Sono sovrappeso, è un dato di fatto col quale ho imparato mio malgrado a fare i conti. Non lo sono sempre stato, quindi farci i conti è indubbiamente stato più difficile, ma negare l’evidenza mi risultava difficile. Star qui quindi a dire che sono l’elefante nella stanza, converrete con me, è quantomeno fastidioso. Ma si dice così, l’elefante nella stanza, e lo si dice proprio perché l’elefante è qualcosa di molto ingombrante, e difficilmente non lo si noterebbe, fosse nella stanza nella quale ci troviamo.
La stanza nella quale mi trovo, metaforicamente, è una di quelle per le riunioni della Warner, major che negli ultimi anni sta mietendo successi come pochi altri, e dove oggi viene presentato alla stampa Ma io sono fuoco, il nuovo album di Annalisa. Quella cui prendo parte è una round table, che è poi un modo figo per dire tavola rotonda, anche se nei fatti io non sono fisicamente dentro quella stanza, quindi non sono fisicamente seduto intorno a quella tavola che, per altro, non è rotonda ma ovale, come quella alla quale siede Trump, prendete nota.
Il motivo per cui non sono fisicamente dentro quella stanza, ma collegato tramite un link di Google Teams, è perché l’oggi in cui questi fatti si svolgono non è l’oggi in cui questo pezzo uscirà, e neanche quello nel quale lo leggerete (che sia il giorno in cui esce o un altro poco cambia). Oggi, l’oggi in cui i fatti avvengono, è il 3 ottobre 2025, giorno nel quale si è tenuto lo sciopero generale per sostegno alla Global Samud Flotilla, giusto un paio di giorni fa assaltata dalle milizie israeliane mentre erano in acque internazionali e in procinto di entrare in quelle Palestinesi, quindi un assalto che ha violato bellamente qualsiasi principio di diritto internazionale, forse perché come dice il Ministro degli esteri Tajani, il diritto internazionale conta fino a un certo punto, tutti i membri delle barche arrestati e portati nel porto di Ashdod, poi arrestati e, nel caso dei nostri parlamentari, tristemente rimandati a casa. Un giorno nel quale, in tutta Italia, sono scesi in piazza in tanti, tantissimi, oltre un milione di persone in oltre cento città, solo a Milano siamo, sì, siamo scesi in piazza in oltre centomila, da Porta Venezia fino alla sede del Politecnico, in piazza Leonardo Da Vinci, centomila persone, con una frangia che si è poi staccata per andare a bloccare la vicina stazione di Lambrate e la Tangenziale Est. Segnatevi anche questo. Questa è la Milano che mi piace, non certo quella svenduta ai palazzinari dal sindaco Beppe Sala, che ha voluto chiudere la sua sfavillante discesa agli inferi svendendo San Siro, mica sarà un caso che a sfilare ci sia anche quel Pierfrancesco Majorino che così tanto sarebbe bello vedere a Palazzo Marino, come quel Paolo Limonta che ci ricorda quanto di buono è stato fatto ai tempi da Pisapia.
Comunque, il motivo per il quale non sono dentro quella stanza, presente come elefante ma non come essere umano, è perché è un giorno di sciopero, e ho quindi deciso di aderire, seppur parzialmente, sono infatti presente in collegamento, e perché abito dalle parti nelle quali la frangia staccatasi dal corteo principale ha deciso di passare, questo nonostante un enorme spiegamento di forze dell’ordine in assetto di guerra, pronto a fermare eventuali manifestanti facinorosi, fortunatamente non pervenuti. Risultato, fermata della metropolitana vicina casa mia, quella che avrei preso per andare in Warner, dal momento che mi sarebbe stato impossibile farlo in auto, tutte le strade bloccate per la manifestazione, risultato, dicevo, fermata della metropolitana vicina casa mia chiusa, strade bloccate, caos festoso per le strade, io chiuso in camera collegato su Google Teams perché anche solo in sala o in studio avrei sentito le casse degli altoparlanti dei vari camion dei manifestanti sparare fin qui su al settimo piano slogan contro Israele e a favore di una Palestina Libera.
Tutto questo che vi sto raccontando, attenzione, non è un modo singolare per raccontare fuori tempo massimo della manifestazione del 3 ottobre, per altro occupando degli spazi che sarebbero riservati a altro, il nuovo disco di Annalisa, ma un passaggio importante di questa chiacchierata multipla, tanti gli intelocutori con la cantante ligure, io tra questi. Certo, è anche un modo per dire che quella manifestazione è stata qualcosa di portentoso, come non se ne vedevano da anni e anni, hanno detto tutti quelli che da anni e anni vanno alle manifestazioni, io non rientro nella categoria, ma ci arrivo poi.
