Alla fiera Marmomac 2025 di Verona, Maurizio Cattelan ha compiuto l’ennesima provocazione, scegliendo di non presentarsi alla cerimonia in cui gli veniva conferito il Best Communicator Award.
La provocazione è anch’essa parte della sua arte e del suo personaggio artistico, infatti è intrinseca in quasi tutte le sue opere.
Al suo posto però, ha inviato una scultura, una perfetta riproduzione della propria testa, scolpita nel marmo da un robot.
A completare l’installazione, un video in timelapse della lavorazione e un audio preregistrato in cui l’artista, con il suo consueto tono ironico, ringrazia per il premio e invita i presenti a rivolgersi direttamente alla scultura se avessero domande.
Il gesto è semplice quanto destabilizzante.
Cattelan mette in discussione il concetto stesso di presenza e identità, suggerendo che l’autore, oggi, può essere sostituito da un simulacro, da un’immagine, da un oggetto creato da una macchina, in questo caso specifico una statua creata da un robot.
La scultura non rappresenta solo il suo volto, ma la sua assenza trasformata in forma. È l’artista che diventa icona, avatar, contenuto e perde la propria identità personale.
In un’epoca come la nostra, in cui la tecnologia mediatizza ogni relazione, e in cui la nostra presenza è spesso ridotta a un profilo, una voce sintetica o un volto su schermo, la provocazione di Cattelan suona come una diagnosi tagliente, forse non siamo più necessari, o lo siamo sempre meno. La nostra persona, la nostra corporeità, possono essere delegate, automatizzate, scolpite da altri.
E in un mondo in cui l’intelligenza artificiale e le varie tecnologie sembrano poterci sostituire in un batter d’occhio, un gesto come quello racconta molto.
Ma non è solo un gioco concettuale. È una critica acuta alla spettacolarizzazione dell’arte, ai suoi rituali vuoti, ai premi che possono essere ritirati da una scultura senza che nessuno ne noti la differenza.
L’artista si autoesclude, e così facendo ci costringe a chiederci: cosa resta dell’arte, e di noi, quando l’umano si fa oggetto, e l’oggetto prende il suo posto?
Cattelan, come sempre, non dà risposte, e non è quello che ci serve.
Lui fa di più, ci lascia un’immagine potente: la sua testa in marmo, muta e perfetta, a rappresentare un’intera epoca in cui l’assenza è diventata una forma sofisticata di presenza.
Ora viene solo da chiedersi, quello di Maurizio Cattelan, un caso isolato o un futuro ipotetico?