Brame & Brani, «Culture Club rule OK» Make-up & fake love: Victims we know so well…

(Immagine elaborata e mixata con Foto di Donatella Marotta)

Boy George e il brano Victims: analisi e commento sulla famosa canzone del 1983

Brano: Victims

Artista: Boy George, Culture Club

Pubblicazione brano: 1983

Album di provenienza: Color by Numbers

Genere: Soft rock

Durata: min. 4,56

Etichetta: Virgin Records

Produttore: Steve Levine

Precursori del genere synthpop, i Culture Club considerati leader fra le band degli anni ottanta sperimentarono contaminazioni con il reggae e propensione per le ballad. Vendono più di 50 milioni di dischi, diventando uno dei migliori gruppi New Romantic, guadagnando il terzo posto nella classifica delle 100 migliori band del genere. Il loro secondo album, Colour by Numbers del 1983, da cui è tratto il brano Victims, vende quasi 5 milioni di copie. E’ un successo globale e avrebbero continuato la brillante carriera se non si fossero sciolti nel 1986 per una serie di tumultuosi contrasti nati da una relazione celata tra Boy George, frontman della band, e il batterista Jon Moss. Quest’ultimo, ammogliato con prole, teme il coming out, resiste al sentimento vissuto alla luce del sole: doppio tradimento, doppia sofferenza.

George è invece chiaro come il suo sguardo, innamorato al punto da dedicare più di un pezzo alle sue emozioni infelici – anche Do You Really Want To Hurt Me – Vuoi davvero farmi male – è un esplicito invito a vincere le proprie remore ed essere sempre aderenti a sé stessi.

Boy George: la personalità eccentrica

Riguardo alla coerenza, George Alan O’Dowd, per tutti Boy George, londinese di nascita ma irlandese di origini, non le manda a dire. Per comprendere la sfaccettata ma allo stesso tempo compatta personalità dell’artista basta leggere la monografia di Damiano Pandolfini – Boy George, L’imprevedibile karma del Camaleonte –  su cosa rispose durante un’intervista a Piero Chiambretti:

“Piero Chiambretti: Lei, negli anni 80, ha venduto, col suo gruppo e poi anche da solo, 50 milioni di dischi. E poi, piano piano, lei si è perso! E’ entrato in un tunnel, e poi piano piano adesso ne sta uscendo. Cosa è successo… what happened?

Boy George: Ma forse sono scomparso nella sua, di vita, ma sono rimasto in quella di tante altre persone… forse lei è un po’ vecchio… Il fatto di non essere in tv non significa essere in coma, per tutti questi anni ho fatto altre cose al di là della televisione! Sono stato in prigione, sono stato arrestato… mi sono divertito un sacco!”

Ciò che sorprende è la capacità di George di saltare da un eccesso all’altro senza scomporsi, di trasfondere sensazioni e sentimenti potenti, a dispetto dell’immagine che rimanda, sempre e comunque curatissima, su ogni sua opera. Dice ancora Pandolfini:

Ognuno mantenga la sua opinione sullo scomodo Boy George. Per alcuni potrà rimanere una macchietta kitsch dai plastici archivi degli anni 80, mentre per l’intero movimento transgender e surrogati (Antony in primis) è da sempre una fonte d’ispirazione; c’è chi lo ricorda come il disco-hare krishna con l’eyeliner, e chi invece come un raffinato songwriter acustico. Su una cosa però si può star certi: che faccia del bene, o che faccia una cazzata delle sue (concedetemi il termine), Boy George non si nasconde mai. Tra un pugno dato e uno preso, tra un altalenante abuso di droghe quasi trentennale, la depressione o l’affibbiato status di popstar decaduta, il suo spirito combattiero da irlandese della working class si è solo andato rafforzando nel tempo. E oggi, sorpassato il mezzo secolo d’età, George O’Dowd è la figura pubblica più nuda, vulnerabile e al contempo veritiera d’Inghilterra. Basta sentirlo cantare, con quella voce fattasi roca, pastosa e malinconica come un consumato bluesman, per capire che sotto il trucco si nascondono un fascio di nervi ed emozioni sempre a fior di pelle.

