Suona il telefono. Sono le cinque e un quarto di mattina. Quando suona il telefono durante la notte, e le cinque e un quarto di mattina rientra decisamente negli orari notturni, almeno per le usanze mie e della mia famiglia, in genere sono brutte notizie, bruttissime notizie. Non sto dormendo, perché soffro d’insonnia e almeno non ho il soprassalto angosciato di quando la telefonata nel cuore della note ti strappa al sonno, ma sono comunque cosciente che è notte. Nella frazione di secondi che mi porta verso il comodino, siccome fa caldo dormo con la testa lì dove dovrebbero stare i piedi, così da usufruire di un po’ di fresco ulteriore dato dalla finestra e il ventilatore, in quella frazione infinitesimale di secondo realizzo che il mio nucleo familiare è tutto qui, sotto il medesimo tetto, e già è qualcosa. Non ho però qui i miei genitori anziani, che sono nella stessa città ma a casa loro, io sono momentaneamente in Ancona. Ho un ricordo preciso di una notte di marzo del 1994, parliamo di trentuno anni fa, io stavo facendo il servizio civile in un dormitorio per senza fissa dimora, che veniva chiamata con una certa generosità casa di accoglienza, ecco, ho un ricordo preciso di quella notte, una telefonata che arriva a casa, allora c’erano i telefoni fissi, i passi svelti di mia madre, un urlo lanciato contro il soffitto, dolente e disperato. Era la notizia della morte del figlio di quella che è da sempre la famiglia dei loro migliori amici, i figli ragazzi coi quali io ero cresciuto, morto in un incidente con la vespa, la mia Vespa 125 Primavera Rossa che gli avevo regalato quando ero passato alla macchina, investito da un tizio ubriaco che non aveva rispettato uno stop. Ecco, le telefonate di notte non sono mai portatrici di buone notizie, mai. Certo, possono esserci gli sbagli, e da che esistono i cellulari di sbagli ce ne sono pure stati, parecchi, anche se da che esistono solo i cellulari, praticamente, i numeri fissi lasciati ai call center e agli anzianissimi, tutti i numeri salvati in rubrica è difficile che qualcuno sbagli numeri. E escluderei un call center alle cinque di notte. In genere tolgo la suoneria del cellulare, anche durante il giorno. Ricevo centinaia di messaggi, e con la suoneria accesa sarebbe un continuo rumore di fondo, e ricevo anche un sacco di telefonate da numeri che spesso non ho registrato e a cui quindi non rispondo, riceverli di notte, figuriamoci, equivarrebbe a un delirio che minerebbe ulteriormente la mia insonnia, quindi via suoneria. Tanto se dovessero arrivare brutte notizie c’è il cellulare di mia moglie, qui al mio fianco. Stavolta però l’ho dimenticata attiva, quindi sento perfettamente lo squillo, mi alzo e rispondo. Vorrei dire che ho il cuore il gola, ma sono più veloce del mio cuore, quindi non faccio neanche in tempo a spaventarmi davvero. Anche perché dal display leggo che è un numero di Bari. So che è di Bari, lo 080 di prefisso, perché spesso è da lì che arrivano le telefonate dei call center. Non sto neanche a ipotizzare che sia un call center a quest’ora, perché altrimenti domattina mi troverei costretto a andare presso l’azienda per cui il call center mi dovesse mai aver chiamato alle cinque per giustiziare sommariamente qualcuno, colpirne a sangue uno per educarne a sangue cento, mille, quanti ne servono.

