Dormire è importante. Lo sento dire da sempre, specie da chi, in effetti, dorme e dorme bene e dorme parecchio. Bisognerebbe dormire almeno otto ore a notte, dicono, ma per dormire otto ore a notte tocca andare a dormire presto, lasciando quindi che le nostre giornate si svolgano prevalentemente al lavoro, o tocca svegliarsi tardi, e chiunque abbia figli in età ancora scolare, è il mio caso, ben sa come la cosa sia sostanzialmente impraticabile, contare sul fatto che si sveglino da soli è dar vita a un’ipotesi fallimentare in partenza, incarnare il ruolo di idealisti senza speranza.

Io soffro di insonnia, da sempre. Non ho, credo, mai dormito otto ore di fila in vita mia, neanche quando ero piccolo. In genere funziona così, mi addormento, a volte a fatica, a volte quando non dovrei dormire, e quello è il sonno buono, quello vero, poi mi limito a dormicchiare, alternando momenti di sonno a momenti di veglia, mai un sonno profondo. Infine mi alzo, sfinito, come se ancora dovessi andare a dormire. Riguardo all’addormentarmi, quando dico che mi addormento a fatica intendo che vado a letto, suppergiù intorno a mezzanotte, almeno durante la settimana, se durante la settimana non ho concerti, eventi, impegni, e fatico a prendere sonno. Mi rigiro nel letto, spesso compiendo i medesimi gesti. Prima mi metto in posizione fetale, rivolto alla mia sinistra. Con mia moglie dividiamo il letto matrimoniale io dormendo a sinistra, lei a destra, quindi quando sto in posizione fetale rivolto alla mia sinistra le do le spalle. Ci sto qualche minuti, come se fosse stretching, poi mi metto a pancia all’aria, come fossi un morto che qualcuno ha ricomposto nella cassa. Poi mi giro in posizione fetale, alla mia destra, e di nuovo a pancia all’aria. Dormire a pancia sotto, che era la mia posizione preferita quando ero magro, è cosa che vado a fare nella seconda metà della notte, quando evidentemente i muscoli si sono rilassati e questa posizione non mi è più scomoda. Comunque sia, in questa posizione, a pancia all’aria, il sonno non arriva mai prima di un’oretta, una cosa snervante. Quindi dormo, per una, due, tre ore. Mi sveglio e a quel punto il sonno è andato, sia che si tratti di un sveglia dovuta al dover andare in bagno, sia che si tratti di una sveglia dovuta a un qualche rumore, a un qualche fattore esterno. Dormo tre ore per notte, da sempre. Altre volte, quando magari ho passato una giornata particolarmente faticosa, mi capita di addormentarmi sul divano, mentre sto guardando la televisione, da solo o con mia moglie. In quel caso è un dramma, perché quel sonno lì, che potrebbe anche durare solo pochi minuti, è comunque il sonno profondo di quella notte. Cui seguiranno i microsonni alternati a veglie che arrivano altrimenti dopo le tre di notte. Così, se mi addormento sul divano, potrebbe anche capitare che il mio sonno di una notte si limiti a pochi minuti, roba che neanche Berlusconi quando parlava appunto dei suoi microsonni grazie ai quali riusciva a fare il suo lavoro di imprenditore e anche di politico.

Essere insonni ha anche qualche vantaggio, sia chiaro, pochi ma comunque presenti. Durante tutte quelle ore passate nottetempo a letto, da sveglio, faccio delle grandi pensate. Pensate che, è noto, col buio e nel silenzio di una camera da letto, spesso sono cupe, disperanti se non addirittura disperate, i problemi si espandono, sembrano irrisolvibili, verrebbe da dire, facendo sfoggio di ironia, tolgono il sonno. Angoscia, spesso è questa la sensazione che accompagna quei pensieri. Ma nottetempo anche i pensieri positivi si espandono, giganteggiano. Forse anche per mero spirito di contrapposizione con quelli disperanti. Così mi immagino cose, sviluppo idee, provo a dar vita a progetti che, spesso, spessissimo, ma la mattina dopo mi appaiono come mere sciocchezze, soluzioni inesistenti a problemi reali, seppur meno gravi di quel che di notte mi era parso. A volte, non di rado come potrebbe sembrare, di notte ho anche idee che in effetti sono interessanti, e che provo quindi a sviluppare. Quasi tutte le cose folli e belle che ho fatto in vita mia, dal progetto Anatomia Femminile a quello Monina Against the Machine, dalla band delle Bikinirama al crowdfunding Monina Sì vs Monina No, passando per il reading monstre Rock Down- Altri cento di questi giorni, le ho pensate di notte, e una volta che mi sono svegliato, dopo averne parlato con mia moglie, che nel mentre ha dormito e quindi è decisamente più lucida e anche oggettiva di me, ho provato a dar loro vita, riuscendoci. Altre volte, idee forse anche più interessanti, stravaganti, eccentriche, le ho pensate di notte, ho provato a svilupparle, senza però riuscire nell’intento, perché magari erano troppo stravaganti e eccentriche, o magari perché non ho trovato il partner giusto per portarle avanti, o più semplicemente perché erano irrealizzabili. Ne ho a decine, appuntate sul mio PC, e non è neanche detto che prima o poi non ci rimetta le mani, quelle che a suo tempo si sono rivelate idee “troppo avanti”, prima o poi diventeranno idee adatte al momento che stiamo o sto vivendo.

