band residente, quella folk di Giuliano Gabriele, staff di fotografi, F31, ballerine di burlesque, cantautrici del Festivalino di Anatomia Femminile, e staff del ristorante che lavorava al catering, più tutti gli ospiti musicali del caso, sanremesi o meno, era quindi a Sanremo 2020, quando il tipo che produceva Attico Monina è scappato nottetempo il giorno prima dell’inizio del Festival, ancora non sono stato capace di capire perché. Di mattina presto mi è arrivato un messaggio su Whatsapp e lui e i suoi compari, mi diceva, se n’erano tornati verso Rimini. Risultato, io e il mio pard, Mattia Toccaceli, con l’ausilio di Rosa Bulfaro di Mirò Music School abbiamo fatto quadrato e portato a casa il risultato, ma lui, il tipo che è scappato come un ratto nella notte, ha provato a passare a me anche la palla del rapporto con Airbnb, rapporto che però spettava a lui e lui soltanto. Non so se abbia in seguito fatto altri casini, probabile di sì, e questo avrà portato al suo ban e anche al ban di chi in passato aveva avuto a che fare con lui, me compreso. Ho scritto un messaggio a Airbnb, ho chiamato anche a un numero a questo preposto, vedremo poi come andrà a finire. Ma partire sapendo che sei considerato persona non gradita al più importante sito di prenotazioni di case nel mondo non è un bel presagio, credo, anzi, temo.

Un po’ come la faccenda che vi ho già raccontato del formato delle valige previsto da Easy Jet, in quel caso con in più un certo grado di scocciatura, scocciatura che poi si sta riversando tutta sulle mie spalle, perché il mio zaino, che rientrava in quegli standard, è pieno di cose che normalmente avremmo messo in valigia, maledetti.

So che qualcuno di voi starà pensando che io sia incline al lamento, fatto di per sé anche facilmente riscontrabile, anche in questa sede. E so che questo potrebbe indurvi a pensare che a me il Cammino di Santiago, quello portoghese nello specifico, fatto in famiglia, non mi stia entusiasmando. Però le cose non stanno così, affatto. Se parto sempre da qualche aspetto negativo è solo perché non ho al momento altro di cui lamentarmi, tipo dolore ai piedi, magari per vesciche, o scariche di acido lattico, non ho neanche rimostranze verso gli ostelli che ci ospitano, tutti di qualità, quindi inizio parlando d’altro, per poi passare oltre.