Rispondo, e dall’altro capo c’è una signora anziana, che parla con un accento stretto, quasi incomprensibile. Mi viene in mente, giuro, un meme che ho visto giorni fa su Instagram, un reel di un vecchio processo, di quelli che in tv trasmettevano e forse ancora trasmettono a Un giorno in pretura, dove c’è il giudice che fa una domanda precisa alla teste, una signora verso i settanta con una cofana di capelli gonfi di lacca in testa, roba che Amy Winehouse levati, la quale dice rivolta al suo fianco, immagino al suo avvocato o a qualcuno che conosce, in un dialetto chiaramente siciliano, “quando mi parla in italiano stretto io non lo capisco”. Ecco, qui non è l’italiano a essere stretto, ma il dialetto, immagino di Bari o comunque da quelle parti. La voce è roca, alla Tina Pica, e so che dicendo questo taglio fuori una bella fetta di lettori, troppo giovani per sapere chi fosse Tina Pica, ma fortunatamente c’è Google e Youtube, se uno è curioso sa cosa fare. La tipa chiedi di non riesco a capire bene chi. Sicuramente non di me, perché io non conosco signore che parlino in dialetto così stretto a Bari, con quella voce. Conosco un po’ di gente da quelle parti, parenti di mia moglie a Trani, Pinuccio a Bari, Caparezza a Molfetta, ma nessuna signora anziana con voce alla Tina Pica. E comunque non ho capito il nome, sono le cinque di notte, non ho voglia di star qui a parlare, quindi taglio corto dicendo “Ha sbagliato numero”. Sono gentile, non aggiungo un “cazzo”, che ci starebbe stato alla perfezione, né la mando a quel paese, non servirebbe comunque. Lei, però, mi spiazza, chiedendomi: “Sei sicuro?”. Una domanda quasi ascetica, non fosse che non mi ha chiesto roba tipo “conosci te stesso?”, “sei sicuro che nella vita hai fatto quel che volevi fare?”, “hai una idea vaga di quando andrai in pensione?”, ma voleva parlare alle cinque di notte non so bene con chi. Senza lasciarle modo di ripetermi il nome, e senza lasciare a me stesso il tempo di mandarla in effetti a quel paese riaggancio. Mia moglie non ha fatto un plissé, ha capito che non era niente di grave, e quindi ha optato per rimanere nel dormiveglia, pronta a scivolare di nuovo nel sonno. Lei non soffre di insonnia, assolutamente no. Anni fa, nel 2016, nel medesimo letto, in una notte di agosto, abbiamo sentito la devastante scossa di terremoto che aveva portato fin qui il sisma che per tutti sarebbe poi stato il terremoto di Amatrice. In realtà era un terremoto che ha devastato principalmente la mia regione, tutto l’arco dei Monti Sibillini, oltre che buona parte del corrispettivo arco nell’Umbria, Castelluccio praticamente rasa al suolo, colpendo poi anche Amatrice. Una scossa talmente forte che si sono aperte le ante dell’armadio in legno massiccio che sono in questa camera, e che ha fatto scivolare di quasi un metro un lettino in legno nel quale dormiva non ricordo chi dei nostri figli piccoli, un po’ in assetto da campeggio. Ci siamo ovviamente svegliati, da anconetani consapevoli che era un terremoto, sin da piccolissimi ne abbiamo sentiti parecchi. Proprio perché avvezzi abbiamo capito che non era una cosa di qui, o che comunque non era così grave, qui, quindi lei si è rimessa subito a dormire, io sono andato su Facebook per capire se qualcun altro la avesse sentita. A quel punto mi sono spaventato, perché leggevo di gente svegliatasi nelle medesime condizioni, però gente che stava in Emilia, nel Lazio, certo, in Campania, e anche in Veneto. Andare sui siti dei quotidiani e non trovare notizie era normale, era pur sempre notte, scoprire poco dopo quel che era successo è stato invece devastante. Mia moglie, però, nel mentre si era riaddormentata, e ha scoperto il tutto la mattina dopo.

Tornando a qualche ora fa, sono tornado a dormire, o meglio, a coricarmi, con questa domanda in testa “Sei sicuro?”.