Considerando che tra gli altri motivi per i quali si consiglia fortemente di dormire almeno otto ore per notte c’è il fatto che durante il sonno il nostro cervello rielabora le informazioni apprese durante il giorno, migliorando la memoria, oltre che rigenerare tessuti e muscoli danneggiati, sviluppare l’ormone della crescita, e prendersi cura di infiammazioni oltre che dar modo al metabolismo di fare il suo mestiere, direi che è un rischio che posso anche permettermi di correre. Anche perché è un rischio che non ho deciso di correre, involontario, come parte di quelle attività che appunto di notte si svolgono, oltre quelle che si svolgono sempre, dal battito cardiaco al respiro.

Ecco, proprio il respiro, quando ero molto giovane, è stato al centro del mio essere insonne. Mi capitava quasi tutte le notti, infatti, di pensare che se non mi imponessi di respirare avrei smesso di farlo, e appena facevo questo pensiero, in automatico, entravo in apnea. Cioè, mi dicevo, se mi addormento non penserò a respirare e non respirerò, e appena lo pensavo smettevo di respirare, a meno che non mi imponessi di farlo, facendo anche respiri piuttosto profondi. Appena smettevo di fare questi respiri profondi, zac, smettevo di respirare, entrando di nuovo in apnea, una cosa angosciante, che poteva andare avanti anche per ore. Erano anni nei quali soffrivo di una strana forma di attacchi di panico, di cui ho avuto modo poi di parlare in altra sede. Per dire, faticavo all’idea di uscire di casa, perché soffrivo di una violenta forma di colite. Per cui andavo continuamente in bagno, prima di uscire, che so?, per andare al cinema, e avevo sempre con me, in tasca, abbondanti strisce di carta igienica, lì per ogni evenienza. Se arrivavo in un locale, poi, mi premuravo di capire dove era un bagno, perché solo sapere che c’era mi calmava. Un inferno. Soffrivo anche di vertigini, e questo mi impediva di affacciarmi a un balcone, una finestra o stare a ridosso di un dirupo o un burrone. Non solo, mi faceva entrare in ansia anche solo se sapevo che qualcuno a cui tenevo era a ridosso di un dirupo, un burrone o anche solo un balcone.