L’ufficio stampa di Annalisa mi chiede se intendo partecipare in collegamento, e siccome ho molta stima e anche un po’ di affetto per Annalisa, oltre che per l’ufficio stampa, e siccome so che il pezzo è sotto embargo fino al 10, così si dice, come fossimo Cuba per gli Stati Uniti, sotto embargo, volendo dire che fino a una determinata data, il 10 ottobre nel nostro caso, non si può uscire col resoconto di questa chiacchierata, decido di partecipare, lo sciopero l’ho fatto il 3, che tecnicamente è per me ora che sto scrivendo, subito dopo aver partecipato alla round table, lo sciopero l’ho fatto il 3 non pubblicando neanche un pezzo.
Ora, non ho idea se siate giunti fin qui, dove per “giunti fin qui” non intendo tanto giunti fino a questo punto di questo pezzo, quanto piuttosto giunti a leggere questo pezzo, qui, appunto, casualmente, o magari attratti dal fatto che nel titolo e nella foto che lo accompagna si fa riferimento a Annalisa, di cui è appena uscito, il pezzo esce il 10 ottobre, appunto, Ma io sono fuoco, nuovo album, o se invece siete soliti leggere quel che scrivo, in entrambi i casi, più nel secondo che nel primo, non vi sarà sfuggito quanto io ami partire da qualcosa che ruota intorno a me per arrivare poi a parlare di quello che in effetti è l’oggetto dei miei pezzi. Non starò qui a spiegare che non è esattamente di me che vado quasi sempre parlando, ma di un me utile al mio modo di narrare, una sorta di mirino per inquadrare la figura, poco importa, ma nei fatti amo parlare di me, così vuole la vulgata. Non mi è quindi possibile non sottolineare come oggi, 3 ottobre 2025, verso le 17 di pomeriggio, dopo aver passato la mattinata nel corteo che è partito da Porta Venezia e facendo un giro alquanto tortuoso ma bellissimo è poi giunto fino a Piazza Leonardo Da Vinci, la coda del corteo ancora al punto di partenza mentre noi, io e Lucia, mia figlia, eravamo proprio dietro il camion che apriva la fila, eravamo già arrivati a destinazione, dopo essermi poi sbattuto non poco per recuperare i miei figli piccoli, andati a scuola e impossibilitati a tornare come di prassi a casa, visto che la fermata a noi più vicina era chiusa per la manifestazione, e mai sono stato così contento nel dovermi sbattere, perché sono dell’idea che uno sciopero è uno sciopero e debba per sua natura creare disagi, anche a me stesso, alla faccia di chi sostiene che “weekend lungo e rivoluzione non vanno di pari passo”, come se poi chi lavora nella scuola, nei trasporti, e chissà in quante altre occupazioni, la mia compresa, non lavorasse anche nei weekend, e come se lo sciopero fosse un giorno di ferie, pagato, e non un giorno nel quale per scioperare si rinuncia allo stipendio, appunto. Non mi è quindi possibile, dicevo qualche riga fa, non sottolineare come oggi, 3 ottobre 2025, verso le 17 di pomeriggio, dopo una giornata molto intensa e anche faticosa, io mi sia trovato per qualche minuto come proiettato dentro una sorta di Metaverso, sorta di Metaverso nella quale mi capita saltuariamente di entrare, e dalla quale tendo a tenermi a debita distanza per una mia salvaguardia personale e anche per non perdere ulteriore stima non solo nella categoria della quale, mio malgrado, faccio parte, quella dei critici e giornalisti musicali, ma anche più in generale del genere umano tutto. Perché mi arriva il link per partecipare alla conferenza stampa di Annalisa, diligentemente mi collego, per di più per ben tre volte perché il collegamento non è ancora partito e dopo un po’ il link scade, e quando la round table inizia, puf, eccomi circondato da unicorni che fanno scoregge arcobaleno e piccoli baldanzosi esserini pucciosi e coloratissimi che di colpo trasformano la Milano inondata di bandiere palestinesi in una sorta set di un prossimo film degli Orsetti del cuore. Una round table si svolge così, inizia a fare la prima domanda uno o una, di solito vicino/a all’artista, e poi si scorre in senso antiorario, come si giocasse a carte. Una domanda a testa, uno via l’altro. In collegamento siamo in quattro, cinque se consideriamo anche l’ufficio stampa, lì per permetterci di essere collegati. Scoprirò quando sarà il mio turno che per questa volta è previsto anche un maxi schermo nel quale siamo presenti, fino a quel momento sotto forma di icona, mentre in genere si sentono solo le voci. Presenti negli uffici della Warner una decina di colleghi, dall’inquadratura ne vedo giusto quattro, dei quali riconosco solo uno, mio stimato