Manuale per giornalisti sulla gestione di fatwe e shitstorm

Dire che internet sia ingannevole è dire l’ovvio. Ci ha illuso, quando ha fatto irruzione nelle nostre vite, di essere un luogo da colonizzare, un far west lì a nostra disposizione, ma invece che di ampie e libere praterie, volendo anche fiumi da setacciare per cercare l’oro, si è dimostrato pieno zeppo solo di bande di briganti pronti a rapinare le diligenze, incidentalmente con noi a bordo. Che poi forse no, noi non siamo solo i viaggiatori a bordo di una diligenza troppo indifesa, noi siamo un po’ troppo spesso la cassa piena di pepite d’oro che quella diligenza trasporta, con buona pace per l’illusione di libertà che continuiamo a sentirci addosso come succede col sale d’estate, quando dopo aver fatto il bagno il sole del tramonto ce lo asciuga addosso alla pelle.

Figuriamoci quindi se non ci è capitato, uso la prima persona plurale per sentirmi meno solo e per giocare anche sfacciatamente la carta della complicità, pur senza il vostro consenso, figuriamoci se non ci è capitato, anzi, se non ci capita almeno ogni tot di minuti di fare qualche ricerca su Google che potrebbe diventare fonte di imbarazzo, se solo qualcuno si premurasse di controllare che ricerche andiamo facendo. Certo, siamo consapevoli che tutto è controllabile, anzi, che presumibilmente c’è una qualche forza superiore, e non parlo certo di Dio, parlo di internet, che controllare controlla, e si segna tutto, ma lo fa più per scopi commerciali, ci diciamo, che per esercitare una qualche morale, e soprattutto non potrà mai, anche volendo, controllare tutto. Un po’ lo stesso ragionamento, suppongo, che ha fatto chi è stato poi beccato all’uscita della Rinascente, quando è suonato il chip dell’antitaccheggio, ma poco conta. Qualcuno, un algoritmo, una intelligenza superiore, quella società israeliana che spiava non si sa per conto di chi i nostri giornalisti più attivi, Gladio, sa tutto quello che cerchiamo, i nostri gusti, i nostri spostamenti, cosa leggiamo, guardiamo, ascoltiamo. Lo sa meglio di noi, indubbiamente, vatti a ricordare dove eri due settimane fa con la stessa precisione di Google Maps. E comunque lo sa.

Potete ben capire, quindi, con quale imbarazzo ho realizzato, sapere di essere spiati dovrebbe indurci a comportamenti moralmente ineccepibili, o comunque a una certa cautela, ma essere spiati sempre ci fa indubbiamente abbassare la guardia, ci rende spavaldi e quindi vulnerabili, potete quindi ben capire con quale imbarazzo ho realizzato di aver passato almeno una ventina di minuti cercando su Amazon, prima, e su Google poi, ultima spiaggia di chi sa che in quell’ultima spiaggia troverà la morte come i protagonisti di Old di M. Night Shyamalan, un Funko Pop che avesse le sembianze di Salman Rushdie. Non il Salman Rushdie giovane, mi ero detto inizialmente, prima di scoprire che le mie ricerche sarebbero state vane, infruttuose, addirittura catastrofiche, ma quello di oggi, con il patch sull’occhio offeso e la cicatrice sulla guancia a causa dalla pugnalata del pazzo musulmano che ha dato seguito alla fatwa fattagli ormai una vita fa dall’Ayatollah Khomeini per il suo Versetti Satanici. Chiaramente la ricerca non ha portato a nulla di fatto. E quando mi sono ritrovato a digitare qualcosa che suonava come “pupazzo Salman Rushdie con patch”, sperando magari in un peluche, o in una di quelle statuette che si trovano in certe fumetterie, ho capito che forse non ero più così lucido. Forse non lo ero stato mai, nel caso di quella ricerca. Ho quasi rimpianto di non stare a fare ricerche su qualche cosa di sconcio, sempre che non sia sconcio cercare un Funko Pop di Salman Rushdie accecato e sfregiato da un terrorista islamico fondamentalista.

Considerando che le mie ricerche precedenti su Amazon riguardavano un peluche parlante di Topo Gigio alto sessanta centimetri, e prima ancora tutta una serie di t-shirt a tema, dove il tema era quasi sempre alieni, personaggi dei cartoon o roba del genere, direi che potrete ben capire come io finisca per passare il poco tempo libero che le settimane successive al Festival mi hanno concesso. Che poi, a dirla tutta, non sono neanche propriamente momenti ascrivibili nel novero del tempo libero, perché quelle t-shirt, come il pupazzo di Topo Gigio e anche un eventuale Funko Pop di Salman Rushdie, fanno a guardarla dalla giusta angolazione parte del tempo che dedico al mio lavoro, qualsiasi esso in effetti sia.