Tutto questo è passato di colpo, in un periodo determinato della mia vita. So che può sembrare strano, ma è stato un classico caso di chiodo che scaccia un chiodo, non potendo più permettermi di essere fragile o debole, perché nel mentre chi mi stava accanto stava passando un periodo terribile, ho, anche lì involontariamente, o almeno incoscientemente, pensato che ero io a dover diventare sicuro, fermo. Oggi abito al settimo piano di un palazzo interamente circondato da balconi, ne abbiamo cinque, uno dei quali lungo quattordici metri, e passo un sacco di tempo a guardare di sotto in strada, senza avere la minima vertigine. Unico effetto collaterale di quel periodo, credo, ma magari le due cose non sono affatto legate tra loro, l’insonnia, che non ha mai smesso di accompagnarmi. Anche in maniera eccentrica, intendiamoci. C’è stato un periodo, diciamo una quindicina di anni fa, in cui tutte le notti mi svegliavo alle tre e ventotto. A prescindere dall’ora nella quale ero andato a dormire. Alle tre e ventotto mi svegliavo. Come facevo a saperlo? Semplice, inizialmente avevo una sveglia digitale sul comodino, che in maniera agghiacciante e impietosa mi mostrava quell’orario specifico appena aprivo gli occhi. Tre e ventotto, divisi da due punti lampeggianti. Tutte le notti. Al punto che ho deciso di togliere quella radiosveglia digitale, così da non tormentarmi. Solo che, una volta svegliato, la curiosità di sapere se fossero in effetti le tre e ventotto aveva la meglio su di me, così mi alzavo, andavo in cucina e lì, sul display digitale del forno e elettrico potevo vedere, costantemente, tre e ventotto. Una precisione incredibile, e del resto chi mi conosce e lavora con me ben sa quanto io ami essere puntuale. In questo caso una puntualità angosciante, un po’ perché le tre e ventotto equivalgono a aver dormito davvero poco, non vado mai a letto prima di mezzanotte, da sempre, un po’ perché svegliarsi sempre alla stessa ora, con quella precisione, è qualcosa che potrebbe essere propria del protagonista di una punta di X Files o di Fringe, non di una vita realmente vissuta, per altro la mia. Un’altra forma di risveglio per insonnia eccentrico è stato quando, sempre tanti anni fa, mi capitava di svegliarmi perché avevo perso la sensibilità di una mano, a volte di un intero braccio. Era una cosa dovuta alla cervicale, ho scoperto poi, che mi faceva addormentare braccia e a volte piedi. Ma svegliarsi con un braccio che magari ti sta attorno al collo, a mo di sciarpa, ma che non senti come tuo, o con una mano appoggiata magari sulla guancia, ma che non senti come la tua mano, è qualcosa davvero di spaventoso. Per recuperare la sensibilità, in quei casi, frequentissimi allora, mi toccava alzare la mano, come a voler fare il saluto comunista, aprendo e stringendo il pugno anche con un notevole sforzo, finché, lentamente, non arrivava di nuovo a circolare il sangue, ponendo fine a questo supplizio. Ho sempre pensato che anche quei puntini luminosi che capita di vedere a occhi chiusi, ne buio, specie quando si è a letto, fossero una faccenda legate alle circolazione del sangue, ma ho recentemente scoperto che è più una questione legata alla retina, nome scientifico fosfeni. E dire che quando ero bambino i miei mi avevano detto fossero gli occhi degli angeli custodi, roba strana, perché avrebbe voluto dire essere letteralmente circondato da angeli custodi, forse retaggio del mio chiamarmi Michele, come l’arcangelo a capo delle schiere celesti.

