“Quarto Grado”: intervista all’ex Maresciallo GIUSEPPE SPOTO: «Non ho mai preso soldi dalla famiglia Sempio: non avrei mai venduto il mio onore e la mia divisa per niente al mondo»

Nel corso della puntata di “Quarto Grado” – in onda questa sera, venerdì 26 settembre, su Retequattro – è andata in onda un’intervista esclusiva a Giuseppe Spoto, l’ex maresciallo dei carabinieri, che venerdì scorso ha subito la perquisizione della sua abitazione, nell’ambito dell’inchiesta contro l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti. I PM bresciani vogliono indagare sui rapporti opachi tra Spoto e Sempio: nel 2017 gli viene contestato di non aver trascritto alcune frasi delle intercettazioni e anche l’averci messo 40 minuti per notificare un atto.

Di seguito l’intervista a Giuseppe Spoto:

«Non sono indagato, quindi già per il momento è una buona notizia. È stato uno shock, sicuramente, perché vedere arrivare nella propria abitazione alle sette del mattino otto persone per fare una perquisizione, per prendere un cellulare, due computer, un’agenda che avrei potuto tranquillamente consegnare a espressa richiesta».

Maresciallo Spoto, ricostruiamo dall’inizio il pomeriggio dell’8 febbraio del 2017. C’è questa telefonata ad Andrea Sempio e poi c’è luogo che poi lei raggiungerà per fare questa notifica, questo invito a comparire.

«La telefonata la feci per rassicurarmi che Andrea Sempio rimanesse sul luogo di lavoro, a Montebello della Battaglia, presso l’Iper, dove lavorava».

 

Nell’intercettazione tra lei e Sempio c’è anche la sua frase ‘almeno facciamo due chiacchiere’, anche qui con un tono molto colloquiale. A cosa serviva instaurare questo rapporto.?

«Serviva, come ho detto, fondamentalmente per assicurarmi che non lasciasse il posto di lavoro. Quindi fare due chiacchiere per me era fargli la notifica, non c’era nessun secondo fine nella mia azione. Era quello il mio obiettivo».

 

Le viene contestato di averci messo un’ora e un quarto per notificare un semplice atto. Perché tutto questo tempo?

«Noi l’8 febbraio avevamo il compito di installare la microspia sulla macchina di Andrea Sempio. Il tecnico della ditta incaricata doveva raggiungere il parcheggio dell’Iber di Montebello per aprire la vettura e installare la microspia. Ovviamente io ho dovuto traccheggiare e cercare di perdere il più tempo possibile perché il signor Sempio non andasse fuori verso il veicolo».

 

Dopo Sempio lei ha parlato anche con l’avvocato Soldani che le ha fatto domande un po’ suggestive

«Beh, il legale cerca sempre di fare il suo lavoro, cerca sempre di ottenere qualche risposta che possa fargli capire come vanno le cose. Io ho glissato sul tentativo dell’avvocato».

 

Ha percepito che magari volesse avere qualche informazione in più sull’andamento delle indagini?

«Sì, avevo avuto questa impressione, dal tono della domanda, però non era certo mia intenzione ragguagliarlo su questioni relative alle indagini che tra l’altro non avrei neanche potuto dirgli perché non le conoscevo».

 

Lei era la persona che doveva ascoltare le conversazioni e poi le doveva trascriveva. Gliene vengono contestate alcune non riportate.

«Per quello che ricordo, ma sono abbastanza certo di quello che dico, l’audio nella macchina di Sempio non era così limpido. A volte, soprattutto quando la macchina transitava su percorsi sconnessi, era veramente difficile capire. E io ho sempre adottato questa politica in tutta la mia carriera, se una frase non è completamente comprensibile per me non va riportata».

La famiglia Sempio intercettata parla letteralmente di ‘dobbiamo pagare quei signori lì..’

«Io ricordo quel passaggio, ma la frase si completava, mi sembra fosse la madre di Sempio che chiedesse al padre ‘a chi dobbiamo pagare’ e il padre rispondeva ‘agli avvocati’».

 

Lei ha mai preso soldi dalla famiglia Sempio?

«Assolutamente no, perché avrei dovuto? Io ho fatto solo il mio lavoro ed esclusivamente il mio lavoro. Io ho una coscienza cristallina, ho fatto 40 anni nell’arma, sono figlio di carabinieri, sono stato educato in un certo modo. Non avrei mai venduto il mio onore e la mia divisa per niente al mondo».