Non entro quasi più su X, un tempo social noto come Twitter. Non ci entro non tanto per una qualche forma di boicottaggio nei confronti di Elon Musk, che lo ha rilevato, rinominato e ha poi deciso di trasformarlo ulteriormente in una fogna a cielo aperto, lasciando che chiunque ci riversasse dentro, o sopra, la propria merda, non vado neanche in giro con una Tesla, per dire, ma non sto poi qui a menarmela chissà quanto, piuttosto perché ho la percezione che ogni giorno di più X stia diventando un luogo/non-luogo dove a avere la meglio sia una visione del mondo probabilmente fedele a quel che accade fuori dai social, ma comunque capace di deprimermi fin quasi a privarmi della voglia di esistere, e già la vita è faticosa di suo, andarsele proprio a cercare mi sembra onestamente troppo.

Quindi, se fino a qualche settimana fa mi capitava di andarci quotidianamente per vedere i trend e magari anche per trovare conferma di una qualche notizia non ancora battuta dalle agenzie, è noto che da anni le notizie arrivano prima sui social che sui quotidiani online, e X è indubbiamente per sua natura il social più veloce, da qualche tempo ci entro davvero quando mi ricordo, e grazie a Dio mi ricordo assai di rado.
Del resto, forse proprio per questo mio aver centellinato le uscite, e aver praticamente azzerato gli interventi, leggi alla voce Tweet, non che ne abbia mai fatti chissà quanti, ogni volta che capita di entrarci quel che X mi segnala di mio è davvero poco o niente, quel che mi segnala ritenendo che sia di mio interesse è invece quantomeno imbarazzante, quasi solo gossip, qualcosa che abbia a che fare con la musica, gli interventi di persone che seguo, compreso il tizio che lavora per ATM e di cui ho spesso scritto, che oltre a essere un mio grande fan è anche un fan di certo porno amatoriale, ragion per cui quando apro X ci sono ottime possibilità che in home mi compaia qualche tardona sovrappeso che maneggia cazzi.
Oggi sono entrato in X. Ci sono entrato perché non ho preso parte a una manifestazione cui avrei voluto prendere parte, e se non vi ho preso parte è per questioni di gestione familiare che non me lo hanno consentito, e volevo comunque capire cosa stesse succedendo. È un po’ la vecchia storiella di chi pur sapendo che una determinata finirà male decide lo stesso di riprovarci, constatando poi che la storia finirà in effetti male. Perché entro in X, e pur non incrociando tardone che maneggiano cazzi mi ritrovo a vedere una lunga sequela di Tweet, chissà se anche ora che Twitter si chiama X i Tweet i chiamano ancora Tweet, e non magari Xs, vallo a sapere, che mostrano una vicenda capitata in uno stadio di baseball di Philadelphia. Il fatto che il tutto avvenga a Philadelphia mi è chiaro perché tutte le persone protagoniste del video, la scena si svolge negli spalti, indossano felpe e t-shirt che inneggiano ai Phillies, che è poi il nome della squadra di baseball di Philadelphia, appunto, Philadelphia Phillies che si sta scontrando, capisco dagli hashtag, contro i Miami Marlins. E fin qui tutto bene. La scena fa vedere una pallina che arriva sugli spalti, quindi un fuoricampo. Si vedono quattro adulti che la rincorrono, tra essi un tizio in t-shirt che arriva da un po’ distante, e poi si vede proprio il tizio prendere la pallina, ritornare al suo posto e darla, festante, al proprio figlioletto. Quel che però segue è una tizia, la felpa tipo College dei Phillies, un taglio di capelli corto, capelli bianchi, capelli tinti di bianco, giganteschi occhialoni con montatura nera, che lo raggiunge, lo tocca sulla spalla con veemenza, e gli fa un signor cazziatone, al punto che il tizio prende la pallina dal guantone dove il proprio figlioletto l’aveva posta e gliela consegna. La tizia, con aria incazzata, se ne torna a sua volta sul proprio posto. La smorfia intimorita del padre quando la furia coi capelli bianchi lo afferra per un braccio qualcosa di davvero comico, peccato giusto per il momentaneo epilogo. Momentaneo perché poco dopo, si vede in altri video, posti a commento dei tanti Tweet che mostrano questa prima scena, sugli spalti arriva una ragazza, rappresentante della squadra dei Phillies, che regala al ragazzino tutta una serie di gadget. Infine il ragazzino ha anche modo di incontrare un qualche idolo della squadra, tale Bader, negli spogliatoio, lui a firmargli una mazza da baseball, ennesimo gadget che gli regalano. Decisamente meglio di una pallina, seppur di una pallina che ha fatto un fuoricampo, credo. Ho giocato a baseball, quando facevo le medie, per tre anni. L’ho fatto, come tutti i miei compagni di squadra, controvoglia, i grandi dell’oratorio nel cui campetto ci trovavamo a giocare erano venuti e ci avevano praticamente obbligati a entrare nella squadra che stavano mettendo in piedi, senza che nessuno di noi sapesse nulla di questo strano sport, né le regole, né i nomi dei ruoli, niente. Così da niente di ci siamo trovati a giocare in un campionato dove buona parte degli avversari erano come noi, del tutto digiuni di uno sport che era da poco arrivato in Italia, e del tutto interessati a tornare il prima possibile a prendere a calci un pallone. Ho pochi ricordi di questa esperienza, noiosa e anche abbastanza frustrante, a parte che avevamo una divisa bianca a righe verticali neri, che ci faceva sembrare delle api albini cui la natura aveva regalato anche righe sbagliate, ma ricordo che i fuoricampo era roba tosta, importante. E so, per quel che ho visto negli anni dentro film e serie tv, tutte americani, che i fuoricampo sono così importanti che una pallina che arrivi sugli spalti acquista anche un suo valore economico, ma per un ragazzino conoscere un campione e ricevere addirittura la sua mazza autografata credo sia decisamente meglio.