Di fatto, soffro da sempre di insonnia, non mi capita quindi quasi mai di sognare, o se sogno non mi ricordo mai cosa ho sognato, e a dirla tutta, temo che la mia fase R.E.M., quella nella quale gli occhi sono soggetti a velocissimi movimento sotto le palpebre, e nella quale il corpo è in uno stato momentaneo di paresi mentre il cervello è molto attivo, al punto che un brusco risveglio potrebbe portarci a uno stato noto come paresi del sonno, noi lucidi ma incapaci di muoverci, ecco, temo che la mia fase R.E.M. sia sostanzialmente inesistente, con tutto quello che ciò potrebbe comportare. Al punto che credo che il mio solo rapporto col termine R.E.M. sia, banalmente, quello che ho avuto nel tempo con la band di Athens, Georgia, capitanata da Michael Stipe. Band che ho molto amato, insieme agli U2 e ai Nirvana credo siano le band più caratterizzanti della mia generazione, e che ho avuto modo di incontrare per altro in una situazione alquanto bizzarra, dentro gli spogliatoi dello Stadio del Conero, quello nel quale poche settimane prima la squadra locale, incidentalmente quella della città nella quale sono nato e cresciuto, Ancona, era stata promossa per la seconda volta nella sua storia in serie A, terza se si tiene conto di quanto venne promossa d’ufficio per espressa volontà di Mussolini, che voleva tutti i capoluoghi di regione nella massima serie di calcio, sotto la guida di Luigi Simoni e sotto la spinta dei goal di Ganz. Io lì con loro, nello specifico con Michael Stipe e Mike Mills, gli altri due, Peter Buck e Bill Berry, assenti giustificati, il primo immagino in altre faccende affaccendato, il secondo fuori dalla band ormai da cinque anni, ai tempi, io lì con loro per un’intervista concordata per la rivista della quale ero prima firma, Tutto Musica, loro per tenere di lì a poco un concerto nel medesimo stadio, il Del Conero, era il 23 luglio del 2003, e quell’anno erano venuti in Italia saltando le grandi città. Un’intervista bizzarra, Stipe aveva intorno agli occhi questi aloni verde fosforescente che odoravano in maniera molto fastidiosa di Vics Vaporub, e ha passato tutto il tempo a scrivere frasi senza senso su un manifesto del concerto che poi avrebbe autografato insieme a Mills, manifesto che ho ora appeso dietro la porta della mia cantina. In precedenza mi era capitato di vederli anche a Milano, per quella che sarebbe dovuta essere la registrazione di una puntata di MTV Sonic o MTV Supersonic, vattelo a ricordare, ma che poi si era trasformata in un vero e proprio concerto, Paola e Chiara di fianco a me, tra il pubblico, ancora lontano il momento in cui Paola sarebbe diventata una delle mie più care amiche nel settore musicale. A Sonic o Supersonic mi era capitato di vedere un sacco di live di livello, su tutti penso quello che aveva per protagonisti Elvis Costello e Burt Bacharach, ai tempi del loro album insieme, lo splendido Painted from Memory, del 1998. Ecco, essendo il 1998, forse il 1999, posso dire con certezza che si trattava di MTV Sonic, MTV Supersonic sarebbe nato sulle sue ceneri solo a partire dal 2000, e posso anche dire che io ero lì per il mio aver cominciato a collaborare con la Mondadori per una collana che poi avrebbe visto la pubblicazione di libri dei vari artisti che stavano animando la scena alternativa, quella che poi sarebbe finita sul palco del Tora! Tora!, quindi Manuel Agnelli, Cristina Donà, La Crus, Luca Morino dei Mau Mau, Massimo Zamboni dei CCCP e CSI. In quell’occasione, vado sempre a memoria, c’erano ospiti i Manic Street Preachers e anche Carmen Consoli, e probabilmente io ero lì proprio per lei, e suo ospite c’era Mauro Ermanno Giovanardi detto Giò, voce dei La Crus, che io avrei conosciuto di lì a poco. Ai tempi sicuramente non lo conoscevo, perché vedendolo ero trasalito, convinto che fosse Thom Yorke dei Radiohead, non credo di averglielo poi mai raccontato. Certo, tutti questi ricordi non trovano riscontri in rete, non so perché ma non esiste un elenco degli ospiti delle singole puntate di quei programmi, e nonostante io abbia chiesto riscontri proprio a Enrico Silvestrin, col quale mi è capitato più volte di interagire nel tempo, in radio come sul web, e Luca De Gennaro, che è stato per tutti questi anni, MTV è stato chiuso definitivamente giusto pochi giorni fa, il responsabile della programmazione del canale americano in Italia, e sicuramente è stato anche molto di più, ma non è rilevante ai fini di questa narrazione, ecco, nonostante io abbia chiesto direttamente a loro, non ho ottenuto risposte sufficienti a fare chiarezza, o meglio ho ricevuto risposte che mi fanno pensare che quell’ospitata miracolosa sia nei fatti frutto della mia fervida fantasia, nessuno dei due ne ha minima traccia nella memoria, per cui vi riporto i ricordi così come vengono, con la medesima mancanza di lucidità che il mio essere insonne spesso mi regala nel corso di una qualsiasi giornata tipo. Con Luca abbiamo ricordato quando per Tutto Musica portai lì a Sonic, ma forse era già Supersonic, un giovane e sconosciuto Bugo, vestito da contandino, erano i tempi di Sentimento Westernato, e di come, dietro le quinte, insultò una altrettanto giovane, ma non sconosciuta, Ilary Blasi, nessuno dei due ricorda perché lì nelle vesti di Letterina. La stessa sera, si è ricordato Luca, nella quale si esibirono gli Oasis, in una versione futuribile senza Liam, ma con Noel alla voce. Di Elvis Costello, con o senza Burt Bacharach, però, nessun ricordo.

In realtà no, alla fine ho trovato traccia, l’ospitata era del solo Costello, l’11 giugno del 1998, quindi era MTV Sonic, per promuovere il disco con Bacharach, tre i brani eseguiti accompagnato dal solo Steve Nieve, Toledo, I Still Have That Other Girl e God Give Me Strenght, non sono poi così bollito.

