Ne ha parlato per la prima volta pubblicamente
Björn Borg, 69 anni, ha raccontato in un’intervista a Repubblica la sua battaglia contro «un cancro alla prostata molto aggressivo». L’ex campione svedese ha ricordato il momento della diagnosi: «Il medico mi ha chiesto quanto volessi vivere. Gli ho risposto: per sempre non si può, ma qualche anno ancora sì. E lui: allora deve operarsi al più presto. E così sono andato dritto in ospedale. Ora faccio controlli ogni sei mesi». Borg invita oggi tutti gli uomini a non sottovalutare la prevenzione, perché «è un tumore silenzioso».
La leggenda del tennis, capace di vincere 11 tornei del Grande Slam – sei Roland Garros e cinque Wimbledon consecutivi – si ritirò giovanissimo, a soli 26 anni. Un addio che lui stesso definisce più una fuga che una decisione programmata: «Leave me alone, urlai a chi mi voleva seguire. Non provavo più gioia in campo, ma fuori non ero nessuno. Tutti volevano qualcosa da me e io mi chiedevo: è davvero così che devo passare ogni giorno della mia vita?».
Accanto al trionfo sportivo, Borg racconta anche il lato oscuro della sua vita. Negli anni Ottanta, tra notti allo Studio 54 e conoscenze celebri come Andy Warhol («mi ha regalato con dedica una sua Campbell’s Soup»), arrivarono droghe, alcol e depressione: «Lì è iniziata la mia caduta: mi trascinavo nei night, mi stordivo con feste e festini, perché tornare a casa? Ero depresso, avevo attacchi di panico».
Determinante fu l’incontro con Loredana Bertè, che lo salvò in un momento critico: «Sì, le devo la vita. Mi trovò a letto incosciente, chiamò l’autoambulanza, all’ospedale mi fecero una lavanda gastrica. Frequentavo persone sbagliate, accettavo passivamente tutto, ero in un groviglio». Il matrimonio con la cantante però si concluse in modo burrascoso: «Per salvarmi dovevo fuggire da lei e da quell’ambiente. Mi trasferii a Londra e ripresi ad allenarmi. Quando mi sono risposato lei mi ha denunciato per bigamia e la sua accusa mi ha impedito di tornare in Italia. E comunque a Milano non ci ho voluto più mettere piede».
Borg non nasconde nemmeno le sue superstizioni e i rapporti con guaritori e medium: «Per me il grigio non esiste, o bianco o nero. Sembrerà strano, ma per tre anni mi sono affidato a una medium. Lei mi disse che le stelle non erano a mio favore: per questo l’Us Open era maledetto».
Oggi, però, la sua vita è più serena. La moglie Patricia lo ha accompagnato nella stesura della sua autobiografia, Battiti: «È la mia migliore amica, sa tutto di me, non avevo imbarazzi. Per fare i conti con me stesso era quella giusta». Borg ricorda con affetto anche il rinnovo delle promesse a Las Vegas, nel 2016, con un sosia di Elvis: «Quello vero lo avevo visto in concerto nel ’73 alle Hawaii. Era stato la colonna sonora della mia gioventù».
Dal ragazzo prodigio che conquistava Parigi e Londra al campione segnato da cadute e risalite, Borg oggi affronta la malattia con lo stesso spirito che lo ha reso unico in campo: disciplina, coraggio e la capacità di guardare in faccia anche i momenti più duri.