amico. Dalle voci ne riconosco giusto un altro, a sua volta amico e collega stimato. Ma nonostante la stima e l’amicizia, ripeto, vengo fiondato nel Metaverso puccioso, perché tutti cominciano a fare domande sulla scelta della copertina, su come verranno arrangiate le canzoni in vista del tour, su questa o quella canzone, addirittura sul rapporto che Annalisa ha con suo marito. Oggi, 3 ottobre 2025, mentre l’Italia ha dato una prova di reattività a una situazione tragica, il genocidio che avviene a Gaza per mano di Israele, e surreale, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, dopo aver millantato rischi di ritorno del terrorismo, a partire dalla morte di Charlie Kirk, di cui tanto si è pianto e parlato, spesso a sproposito, e di cui, giustamente, nessuno parla più da giorni, tornato nel dimenticatoio dal quale è ucciso nel momento in cui lo hanno ucciso, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, dopo aver millantato rischi di ritorno del terrorismo, a partire dalla morte di Charlie Kirk, che ora parla di scioperanti come fossero fancazzisti che ambiscono a passare il weekend lungo al mare e degli eroi della Flotilla come dei disgraziati che hanno fatto tutto per amor di megalomania e che ora, a differenza di quel che lei stessa (si può dire lei stessa parlando in un presidente? Boh) ha fatto con Almasri, carnefice rimandato in patria con tanto di volo di stato, ora dovranno pagarsi il rimpatrio a spese proprie, sempre che Israele li liberi, quindi oggi, 3 ottobre 2025, noi siamo qui riuniti intorno a un tavolo a parlare di copertine e di sentimenti, di arrangiamenti e di scrittura, e non di quello che ci succede intorno. Smanio, incredulo, dietro lo schermo del mio tablet, ma a parte aver alzato la manina digitale, per chiedere la parola, non posso far altro. A un certo punto Annalisa dice di aver scritto tutte le canzoni partendo da qualcosa che le è successo, o da quel che le succede intorno, dopo aver appuntato qualcosa che ha poi sviluppato in studio. Mi segno la cosa mentalmente. Poi, quando non so chi, per sua fortuna, le chiede se ci sono riferimenti specifici a accadimenti specifici nei testi di una qualche canzone, affondando le mani nel gossip, dice che lei prova fatica a mettere a disagio le persone, per cui ha sempre provato a non rendere riconoscibili fatti e eventi, in qualche modo, dico io mentalmente, universalizzando dei fatti specifici. Ci siamo, arriva il mio momento. Di là, dalla sala, oltre la porta della mia camera, e addirittura oltre le porte finestra della sala stessa, si sentono i ritmi sincopati di qualche canzone, oltre che cori che inneggiano a una Palestina libera dal fiume fino al mare, e chissà se chi li canta ha idea di cosa voglia dire ipotizzare una Palestina che arrivi dal mare al Giordano, dubito.
Prendo la parola, e dai saluti che Annalisa mi porge capisco che fino a quel momento su uno schermo di fronte a lei, e alle spalle di alcuni colleghi, c’era una gigantografia della mia faccia, sotto forma di icona di Google Teams. Capisco che non è cortese stare con la telecamera spenta, quindi la accendo, trasformando quella icona in una versione live di me stesso, stessi capelli lunghi, stessa barba lunga, solo tutto molto più bianco. Ho il tablet in mano, e muovendo la testa cerco di tenere occultato alla vista dei presenti sia il lampadario da soffitto che si trova alle mie spalle, sono seduto in pizzo al mio letto matrimoniale, sia lo split dell’aria condizionale che è alla mia destra. Ci riesco, credo. Sono l’elefante nella stanza, dicevo un numero spropositato di parole fa, oltre duemila. E lo sono perché comincio dicendo qualcosa che suona così “Io, a tua differenza, non provo fatica a mettere a disagio le persone. Così almeno dicono in giro”. Risate. Poi proseguo, “Non sono lì con voi, fisicamente, e sono qui in camera mia, neanche in sala o in studio, perché di là, in sala e in studio, si sentono i cori e la musica dei manifestanti che stanno tornando dopo aver bloccato per qualche ora la Tangenziale Est. Per questo non sono potuto venire”. Silenzio in sala. Affondo, “Siccome prima hai detto che scrivi di quello che ti succede o che succede intorno a te, ti è mai venuto in mente di raccontare di quello che sta accadendo adesso? Perché va benissimo raccontare di tematiche femminili, ovvio, ma stiamo vivendo un momento importante, doloroso e per certi versi agghiacciante, sarebbe bello che ci fossero canzoni, anche pop, che ce lo raccontino.”
