Una sorpresa in effetti c’è stata, e se me l’avessero prospettata in momenti diversi di questo nostro Cammino di Santiago, versione Portoghese, da Tui a Santiago, perché nel mentre abbiamo scoperto che ce n’è anche una che parte da Vigo, e procede via mare, per poi incontrarsi dalle parti di Pontevedra, dove comunque comincia una variante che corre lungo l’estuario di Vigo appunto, detta “variante spiritual”, ecco, se mi avessero prospettato nei primi giorni del cammino o magari dopo la metà, che avremmo passato l’ultima sera prima di Santiago in un albergo albergo, due per camera, aria condizionata, docce spazio e se bagno in camera, avrei indubbiamente reagito diversamente. Per essere preciso, i primi giorni avrei immagino accolto la cosa con fastidio, perché l’idea era comunque di fare l’esperienza del cammino, quindi con gli ostelli annessi, poi con gioia, per le questioni legate al non dormire e non riuscire a andare i bagno per assenza di un minimo di privacy. Oggi, dopo ventuno chilometri a piedi, in salita. E a volte sotto il sole, credo che un po’ di riposo ci stia, anche se l’idea che tutto stia davvero per finire è che a parte la prossima notte, negli ostelli non ci andremo più, almeno per ora e forse per sempre, tende. A rendere questo finale di stagione quantomai spiazzante. Intendiamoci, sul momento nessuno ha detto “No, vogliamo le camerate con la gente che russa, e i bagni che mentre sei lì che caghi ti sputano le ciabatte del tuo vicino di cameo da sotto il divisorio”, ma un po’ lo abbiamo penato tutti. Poi ovviamente ci siamo tutti goduti le docce senza aver paura di creare la coda fuori della porta, l’aria condizionata a spalla e anche una cioccolata calda al buffet vicino alla hall, ma a malincuore. Anche perché a Milladoiro, questa la nostra penultima metà, altro da godersi non c’era. Una città stranissima, in effetti, questa posta a pochi chilometri da Santiago, parte del consello di Ames, così strana da sembrare quasi il set spagnolo di un remake di The Truman Show, tutti palazzi nuovi e simili tra loro, senza case basse, come in tutto il resto dei,posti visitati durante il Cammino, e senza neanche segni del passato, a eccezione per una chiesetta dedicata alla Maddalena, chiesetta del millecinquecento chiusa ma con una grata che affaccia sull’interno su cui si trovami una macchinetta con unico spazio per le monete, se vuoi vedere dentro infila un euro. Per il resto Palazzolo e basta, al punto che se chiedi in rete cosa vedere a Milladoiro non ti compare altro che la chiesette, e basta, al limite qualcuno suggerisce la cattedrale di Santiago di Compostela, che evidentemente non è così lontana. Anche in giro di pellegrini se ne vedono pochi, giusto alcuni davanti a un albergue vicino al nostro hotel, per la cronaca Marina voleva imputare alla magnificenza di Jeorge, ma quando avevo fatto la mia ricerca di recensioni degli albergue, prima di partire, avevo letto che fosse un hotel, solo che pensavo fosse un omonimo o comunque di essermi sbagliato. Cosa che del sesto ho pensato, e con me anche mia moglie, oggi, entrando qui, al punto che ho chiesto se c’era una prenotazione a nome mio, quasi certo di sentirmi dire che era l’ingresso sbagliato, e noi pellegrini dovevamo entrare passando da un’altra parte. E a proposito di entrare, a Padrón, quando siamo andati alla Capilla di Santiaguito, facendo i centoventi scalini per trovarci di fronte a una chiesette chiusa, con la grata e la richiese di monete per vedere dentro, esattamente come Santa Maddalena qui a O Milladoiro, ci siamo scordati di proseguire per arrivare al punto dove si trovano, ci aveva detto l’albergatore tatuato, tre porte che danno accesso a inferno, purgatorio e paradiso, sottolineando come io, con la mia pancia, in paradiso non sarei mai entrato, stando