La tappa di oggi, per dire, è indubbiamente stata la più bella da un punto di vista panoramico. E anche l’ostello di ieri era decisamente azzeccato, per una volta bravo Jeorge, noi dormivamo vicini, tutti e sei a occupare un’ala appartata di una camerata da venticinque posti, i letti erano comodi e spaziosi,e fino a verso le ventuno è stata tenuta accesa l’aria accesa tipo a sedici gradi, quindi si stava decisamente bene. Del resto a Arcade, di sera, come già a Redondela, è arrivata una certa frescura, quindi il caldo non è più stato un problema. A Arcade, però, a differenza che a Redondela, è arrivata la notizia della morte di Pippo Baudo, inizialmente attesa un paio di anni fa, al punto che il magazine per cui scrivevo allora, nel mentre diventato un giornale alt right di cui provo vergogna e verso cui provo anche un po’ di pena, mi aveva chiesto un coccodrillo, pubblicato poi mesi dopo lo scampato pericolo sotto forma di auguri. Stavolta è morto davvero, lui che aveva giusto un paio di settimane più di mio padre, e il fatto che io, che a Sanremo e al suo Sanremo ho legato una parte importante della mia vita professionale non posa scriverne e forse parte di quel percorso di ascesi che questo cammino di Santiago dovrebbe prima o poi pormi di fronte, chissà. Tornando a noi, prima di cenare nell’ampia sala comune dell’albergue, affacciata su una ancora più ampia zona comune all’aperto, con tavoli, sedie e stendini per il bucato, non tutti fanno come noi che ci siamo portati ricambi per ogni giorno, complice il fatto che poi la mattina spediamo le valige alla tappa successiva, quindi in molti si lavano un paio di mutande, calzini e maglietta, così da poter indossare l’indomani mutande, calzini e maglietta lavati nella tappa precedente, e usare quelle appena lavate il giorno dopo ancora, in una alternanza virtuosa, siamo andati di nuovo in centro, per fare la spesa in un grosso supermercato, un Famila, che qui si chiama Familia, prodigi del multiculturalismo, e fare un salto sul lungo fiume, che a dirla tutta essendo questo un estuario non so bene se si debba dire lungofiume o lungomare, nell’incertezza conio il termine lungestuario. Lì c’era una festa celtica, come ho già detto la Galizia è una regione con quella tradizione e cultura, qui si suona la cornamusa, si ballano gighe e più in generale la mattina c’è questa nebbiolina ghiacciata che sembra di stare nelle Highlands. Mia moglie Marina è stata fortemente tentata di partecipare alla lezione aperta di ballo, fissa a ammirare giovani e molto meno giovani lì a fare sempre le stesse mosse come da noi capita di vedere alle sagre, dove tutti fanno i passi dell’Hully Gully su qualsiasi canzone, come tanti automi. Gli è giusto mancato il coraggio, ma nello smartphone ho una sua foto col viso della bambina che si trova al Luna Park pronta a mangiare zucchero filato e fare tutte le giostre che dimostra quanto sto dicendo, scrivetemi in privato che ve la spedisco. Arcade, con la sua statua dedicata all’ostrica, le sue villette coi giardini ordinatissimi pieni di fiori colorati, i suoi pochi segni religiosi, a parte quelli attinenti al Cammino, è assai gradevole, almeno quanto la colazione a base di enpanadas, per Tommaso, e dolci vari, per tutti gli altri, consumati prima dirigerci di mattina presto verso Pontevedra, prossima tappa e luogo in cui dormiremo per due notti all’albergue Aloxa, sulla carta il più rock ‘no’ roll di tutti. L’aria è freddina, perché una coltre di nebbia ha avvolto tutti i colli, colli sui quali ci arrampicheremo, pare di capire a inizio percorso, subito dopo aver superato il famoso ponte romano di Sampaio, famoso per gli spagnoli, non per noi, dove si è consumata una ferale battaglia, di Puentesampayo, appunto, qui, leggo su Google, il 7 e 8 giugno del 1809 si scontrarono le milizie francesi con quelle galiziane, con una netta vittoria da parte di queste ultime, fatto che sancirà la fine dell’occupazione francese della Galizia. Bello il ponte, e soprattutto bello il panorama, che da qui in poi sarà davvero spettacolare. Pur cominciando con qualche chilometro in salita, prima tra i vicoli fascinosi di Arcade, poi dentro boschi, questa tappa è davvero bellissima, tutta immersa nella natura, con la nebbioli a che oggi ci regala il meteo a fare il resto. Piena anche di animali, cavalli come se fossimo nel Far West, un falcone visto su un ramo a pochi passi da noi, capre, pecore, cani, anche un topino di campagna morto, ahilui. A un certo punto a affiancare il sentiero, oggi frequentato da un numero importante di pellegrini, importante ma non fastidioso, per essere chiari, vedere intorno a sé gente che fa la stessa esperienza è ingaggiante, non saprei ancora dirvi perché ma è così, è giunto un ruscello, creando tutta una serie di scenari vagamente alla Ophelia di Millais, il noto quadro di uno dei maestri preraffaelliti, un vero spettacolo. Lungo la strada, come tutti gli altri giorni, abbiamo incontrato alcuni locali che vendevano oggetti vari, gusci di capasanta con su scritto Buen Camino, magneti, varie e eventuali, pronti anche a offrirsi per mettere un timbro sulla tua credenziale, il passaporto del Cammino che pretende due timbri al giorno per potersi dire valido e portare a una certificazione ufficiale che sancisca che sei un pellegrino che ha fatto a piedi almeno cento chilometri, non bastassero i dolori alle gambe, le ferite ai piedi e le occhiaie. Nel mio caso, ne parlavo giusto ieri in partenza del diario, anche la pancia gonfia, perché a me di andare in bagno con gente a fianco fa fatica, e nonostante io continui a alzarmi di notte appunto per questo, tanto non dormo, di fatto sono diventato stitico, stanotte ero lì seduto a sbracciarmi ogni trenta secondi, perché i bagni degli ostelli hanno la luce che si spegne se non ti muovi, in automatico. Uno dei venditori ha detto che il timbro che ci stava mettendo nella credenziale faceva bene alla testa come al cuore, come il Robert Wagner di Cuore e Batticoure nella vecchia pubblicità di The Infré. Aggiungendo, tra le risate, che però il timbro non faceva bene alle gambe, per quelle non c’era rimedio. Avrei voluto chiedergli degli intestini, ma pareva brutto e mi sono trattenuto, non solo metaforicamente.  Con noi da Arcade sono partiti in tanti, una compagnia di uomini sui quaranta spagnoli, noi si suppone quattro coppie gay, una madre e una figlia crediamo coreane, una madre davvero corpulenta peruviana con due figlie, e anche una coppia di orientali che ieri sera hanno dato spettacolo in cucina. Si sono infatti messi a cucinare, erano ragazzo e ragazza sui trenta, lui macrocefalo, e hanno occupato i fornelli per oltre un’ora. Hanno cucinato carne alla brace, riso, noodles, verdure grigliate, non so cosa d’altro, quasi danzando in quegli spazi in teoria destinati a tutti. Ogni tanto assaggiavano, soddisfatti, per poi fare foto alle padelle. Alla fine hanno anche mangiato a tavola, ma il più era fatto. Peccato che abbiamo poi rovinato tutto continuando a fare segno del silenzio con la voce mentre ci preparavamo a andare a dormire, se sei in una camerata di venticinque persone devi essere rispettoso, certo, ma anche rompere i coglioni agli altri pretendendo silenzio laddove è impossibile praticarlo credo non sia carino, tanto più se per primo te ne sei fottuto delle regole e degli altri, maledetti orientali. Di loro, comunque, partiti con noi ma presto superati, non abbiamo avuto più notizia, immagino stiano cucinando da qualche parte lungo il ruscello su un fornelletto da campo.

Domani dobbiamo andare in un paesino che si chiama San Amaro, talmente ino che non compare sulle mappe. Li dovremmo trovare William, che ieri era appunto a San Amaro a attenderci, per riportarci all’albergue Aloxa, dove dormiremmo anche stanotte, troppo piccolo, San Amaro, per offrire alloggi. Pensando alla telefonata di William di ieri, che malediceva Jeorge mi sento decisamente tranquillo, come dormire tra due cuscini. Male che andasse possiamo sempre tornare indietro a piedi, tanto anche oggi i dodici chilometri si sono rivelati quattordici, tocca solo sperare che per una volta il calcolo sia sbagliato in eccesso.