Annalisa non tentenna, va detto. Nonostante io mi sia palesato come l’elefante nella stanza, e nel farlo abbia indicato l’elefante assai più grande di me, le guerre, la crisi internazionale che stiamo vivendo, e per osmosi anche tutto il resto, i cambiamenti climatici, le pandemie, la crisi economica, Annalisa risponde. Dice che non sa se è in grado di raccontarci tutto questo. Ci ha pensato e ci pensa, ovvio, ma sono temi difficili da trattare, magari con leggerezza.
Riprendo la parola, non mi basta. Dico “Oggi ero in manifestazione, ci sono tornato dopo trent’anni dall’ultima volta, nel 1994. Un sacco di tempo. Solo che ho notato che le canzoni che uscivano dalle casse erano le stesse di trent’anni fa. Giusto qualcosa di nuovo,” non le ho citate, ma erano per l’esattezza Eroe e Io vengo dalla Luna di Caparezza, a Caparezza ho mandato il video della folla che cantava le sue canzoni, condividendo con lui una forte emozione, L’onda di Dargen D’Amico, e Casa mia di Ghali, e basta, se no era tutto un Bella ciao dei Modena City Ramblers, Contessa di Pietrangeli, Curre curre guaglio’ dei 99 Posse. “Giusto qualcosa di nuovo, ma per il resto solo canzoni di trenta e passa anni fa. Il pop, il mainstream non ci ha raccontato la pandemia, mentre eravamo sotto il Covid, e ora non ci racconta la guerra…”
“Hai ragione”, dice Annalisa, il cui Ma io sono fuoco, va detto, è un album che in qualche modo cementifica quanto di buono fatto fin qui, senza spostare oltre l’asticella, che forse non si può spostare oltre, lei quel pop che affonda le radici negli anni Ottanta lo sa fare bene, e lo sa, ma in qualche modo capitalizzando il tesoretto messo da parte negli ultimi tre, quattro anni, “Hai ragione,” dice Annalisa, “ne prenderò spunto magari per lavorarci su in futuro, grazie per avermelo fatto notare.”
“In caso me ne prenderò i meriti,” rispondo. Poi taccio, e si torna a parlare di faccende effimere, tra unicorni e elfi. Ma io sono fuoco, va detto, è un album molto bello, in ambito pop, perché Annalisa è una grande artista e ha finalmente trovato il proprio vestito, quel sound anni Ottanta che, stavolta con ulteriore spinta sull’ironico, si prende la briga di parlare di sentimenti. Una numero uno, Annalisa, bravissima nel gestire quel gioiello che è la sua voce, adulta nel modo di affrontare il suo stare in un mondo che non è esattamente votato alla maturità, una che potrebbe continuare su questa strada ancora a lungo, ma magari, chissà, un giorno deciderà di spostare la sua attenzione anche verso quello che succede tutto intorno a noi, nella speranza che quello che succede tutto intorno a noi faccia un po’ meno orrore.
Nel mentre è appena uscita Fino all’ultimo respiro, canzone dedicata a Gaza, alla Flotilla e alle manifestazioni che stanno animando queste giornate autunnali. Canzone che vede assieme gli Assalti Frontali, Il Muro del Canto e i 99 Posse, cioè gente che è passata o sarebbe dovuta passare dentro le casse dei camion della manifestazione, senza ombra di dubbio. La canzone fa il paio, come volontà di non tirarsi indietro rispetto all’oggi, con Brucia tutto di Cosmo, brano se possibile anche più spigoloso di quello dei suoi esimi colleghi, marziale nell’incedere, impietoso e preciso nel testo, incalzante nel metterci con le spalle al muro di fronte al paradosso di avere l’orrore davanti agli occhi e non riuscire a farci sconvolgere da questo, e anche con S.O.S. di Piero Pelù, che ha giustamente deciso di non usare Spotify in questo caso, complice la Sony, visti i legami tra il fondatore Daniel Ek e l’industria delle armi. Canzoni che dovrebbero poter diventare inni per manifestazioni future, perché è chiaro che di manifestazioni ce ne saranno altre, vuoi perché purtroppo la situazione non è in procinto di migliorare, vuoi perché sembra che, dopo anni e anni, la gente stia davvero cominciando a reagire, io tra loro.
James Baldwin, ormai tanti, tantissimi anni fa, ha scritto un capolavoro che risponde al titolo “La prossima volta, il fuoco”. Annalisa è appena uscita con “Ma io sono fuoco”. Io credo che sia arrivato il momento di dirlo a voce alta: questa volta il fuoco, spero che Annalisa sia dei nostri.