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Victimins: la vibrazione delle parole

Ascoltando Victims in effetti si comprende il bisogno di sussurrare sottovoce parole scomode, ma si percepisce anche come scuotono dentro. Una corte sfrenata in musica, fermata solo dalla mancanza di coraggio del partner, da quella squallida ma solita viltà che permea gli uomini non liberi in certe circostanze vissute a metà.

E’ il fremito di un impulso nascosto prepotente e disperato, cantato con la grazia di una carezza dolceamara, morbida ma determinata, che sfiora le punte aguzze dell’arrendevolezza ad un sentimento devastante del quale non si riesce a fare a meno.

Le vittime le conosciamo bene, dice Boy George, amano e non lo dicono mai, sono succubi delle loro stesse emozioni, riescono a tollerare di tutto e annegano il dolore nel pozzo del desiderio con la tristezza dell’autocommiserazione. Ci sono quelle che muoiono di paura, che non concepiscono la solitudine, e pendono da quella voce stridula che dal fondo dell’anima maltrattata urla: non riuscirai ad estirpare il terrore del silenzio. Poi il ripiego, l’accontentarsi del sentirsi vivi attraverso l’ignobile vita di un altro.

In quegli anni l’omosessualità era considerata un’onta, quasi una malattia, al meglio un vezzo da annientare con la discriminazione e cure intensive di sesso naturalmente, possibilmente opposto al proprio, da consumare nello squallore assoluto: sul ciglio di una strada isolata o nella stanza kitsch di un motel di periferia. Capitava di ammalarsi di AIDS e si moriva soli e dannati, additati come quanto di più sporco può esprimere un essere umano.

In parte, anche se molto meno di allora, tutto ciò accade ancora adesso: non ci si arrende al fatto che estendere il concetto di libertà all’espressione, anche sessuale, è salubre, indispensabile: che la diversità e il senso della coerenza, dovrebbero essere naturalmente e consapevolmente accettate, che il discernimento prescrive il rispetto per quello che si è piuttosto che per quello che si vuol sembrare. Si tende invece a biasimare le differenze, non a distinguerle e rispettarle. Si impone il proprio modo di vedere e sentire all’altro seguendo le tracce, spesso ipocrite, di una morale condivisa e non sempre corretta.

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Il testo del brano: significato

Il testo del brano esula dai preconcetti, tratta di un amore viscerale tra due uomini, segretamente corrisposto – come si seppe dopo lo scioglimento del gruppo che avvenne per la prima volta nel 1986 – ma clandestino come tanti ne esistono.

Come se non fosse bastato il suo look esplicito ed eccentrico ad esaltare le sue fattezze androgine, le sue movenze aggraziate, Boy George confessa tutto, nella sua autobiografia del 1995 Take It Like A Man.

Fonte immagine: Screenshot da video – https://youtu.be/OH6KApqmrBk

Il videoclip è intriso di surrealtà e metafore dal gusto Felliniano. Il pianoforte segue dall’inizio i passi del “condannato”. L’impianto scenico evoca un tribunale dismesso: gli scranni coperti da drappi enormi sovrastati da “giudici popolari” che in coro gemono al cospetto della vittima.

Fonte immagine: Screenshot da video – https://youtu.be/OH6KApqmrBk

George compie la sua ultima arringa autodifensiva prima di essere fagocitato dal giudizio, accompagnando il canto con un dolce ed ipnotico movimento delle mani nel tentativo di spiegare la forza della disperazione che lo coglie, che non gli lascia scampo, con occhi pieni d’amore, sensualità e rassegnazione. Infatti a colpi di batteria, non a caso, arriva la condanna, la musica cambia e la speranza vola via come i palloncini che riempiono la scena mentre un pacco gigante si apre sullo scranno più alto, la festa è finita.

Testo e traduzione

Fonte immagine: Screenshot da video – https://youtu.be/OH6KApqmrBk – Traduzione: Donatella Marotta

 

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