Tornando ai R.E.M., si stava in fondo parlando di sonno e nello specifico di insonnia, anni fa, credo fosse il 2009, ho avuto anche modo di incontrare Peter Buck, all’aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York. Giusto un attimo dopo aver incontrato Marcia Cross, la Bree Van De Camp di Disperate Housewives, con la quale mi sono fatto una foto nella quale appare impeccabile, proprio come il personaggio che l’ha resa una celebrità in tutto il mondo occidentale, lei a fingere di abbracciarmi, senza che in realtà il braccio che mi cingeva la vita neanche mi sfiorasse. Peter Buck l’ho incontrato un attimo dopo, nei bagni, entrambi in piedi davanti agli orinatoi a muro, motivo per il quale non gli ho chiesto una foto, che sarebbe sembrata quantomeno irrituale. Quell’episodio l’ho poi raccontato nella biografia che ho dedicato di lì a poco a Michael Stipe, trasformando il chitarrista dalla classica JetGlo Rickenbacker 360 nel cantante, a mero uso narrativo. Quando si pratica l’autofiction funziona anche così, si attinge dal proprio vissuto o da un racconto di fantasia riconducibile per chi legge al vissuto di chi scrive, poco conto che i fatti narrati siano in effetti aderenti pedissequamente ai fatti vissuti, è a uso meramente narrativo, non cronachistico.

Per combattere l’insonnia, non credo di dire nulla di nuovo, esistono svariati metodi, più o meno efficaci, alcuni dei quali con me hanno miseramente fallito.

C’è la chimica, sotto forma di medicine atte a indurre sonnolenza e calma. Le ho provate, una notte, tanti anni fa, sotto consiglio del medico della mutua che da anni seguiva la mia famiglia. Non ho chiuso occhio, rimanendo però praticamente paralizzato, come in uno di quei film dell’orrore nei quali il protagonista viene seppellito in quanto creduto morto, ma in realtà vivo e cosciente. Ero lì paralizzato ma lucido, che pensavo a cosa sarebbe mai potuto accadere nel caso nella mia città natale, ai tempi vivevo lì, fosse arrivato l’ennesimo terremoto, impossibilitato a scappare o anche solo a scendere in strada. Fatto che mi ha spinto a tenermene a debita distanza da allora e per sempre. Idem per i fiori di Bach, medicamento di natura omeopatica che, confesso, ha avuto su di me il medesimo effetto del bere un bicchier d’acqua, senza però il beneficio di sentirmi dissetato. Un placebo riconosciuto da me come placebo, quindi disinnescato di ogni suo potere. Sarà che sono per mia natura poco incline a affidarmi alla medicina, ogni qualvolta mi capita di annunciare in famiglia un mal di testa o altra situazione facilmente ammansibile con il semplice gesto di ingerire una Tachipirina o un’Aspirina, fatto che mi viene prontamente suggerito da mia moglie e i miei figli, suggerimento che rimbalzo, non volendo prendere medicine inutili, vengo accusato di essere una via di mezzo tra un Amish e un no-vax, questo nonostante io mi sia vaccinato e semplicemente provi a tenere il mio fisico lontano dalla chimica. Ciò dovrebbe forse indurmi a spingermi verso tecniche di rilassamento quali lo Yoga, la Mindfulness, roba che pratica mia moglie Marina, e per la quale sono solito sfotterla bonariamente, dubito sarei credibile mentre di colpo la pratico anche io. O magari a utilizzare quelle musiche ambient che proprio per creare una condizione di relax sono state composte e messe sul mercato, solo che la musica, qualsiasi tipo di musica, ahimé, mi spinge a un ascolto analitico, da critico musicale, niente che sia compatibile con l’idea di lasciarmi andare, di riposarmi. Anche le tante ninne nanna che cantautori, cantanti e band hanno inciso, spesso dedicandole ai propri figli, nei fatti, le ascolterei come semplici canzoni, quali in effetti sono, privandole di quegli intenti benefici che molto spesso sono più a livello della loro immagine più che del buon dormire dei loro bambini. Certo, ce ne sono di interessanti, come Baby Cip!, versione per strumenti giocatollo dell’album Cip! che Brunori SaS ha voluto dedicare a sua figlia, ma anche lì mi risulterebbe del tutto impossibile scindere il me critico musicale dal me insonne, e il primo prevarrebbe indubbiamente sul secondo. Mica è un caso che in casa, da che collaboro con Bontempi, quelli della famosa pianola, ho diversi strumenti giocattolo coi quali mi diverto proprio a suonare versioni bambinesche delle hit del momento, sarebbe davvero una disfatta.

Peggio, potrei affidarmi a quegli audio presenti sulle piattaforme di streaming che riproducono rumore bianco, il canto delle balene, il rumore del phon, tutti suoni che dovrebbero indurre alla sonnolenza, ma che a me fanno solo ridere, figuriamoci se potrei mai addormentarmi mentre dormo. Potrebbe forse avere un qualche effetto un video ASMR, anche se lì, suppongo, la mia attenzione sarebbe tutta sul cercare di capire cosa viene bisbigliato da quella voce appena sussurrata e lenta, finendo quindi per perdere del tutto anche quel minimo di sonno che mi potrebbe capitare di provare.