A questo punto uno dirà, ok, ma perché invece che cercare qualcosa di sconcio, sempre che quell’uno sia anch’esso figlio di una cultura vetero cattolica piuttosto moralista, al punto da impedirgli di dire parole quali “porno”, il termine “sconcio” è indubbiamente più ricevibile, quasi naif, a questo punto uno dirà, ok, ma perché invece che cercare qualcosa di sconcio questo se ne sta lì a cercare un Funko Pop, a cinquantacinque anni cerca un Funko Pop, Dio santo, e per di più un Funko Pop di Salman Rushdie col patch, come se Salman Rushdie fosse una popstar o comunque un personaggio tipo quelli che finiscono poi nei Funko Pop, sportivi, personaggi di fantasia o quel che è.

Questo, ovviamente, senza tenere conto che è possibile personalizzare i Funko Pop, e che quindi questo, che poi sarei io, avrebbe pure potuto farselo da solo un Funko Pop di Salman Rushdie col patch, se solo avesse saputo come fare (c’è stato un momento in cui ho tentato di capire se un personaggio di Harry Potter col patch, personaggio di cui non ricoro il nome perché non ho letto né visto Harry Potter, e comunque questo era biondo e con un occhio azzurro, e a questo punto pensare alla chiusura dell’intervista uscita su Venerdì di Repubblica di Paolo Sorrentino a Guè, col suo riferimento agli occhiali bellissimi sotto i quali si vedeva un solo occhio bellissimo, perché Guè sta per guercio è lì, a disposizione).

Il fatto è che io sono uno scrittore, è certificato lì dalla scarna biografia sul mio profilo, ma sono uno scrittore che ha dedicato la sua scrittura prevalentemente alla critica musicale, declinandola poi in un sacco di forme, dai libri agli articoli, che io per vezzo chiamo “pezzi”, passando per la radio, la tv, il teatro e il cinema, e in quanto scrittore e critico musicale nel corso di una carriera che ormai veleggia verso le trenta candeline, sono incappato nelle ire di tanti, tantissimi artisti, quelli che mi sono trovato a stroncare in maniera decisamente poco diplomatica, fatto che a volte ha portato a vere e proprie fatwe, né più né meno di quella che è a suo tempo piovuta addosso a Salman Rushdie. Fatwe che più spesso, praticamente sempre, sono arrivate non direttamente dagli artisti, spesso anime fragili, ma dai loro uffici stampa, dai loro management e, ovviamente, dai loro discografici, lì a stabilire nel boschetto della loro fantasia che io non avrei mai più dovuto lavorare, isolato e ignorato dal sistema nel quale mi ostinavo e ostino a muovermi pur dicendo che è un sistema fallato, se non addirittura marcio. In questi giorni si parla molto di taglie e di shitstorm, una fatwa è però una fatwa, tante fatwe sono tante fatwe.

Fatwe che, chissà se davvero il plurale di fatwa è fatwe, sono qui che scrivo, non sono evidentemente andate a buon fine, ma che a parte avermi creato non pochi problemi strada facendo, le pressioni continue logorano spesso i rapporti tra chi scrive e chi pubblica, leggi alla voce editore, a volte anche a chi media tra chi scrive e chi pubblica, leggi alla voce direttori, la credibilità conquista negli anni e anche un certo ascendente verso gli artisti scudo verso quelle frecce che non mi hanno certo ucciso, ma lasciato qualche cicatrice, certo sì.

Per cui, a dirla tutta, è un Funko Pop con la mia faccia che dovevo cercare, magari esiste quello di Stefano Bollani, con cui vengo spesso confuso e avrei potuto spacciarlo per mio. Questo in attesa della prossima fatwa, cui rispondere sempre col sorriso in bocca, sorriso che, come il fiore cantato da Battisti ne La canzone del sole, poi ripreso da Luca Carboni in Farfallina, può sempre servire, specie quando c’è qualcuno che pensa seriamente che minacciare o dichiarare guerre sante in un campo come il mondo dello spettacolo porti davvero al silenzio. Magari lo metto anche in commercio, per chi la voce del dissenso ama ancora sentirla, e per gli altri vorrà dire che penserò a un Fleshlight come quello di certe pornostar, non possono avere me, almeno si divertano con quello.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro, stand-up comedian da scrivania. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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