Non è comunque importante, quel che è importante è che tutti questi Tweet, sia quelli che mostrano il primo video, sia quelli che mostrano i video successivi, hanno il medesimo scopo, come tanti altri che si sono presi briga di estrapolare l’immagine della tizia e farne un meme, tipo lei che somiglia a un qualche personaggio di finzione, lei che assomiglia a un qualche animale, la sua faccia dentro una locandina di quelle sulle quali al tempo del Far West di metteva la taglia di un bandito, tutti questi Tweet puntano a sapere chi diavolo fosse la tizia, spesso indicata come una tipica “liberal woman”,  per metterla non solo a una gogna social, cui è già stata messa dai tanti Tweet, ma che possa presumibilmente portare al suo licenziamento, come già avvenuto al tizio che

stava con l’amante al concerto dei Coldplay, tutti ricorderete la storia, il CEO di una azienda tecnologica che stava bellamente tradendo la moglie con una collega, o del tizio che ha strappato il cappellino di mano a un ragazzino che lo aveva ricevuto dalle mani del tennista  Kamil Majchrzak, tale Piotr Szczerek, a sua volta CEO di un’azienda polacca. In entrambi i casi la gogna ha colpito anche le aziende, attaccate a loro volta sui social e quindi in qualche modo penalizzate da questa improvvisa e infame fama.
Il fatto che i due fin qui sputtanati dai social siano due CEO di aziende, quindi presumibilmente due persone ricche e anche potenti, ulteriore benzina nel motore del linciaggio di gruppo.
Il fatto che già si sappia che si chiama Karen, non bastasse la sua faccia spiattellata ovunque, Philadelphia è grande ma non così grande, mette quasi i brividi.
Ora, dato per assodato che strappare un cappellino o la pallina di un fuoricampo dalle mani di un ragazzino, specie se si è adulti, sia qualcosa non solo agghiacciante, ma anche piuttosto imbarazzante, non sono sicurissimo che questa caccia al nome, e soprattutto questa voglia di vedere sangue che su X sembra sia diventata faccenda di routine sia cosa sanissima. Anzi, so per certo che non è affatto cosa sanissima, piuttosto una cosa aberrante. E sono anche convinto che, mentre sto scrivendo queste parole, il nome della tizia sarà saltato fuori, così come il suo ruolo nella società, Dio non voglia sia una CEO o roba del genere, con conseguente morte sociale, piume e pece. Sarei quasi tentato di andare a controllare, ma la paura di trovarmi una sessantenne sovrappeso con lingerie prese su Shein mentre copula con un coetaneo altrettanto poco in forma è un deterrente davvero efficace, fidatevi.
Ecco, Shein. Credo che il fatto che Shein abbia buttato lì un modello con la faccia di Luigi Mangione, vai a capire se opera della tanto vituperata AI, di un burlone o di un caso di somiglianza, e che quella immagine abbia ovviamente fatto il giro del mondo, ricevendo assai più like che dislike, ci dice qualcosa di ulteriore. Sarà la atavica stasi economica in cui viviamo, sarà anzi il peggioramento endemico nel quale siamo invischiati, sarà quel che sarà, di fatto a quasi tutti stanno sul cazzo i ricchi, e quando dico tutti intendo tutti quelli che ricchi non sono. Quindi bene vedere un ricco capitolare pubblicamente, e bene anche avere come testimonial uno che un ricco e potente lo ha ucciso, per quella che ai suoi occhi era proprio un’ingiustizia sociale (ricorderete tutti i tanti messaggi pubblici di stima ricevuti da Mangione, dopo l’omicidio del CEO di UnitedHealthcare, assicurazione sanitaria rea di non coprire praticamente nulla).