Tempo fa, scherzando ma neanche troppo, mi sono ritrovato a dire a persone che lavorano nel mondo della televisione, gente che in qualche modo mi aveva attenzionato e stava provando a infilarmi in qualche reality, che la sola possibilità che ritenevo plausibile era quella di entrare dentro la casa del Grande Fratello, ovviamente VIP, così da poter passare qualche settimana a dormire indisturbato, fatto che ovviamente è stato identificato, erroneamente, come una boutade, anche se nascondeva più di qualche verità. Pensateci, uno scrittore e critico musicale famoso per le sue polemiche, famoso negli ambienti musicali, e per il suo essere costantemente sopra le righe, punk, che entra nella casa del Grande Fratello e esterna il suo disinteresse per quel mondo stando tutto il tempo a dormire, su un divano, su una sdraia o a letto. Peccato che poi Fulvio Abbate, scrittore e a lungo compagno di testata, abbia deciso di fare quel passo davvero, privandomi della possibilità di continuare a scherzarci su, e negandomi in qualche modo della possibilità di fare una “cura del sonno” che neanche prevedesse l’utilizzo di psicofarmaci.

Niente, neanche un reality mi è potuto venire in soccorso in questa mia cinquantennale battaglia contro l’insonnia. Al punto che quasi la rassegnazione e il disincanto volgeva verso la disperazione, perché dormire è importante, e se è vero quel che cantava Claudio Baglioni nella canzone I vecchi, gli anni che mi spettano dovrebbero vedermi dormire ancora di meno, facendo di me uno di quei “vecchi, tosse secca, che non dormono di notte/ seduti in pizzo al letto a riposare la stanchezza”, insomma, una prospettiva onestamente non proprio entusiasmante. Ma poi, quando ormai tutto sembrava perduto, ecco il miracolo. Un miracolo sperato, ma non certo atteso, perché sfido io chi nel provare a immaginarsi il futuro metta in conto tra le variabili un miracolo. Miracolo che risponde al nome di Mario Molinari, in arte, diciamo così, Tedua, e al titolo Chuniri, che poi sarebbe la sua ultima canzone. Una canzone che prende le distanze da quella cosa inascoltabile che rispondeva invece al titolo de La divina commedia, per non dire a La divina commedia Deluxe, la cosa più vicina al concetto di cringe che io possa immaginare, associare l’opera del Sommo Poeta a quelle banalità, e che invece tenta un ritorno al passato, il suo, altrettanto cringe proprio in virtù di quel che è successo nel mezzo, gli è successo nel mezzo. Perché non è che la street credibility uno se la possa giocare o meritare a giorni alterni, e una volta che l’hai persa l’hai persa. Per non dire della tenerezza di vederlo ora fare il duro alla Vin Diesel dopo averlo visto fare quei buffi balletti durante l’ultimo tour. Sia come sia, ascolti Chuniri e dormi di sasso, come e meglio di quanto dovresti già fare in natura. Certo, è un sonno che dura appena tre minuti e diciassette secondi, e viva Dio che Tedua abbia voluto prendere le distanze dai tempi corti di Tik Tok. Tre minuti e diciassette di sonno profondo che però, qui l’altra notizia, so che potranno diventare molti di più, forse anche un paio d’ore, il prossimo 24 giugno, quando arriverà per la prima volta a San Siro per tenere un suo concerto. Qualcosa che quasi mi spinge a cambiare idea sul fatto che abbattere lo stadio Meazza, questo il suo vero nome, è l’ennesima aberrazione ordita dal sindaco Beppe Sala, perché se il tenore dei concerti che vi si tengono è questo, forse, tocca riconoscere che non tutti i mali vengono per nuocere.

Non saprei dire se questi tre minuti e diciassette passati a dormire, senza neanche un sogno a disturbarmi sia qualcosa di equiparabile a quello che nella Bibbia veniva chiamato il “sonno dei giusti”, quello che però so con certezza è che Tedua è un clamoroso caso di sopravvalutazione, da parte del pubblico, di certa sedicente critica e anche e soprattutto di lui stesso, lì a paragonarsi a Dante, e che non vedo l’ora esca il disco per potermi fare un’altra bella dormita.