Blanco e Mahmood, sulla nuova cover di Vanity Fair: i vincitori di Sanremo si raccontano

Blanco e Mahmood, sulla nuova cover di Vanity Fair con un’intervista esclusiva e un progetto artistico 

Due giovani artisti che stanno facendo a pezzi classifiche, pregiudizi, pronostici e congetture. Due ragazzi fuori dagli schemi, capaci di conquistare tutta l’Italia con la purezza del loro messaggio universale. Parliamo ovviamente di Blanco e Mahmood, protagonisti assoluti del nuovo numero di Vanity Fair, in edicola da domani 23 febbraio. I vincitori di Sanremo si raccontano come mai fatto prima in 15 sorprendenti pagine di storie e visioni. Le immagini sono state scattate da Luigi & Iango, due tra i più grandi fotografi a livello internazionale, talenti amati da Madonna e da altre star. La copertina ha tutta la potenza iconica di un manifesto destinato a durare: Blanco e Mahmood nudi, con due colombe sulle spalle e lo sguardo fisso sul lettore: «Li abbiamo ritratti così perché le loro storie sono come una pagina bianca, piena di tatuaggi e di sogni, di giovinezza, qualcosa di così forte da scuoterci tutti», scrive il direttore Simone Marchetti nel suo editoriale. Il Paese reale ha bisogno di questo. Di visioni. Di sogni. Di libertà. Di qualcuno che abbia il coraggio di farci capire quello che ancora non sappiamo di dover capire».

Nella sua intervista, Blanco riflette: «Scrivere musica mi ha cambiato la vita. Credo che ognuno abbia qualcosa su cui scommettere: bisogna tirare fuori i coglioni e provarci, qualsiasi cosa sia». Per la musica ha rinunciato al calcio («Ero difensore centrale, mi chiamavano “fabbro”») e gli studi («Mollare la scuola è una cosa che, però, sconsiglio a chiunque: avere un’istruzione serve davvero»). Agli inizi «succedeva che ogni minuto libero scrivevo, che lavoravo in pizzeria per potermi pagare lo studio di registrazione, che ho cantato anche alla Sagra della Porchetta, spero non salti mai fuori il video perché ero ubriaco».

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Poi è arrivato Sanremo, un’avventura che già la prima sera, con lui a strattonare e ad abbracciare Mahmood sul palco, ha conquistato il pubblico, «È stato uno sfogo, perché ad Ale voglio bene, ma è un rompicoglioni. Voleva dire: oh, ce l’abbiamo fatta! Poi la gente si è fatta dei viaggi pazzeschi su quel gesto. È vero, è stato un gesto di passione. Anche in un’amicizia c’è la passione». Poi il successo, improvviso ed enorme: «Ha cambiato tutto, forse l’unico a non essere cambiato sono io». Il rischio, ora, è cambiare, «e sarebbe una cazzata perché il successo mi è arrivato proprio perché sono genuino. Non potrei mantenerlo cambiando questa natura». Blanco continua parlando d’amore «C’è Giulia, una persona a cui tengo tanto» e del dolore di cui ha parlato in uno dei suoi brani più famosi, Celeste: scriverla l’ha aiutato, «se dici qualcosa, l’hai detta, è fuori di te, non è più sulle tue spalle. È come appoggiare qualcosa in fondo al mare. Se la voglio rivedere, so dove trovarla».

Il testimone passa quindi a Mahmood, che a proposito di Brividi e di Sanremo commenta: «È passata sia la canzone, sia il contenuto. Mi sembra che anche le persone che hanno apprezzato il pezzo vivano come me i sentimenti, in completa libertà. Il nostro Paese non ha bisogno di sottolineature. O meglio: politicamente il bisogno c’è, c’è sempre. L’omofobia è presente nella nostra società e spero che i principi del ddl Zan diventino realtà il più presto possibile. Mi sono sempre esposto in difesa dei diritti, contro le discriminazioni di genere. Al Festival quest’anno è arrivata una canzone cantata da due cantanti con due storie d’amore diverse, due vissuti completamente diversi. Quando una cosa è naturale, spontanea e scontata alla gente non gliene frega niente: bisogna normalizzare i sentimenti, non ghettizzarli.».

L’artista si sofferma poi sulla sua vita privata, raccontando della madre («Mi ha fatto a lungo anche da padre, sono cresciuto tanto con lei. Quella è la mia forza. Vedere come una persona sola può fare per due) e del padre, da tanto tempo assente: «Continuo a farmi domande, ma non lo so, non so darmi risposte. Ora non lo sento da un po’. Magari lo sentirò più avanti, lo incontrerò. Ognuno nella vita ha i suoi problemi, i suoi traumi passati. È troppo facile parlare sempre male di qualcuno se poi non sai tutta la storia. E lo stesso credo valga con mio padre. A me piace tenermi neutro perché non sono nessuno per giudicare nessuno, cazzate ne facciamo tutti nella vita». Continuerà ora l’aspirazione, dopo i traguardi raggiunti? «Quella fame c’è sempre. Quando raggiungo una cosa la mia felicità è bella, intensa ma breve. E quando finisce quella felicità voglio subito passare allo step successivo. E negli anni la voglia di fare è sempre diventata più grande. L’importante è essere sempre sinceri nelle canzoni. Non scrivere bugie. E io ogni tanto cazzate ne ho scritte: me le sono riascoltate e le ho buttate. Ne ho buttate tante».

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