Se siete tra quanti sono usi leggere i miei pezzi vi sarà chiaro che mi piace spesso costruire una struttura letteraria che sia ondivaga, ma che tenda poi a una qualche compiutezza simmetrica, si parte da un punto, si va un po’ a zonzo, e si arriva poi dove si doveva arrivare, avendo anche chiari alcuni passaggi che in

un primo momento sarebbero potuti sembrare di difficile comprensione, a volte addirittura occulti.
Quando ho inizialmente detto, esemplifico, che sarei voluto andare a una manifestazione cui tenevo, non essendoci poi riuscito per ragioni familiari, e che per questo mi sono trovato a ritornare dopo lungo tempo su X, finendo per incappare nella storia di tale Karen, rea di aver strappato di mano, letteralmente e letterariamente, la pallina di un fuoricampo a un ragazzino durante un Philadelphia Phillies vs Miami Marlins, intendevo dire che sarei voluto andare alla manifestazione che oggi, 6 settembre, è il 6 settembre mentre sto scrivendo queste parole, anche se ci sono buone probabilità che le leggiate l’8 settembre, quando queste parole verranno pubblicate, o magari anche in seguito, il bello e brutto della rete è che magari uno capita su una pagina anche a distanza di anni, perdendo tutti i riferimenti e le circostanze giuste, intendevo quindi dire che sarei voluto andare alla manifestazione che oggi, 6 settembre, attraversa quella porzione di Milano che va da Piazza Oberdan, a Porta Venezia, e arriva nei pressi del Duomo, scoprirò poi se proprio in piazza Duomo, come vorrebbero gli organizzatori, o a Piazza Fontana, come vorrebbe la questura, per manifestare il proprio sdegno per lo sgombero del Leoncavallo, Centro Sociale Autogestito sgomberato improvvidamente durante l’estate dalla prefettura, privando Milano di uno dei suoi rari luoghi di controcultura. Ci sarei voluto andare con tutto me stesso, come da anni non mi capitava. Non perché io sia stato, nei ventotto anni che vivo qui a Milano, saranno ventotto proprio il prossimo 19 settembre, un grande frequentatore di quegli spazi, ma perché sapere che c’era un luogo del genere era comunque sapere che la città nella quale ho scelto di vivere era un po’ meno un posto votato solo agli affari e a una idea di mondo nel quale, sarò sbagliato io, non riesco proprio a riconoscermi. Certo, poi al Lenka ho firmato il contratto per la pubblicazione del mio primo romanzo, Questa volta il fuoco, e l’ho firmato con quel Sergio Bianchi di DeriveApprodi che era il protagonista del romanzo Gli invisibili di Nanni Balestrini, la storia degli anni passati in carcere per le vicende legate a Potere Operaio come sfondo, e al Leoka ho anche messo giù le prime mosse per quella collana che poi si sarebbe mossa tra le maglie della Piccola Biblioteca Oscar della Mondadori, collana che ha visto pubblicare libri di Manuel Agnelli, dei La Crus, di Cristina Donà o di Massimo Zamboni, e ci ho anche visto svariati concerti, quindi c’è anche dell’affetto. Ma affetto a parte, resta che il Leoncavallo era un luogo importante, a prescindere.

Quello che però mi permette di chiudere quelle linee curve cui facevo cenno prima, linee curve che altrimenti resterebbero inspiegabili, è come la storia di Karen è andata avanti, con il branco che identifica per Karen tale Cheryl Richardson-Wagner, dirigente scolastica del vicino New Jersey, vicino a Philadelphia, intendo. Scoperta dal branco dopo che per ore, mentre i manifestanti per il Leoncavallo occupavano simbolicamente il Pirellino e arrivavano fino a Piazza Duomo, va detto indisturbati, l’immagine di Karen

Phillies, così veniva chiamata, rimbalzava su X, sempre più un social di estrema destra. Cheryl Richardson-Wagner che si è dovuta a lungo prodigare in una forma incredibile di autodifesa, portando prove di non essere mai stata allo stadio quel giorno, prove e autodifesa ovviamente non creduta dal branco. Prove e autodifese che a loro volta sono rimbalzate su X, dove però ha sempre più preso campo una improbabile contrapposizione tra la vicenda kafkiana di Karen Phillies e quella dell’omicidio della ventitreenne ragazza ucraina, profuga a Charlotte, sempre negli Stati Uniti, Iryna Zarutska, da parte di Decarlos Brown Jr, trentaquattro anni, afroamericano, rea la prima di essere bionda, dicono il più dei Tweet che ripropongono la notizia, lui afroamericano con problemi mentali che salito sul bus ha sferrato un colpo di pugnale mortale sulla giovane, seduta nel sedile davanti a lui. Una scena agghiacciante, quella di questo omicidio, riproposta a più riprese, e che per ragioni forse ancora più incomprensibili della caccia alla strega partita contro Karen Phillies, ha provato a spostare l’attenzione da quella caccia alle streghe a questo omicidio, si suppone per far partire un’altra caccia alle stLS����