a quella leggenda, perché la porta è davvero stretta. Poi, per smorzare ha anche detto che neanche lui, grasso come una me, aveva chance. Le tre porte in questione, che un tempo si dovevano superare strisciando, dopo aver fatto i gradini sottostanti in ginocchio, erano la parte finale di un pellegrinaggio nel pellegrinaggio, qui infatti si trova l’eremo dove si dice San Giacomo visse e dove evangelizzò coi suoi discepoli la Spagna, questo prima di tornare a Gerusalemme e trovare la morte per condanna di Erode Agrippa nel quarantaquattro dopo Cristo e fare ritorno in Spagna da morto. Dico questo ora, oltre perché ho dimenticato non solo di dirlo, ma di farlo ieri, perché oggi a Milladoiro, come dicevo, di pellegrini se ne vedono pochi, questo nonostante questo luogo sia importante per il Cammino di Santiago, magari non come Padrón, anzi, sicuramente non come Padrón, ma comunque importante. Perché da qui si vedono le guglie della cattedrale di Santiago, dicono, motivo per il quale in passato i pellegrini giunti qui si inginocchiavano e lanciavano delle pietre che si erano portate dietro lungo il cammino per espiare, di qui il nome Milladoiro che deriva da Humiliatorum, per l’umiliazione cui si sottoponevano i viandanti diretti a Santiago. Un luogo importante per il Cammino di Santiago che però ha la stessa predisposizione per il pellegrinaggio che ha Ancona, intendo per questo pellegrinaggio, cioè zero. Infatti appena alzati ci in questo hotel che ci ha permesso di dormire come persone normali,,senza sconosciuti che russano come suonatori di corno inglese, di andare in bagno senza intrusioni, di farsi una doccia, insomma, ci siamo capiti, abbiamo scoperto che qui a Milladoiro non ci sono bar aperti per fare colazione, io che comporta che ci incamminiamo per questa ultima tappa a stomaco vuoto, non esattamente il top. O meglio, partiamo a stomaco vuoto io, mia moglie e Tommaso, perché gli altri tre figli si sono accomodati al buffet, che però non era compreso nella nostra prenotazione, e si sono fatti un cioccolato caldo, beati loro. La partenza è in compagnia di un sacco di pellegrini, ma davvero tanti. Si parte lasciandosi alle spalle the Truman Show e dopo un po’ si entra in un bosco, dove a un certo punto, come la casetta di marzapane delle fiabe, spunta una casetta. Su un lato c’è una finestra che funge da bar, dall’altra un piccolo negozio di souvenir. Facciamo colazione, e fraternizziamo con un gruppo di ragazzi intorno ai trenta, a partire da un vaffanculo. Mi spiego, siamo in coda per prendere un cappuccino e una fetta di torta quando sentiamo alle nostre spalle un vaffanculo, a cui mia moglie Marina risponde con una domanda retorica: “Italiani?”. Ovviamente la risposata è si, è così iniziamo a chiacchiera e scopriamo che sono di vicino Cuneo, che sono partiti come noi dieci giorni fa da Porto, ma loro sono arrivati a piedi, facendo una media di circa trenta chilometri al giorno. Si scherza e ci si rilassa, perché si sa che fra un po’ finirà questa esperienza, e nessuno di noi sembra molto contento al pensiero che questo momento arrivi. Nel mentre Marina è entrata nel negozietto e sta portando via praticamente tutto, a prezzi per altro molto più bassi che in tutti i negozietti arrivati fin qui. Paghiamo e mentre stiamo andandocene, salutando i ragazzi con uno dei nostri ultimi “Buon cammino” ecco il colpo di scena, con i cuneesi c’è Luca Fantacone della Sony. No, non il vero Luca Fantacone della Sony, ma il suo Sony vi ho raccontato quando questo viaggio è iniziato, il tipo che in aereo da Milano palesava di non saoere nulla del Cammino e che si era esaltato alla notizia che qui le birre, le certezze, costassero solo un euro, per altro notizia dimostratasi vera. Tutto torna, verrebbe da chiosare, anche Luca Fantacone.