Ricordo che anni fa, tra addetti ai lavori del settore musicale, è a lungo girato lo screenshot di una chat di Whatsapp, era credo il periodo del secondo Festival di Sanremo condotto da Claudio Baglioni. Era lo scambio di battute tra il direttore artistico e un noto cantautore, escluso all’ultimo dall’elenco dei cantanti in gara. Baglioni, in sostanza, gli diceva con un giro di parole educato ma fermo, comunque decisamente delicato, che quest’anno non sarebbe stato della partita, adducendo una serie di scuse abbastanza ridicole, certo, ma che in quanto addotte da lui, che era il direttore artistico, assumevano il peso definitivo di una lapide. Pinco Pallino, uso un nome di finzione, non avrebbe preso parte al successivo Festival di Sanremo, l’avviso arrivava appena qualche minuto prima del TG1 durante il quale sarebbe stato letto l’elenco dei partecipanti. Una delicatezza, potremmo dire, il cui scopo era tenere buoni rapporti, dal momento che Baglioni era a sua volta un artista. Mica per niente era stato lui a togliere quella tagliola delle eliminazioni. Il motivo però per cui lo screenshot ha cominciato a girare, immagino presto a beneficio di gente che non faceva parte di quello specifico settore, funziona così quasi sempre, su Whatsapp, e in fondo anche questo era una sorta di revenge porn ordito non so bene da chi, era la risposta che Pinco Pallino, Pinco Pallino che da quello screenshot appariva perfettamente col proprio nome e cognome, sia chiaro, una riposta che diceva a Baglioni lì a comunicargli che non sarebbe stato in gara nel suo secondo Festival di Sanremo: “Sei sicuro?”. Una grande risposta, dal momento che evidentemente Baglioni ne era sicuro, una grande risposta perché metteva in dubbio la scelta fatta, perché con la scusa di una certa svagatezza, sì, Pinco Pallino è noto per la sua svagatezza e stravaganza, metteva in campo una certa ironia, e perché soprattutto sembrava quasi mettere in allerta Baglioni rispetto al Festival in generale, considerando che proprio quell’anno io stesso, in buona compagnia di Dagospia e di Striscia La Notizia, nella persona di Pinuccio, gli avremmo spalato addosso di tutto, portandolo a rinunciare al suo terzo mandato, direi che Pinco Pallino avesse ragione da vendere. Per la cronaca, cinque Amadeus e un Carlo Conti dopo, Pinco Pallino non è più stato preso in gara al Festival, Festival che hanno accolto numeri sempre più alti di concorrenti, molto spesso catalogabili nel classico “cani e porci”, un passaggio e subito dopo il dimenticatoio, ma lui no, niente Festival, sia mai, quindi a volte il revenge porn funziona, temo praticamente sempre.

L’anno prossimo saranno trent’anni che è uscita quella che a oggi viene considerata una delle più belle canzoni in ambito rap italiano, quella Aspettando il sole di Neffa che proprio all’ultimo Festival, siamo sempre lì, lo stesso Neffa ha portato sul palco come ospite nella serata dei duetti di Shablo, in compagnia di Tormento, Guè e Joshua, il cappellino calato sugli occhi e il solito stile di sempre. In quel brano, malinconico e capace di rendere perfettamente l’idea di cosa voglia dire sapersi inventare una cifra, il nostro a un certo punto rappa una frase che riassume perfettamente “Sarà che non c’è il sole, sarà che tutto sembra resti uguale/ Sarà quel che sarà sono preso male/ Ma nessuno chiama e non so chi chiamare”. Si parlava d’altro, in quel brano, ma queste parole sembrano perfettamente applicabili a quel che succede a molti artisti, quando a un certo punto le cose cominciano a girare per il verso sbagliato e cala improvvisamente un sipario impensabile anche solo qualche settimana prima. Certo, sarebbe bene che le chiamate non arrivassero alle cinque e un quarto di mattina o notte che dir si voglia, e che a farle non sia una sorta di Tina Pica reincarnata che però parla uno slang incomprensibile fatto di fonemi con chiaro accento barese, altro che Chicopisco e Guaglione, perché è proprio vero, la verità, qualsiasi verità, assume forme diverse a seconda dal punto di vista di chi le guarda.