Salutiamo e riprendiamo il cammino, passando per boschi, superando l’autostrada e arrivando verso quella che sembra la periferia di Santiago. Ciò accade a un bivio, da una parte si va verso Congo, due chilometri e tre di distanza, dall’altra verso Santa Marta, un chilometro e settecento. Saremmo tentati di andare verso Conxo, appunto per allungare il percorso e rimandare la fine del cammino, ma poi scopriamo che i due percorsi sono lunghi uguali, le,due indicazioni dicono solo davanti a che chiese ti fanno passare. Andavamo verso Santa Marta e lo spettacolo che ci troviamo di fronte è spiazzante, forse anche un filo deludente. Perché è vero che gli arrivi sono stati quasi sempre accompagnati più da stanchezza che da entusiasmo, ma stavolta è diverso, siamo arrivati a Santiago dopo centodiciassette chilometri e dieci giorni e tante esperienze fatte e persone incontrate. Ma la periferia di Santiago è una brutta periferia, come fiorse molte periferie, e più che altro io non pensavo a Santiago ci fosse una periferia. Mi ero immaginato Santiago come un posto piccolo, tutto costruito intorno alla cattedrale. Una specie di Loreto, per capirsi, la cui basilica occupa una parte importante della città. Invece prima di arrivare nella parte di Santiago che in effetti ruota intorno alla cattedrale, e il centro è così, si passa per strade anonime e brutte. Poi, di colpo,si arriva di fianco a un bel parco, che decidiamo di attraversare, e quando una volta attraversatolo si esce, ecco che lo scenario cambia totalmente. Spuntano ovunque segni del Cammino, da quelli commerciali dei negozi per souvenir a quelli culinari dei ristoranti per i pellegrini, le case e i palazzi di colpo decisamente più antichi, storici. Finché tra due palazzi non spunta il campanile della cattedrale. La avevamo già vista da lontano, quando Santiago è apparsa a un certo punto tra gli alberi del bosco. Se è vero che a O Milladoiro i pellegrini si umiliavano gettandosi in ginocchio alla vista della cattedrale, ci siamo detti, ovvio che quelli che sulle prime sembravano due alberi potevano essere i pinnacoli o come si chiamano della cattedrale, e già era stata una forte emozione, sempre mista a quel vago sapore di fine. Stavolta è davvero qualcosa di travolgente, più per una faccenda di sentimenti che di adrenalina o di felicità per aver superata una meta. Appena arrivati in città, in quella brutta e deludente periferia che pensavo neanche esistesse, solo poi Marina mi ha detto che il loro taxista che ha portato le donne di famiglia da San Amaro en Barro a Pontevedra, William, il giorno precedente a guidare silenzioso il nostro taxi, nostro di noi uomini, aveva detto loro che a Santiago c’è la più importante e titolata università della Galizia, descrivendo questa come una città universitaria, comunque, appena arrivati in città, nella brutta periferia, ci siamo fermati in un bar per urgenze di uno di noi. Mentre aspettava che uscisse, Marina, seduta a un tavolo a sorseggiare un caffè, noi altri fuori, ha sentito il ragazzo cuneese, quello del vaffanculo, che nel mentre ci aveva superato in solitaria per godersi un po’ di solitudine prima del casino che sicuramente incontreremo a breve, parlare con una ragazza sempre italiana di questa esperienza davvero unica, lei a chiedersi preoccupata come fare per tenere il benessere spirituale di questi giorni anche una volta tornata a casa, coinvolta di nuovo nella vita di tutti i giorni. So che detta così, tanto più pensando alla fatica, al caos scomodo degli ostelli, all’insonnia e alla costipazione, io non ho avuto mai problemi ai piedi o alle gambe, di noi solo Lucia e Francesco si sono feriti i piedi con le scarpe, so che ripensando ai miei racconti, ovviamente virati in ironia per contratto e anche per quella perplessità che i primi giorni, proprio per quei fattori, mi ha accompagnato, prendere per buone le preoccupazioni di quella ragazza, preoccupazioni di cui mia moglie mi ha messo a conoscenza, può suonare eccessivo, quasi incorrerete, ma vi giuro che è qualcosa che ho pensato anche io, e vedendo il campanile della cattedrale quel pensiero si è fatto quasi concreto. Girato poi un angolo, così, all’improvviso, ci siamo trovati di fronte il resto di quella cattedrale che così tante volte avevamo visto in blog e articoli, e che abbiamo per certi versi rincorso per dieci giorni e centodiciassette chilometri. Ma tutto questo ve lo racconto domani, ora passo qualche momento in raccoglimento.




