Il pop può cantare di tutto, dalla vita alla morte. Cosmo e Antonella Ruggiero ne sono la prova

La mia testa funziona come un algoritmo. Pensavo questo l’altro giorno, e forse non depone a mio vantaggio. Anzi. Perché è semmai l’algoritmo che simula i passaggi logici della mente umana, ma tant’è. Lo pensavo perché mi ritrovo spesso, spessissimo a saltare di palo in frasca, nei miei ragionamenti, molti dei quali poi finiscono nei miei scritti, che credo siano palesemente poco lineari, in effetti. Ci siamo abituati, parlo al plurale, comprendendo nel mio discorso anche voi, così, d’ufficio, a procedere di link in link, spesso abbandonando strada facendo l’oggetto iniziale della nostra ricerca, e questo con una velocità sempre più spasmodica, al punto che, qui invece passo alla prima persona singolare, e non voglio tirarvi dentro qualcosa che potrebbe non riguardarvi, la frammentarietà diventa quasi una matrice sopra la quale si svolge ogni scena, con continui scatti di lato che rendono il procedere sicuramente meno noioso, ma altrettanto sicuramente meno facile da seguire.

Mica è un caso che io scriva infarcendo il mio scrivere di relative, di parentesi, che a volte neanche chiudo, in una simulazione più o meno riuscita, fossi uno di quelli che si fingono modesti dovrei dire che lascio a voi il giudizio, di quel che gira intorno.

Tornando però a noi, a me, ecco che oggi voglio parlarvi di come funzionano gli algoritmi, e di come funzioni la mia logica, allestendo un parallelo piuttosto stringente. Qualcosa di molto simile all’errare degli psicogeografi, erranti nel senso di persone che vanno alla deriva, senza una meta precisa, ma anche che per andare da A a B sbagliano strada e passano per C come per Z, scoprendo paesaggi e storie che altrimenti sarebbero loro precluse, Guy Debord e i situazionisti parigini, in fondo, la sapevano davvero lunga.

Sono andato a passare un giorno sulla neve con parte della mia numerosa famiglia. Siamo andati a Cogne, paese che da una parte credo necessiti di una qualche riabilitazione, parlo d’immagine, ma che al tempo stesso ha indubbiamente usufruito di un trattamento di favore rispetto a luoghi divenuti altrettanto noti per eventi neri e tragici, potere della famiglia, appunto.

Passare un giorno sulla neve con parte della propria famiglia, un gesto intimo, la famiglia, e al tempo stesso nel contesto della vita di famiglia eccezionale, non viviamo in un luogo dove la neve è di casa, non sarebbe di suo un argomento degno di finire dentro un testo scritto e pubblicato, non fosse che ho da tempo deciso di usare l’autofiction come terreno di gioco, autofiction che, esattamente come la psicogeografia, ho scoperto di star usando assai dopo che avevo cominciato a usarle, entrambi discipline codificate e canonizzate alle quali sono arrivato in maniera piuttosto naturale.

Breve recup, ho parlato fin qui di algoritmi, di psicogeografia, indicando i situazionisti parigini e Guy Debord come genitore, l’autofiction, Cogne e la sua tragedia.

Non è ovviamente di nessuno di questi argomenti che voglio parlare, anche se per parlare di ciò di cui voglio parlare era esattamente da qui che dovevo partire.

All’andata, con la mia numerosa famiglia abito a Milano, e Cogne è in Val d’Aosta, a una mezz’ora circa di strada dopo il capoluogo, abbiamo scollinato il Piemonte, per entrare nella sola regione con una provincia. Passando per il Piemonte abbiamo superato Ivrea, città che chiunque, credo, assocerebbe in automatico a Adriano Olivetti, industriale visionario e futuristico, o al più a quella strana usanza carnevalizia che vuole la gente lì a tirarsi addosso con violenza arance, mentre a me viene in mente in automatico Cosmo, cantautore, producer e DJ che ho visto meno di un anno fa in concerto con mio figlio Tommaso, da poche ore compiuti i suoi diciott’anni, a Legnano, in apertura del concerto epico dei Die Antwoord, nel mezzo di una tre giorni padre/figlio, io che professionalmente mi sono da tempo caratterizzato come uno che lavora con la figlia, Lucia nello specifico, che ci ha visto andare nelle Marche perché dovevo presentare il Domina Festival, evento dedicato alle cantautrici della mia regione, a Ortezzano, ai piedi dei Monti Sibillini, per poi tornare su e andare a Legnano a seguire appunto Cosmo, prima, i Die Antwoord, poi, e finire il giorno dopo a San Siro per la terza data di tre allo stadio di Max Pezzali, della serie che ci piace variegare. Cosmo che a Legnano ha fatto un gran concerto, va detto, come grande e importante è stato il suo ultimo album, Sulle ali del cavallo bianco, attenzione che siamo entrati nel cuore del discorso. In quel disco, Sulle ali del cavallo bianco, prodotto da quel mezzo genio di Alessio Natalizia, in arte Not Waving, dietro anche il successo di Alaska Baby di Cesare Cremonini, collaborazione quella nata proprio dopo che il cantautore bolognese ha visto Cosmo dal vivo e si è innamorato del suo suono, c’è una canzone di cui voglio arrivare a parlarvi, ma ho già tirato in ballo altri argomenti, che si sommano ai precedenti, e non so se seguire quel flusso, divagando ulteriormente, e tenere il filo del discorso. Facile scegliere, divago.

Dalle parti di Ivrea, oltre che Olivetti e il carnevale lì a tirarsi addosso arance, e oltre che Cosmo, c’è un posto molto legato all’esoterismo, per una qualche ragione che mi sfugge scrivendo avevo erroneamente digitato prima esotismo, poi erotismo, vedi tu a volte scrivere senza guardare la tastiera e digitando velocemente, inseguendo appunto il flusso, dove può portarti. Non so esattamente chi per primo mi ha detto di questo luogo legato all’esoterismo, quindi a riti di streghe e messe nere, credo di averne letto in qualche articolo o libro trovato ai tempi alla Libreria Esoterica di Missori, a Milano, articoli e libri firmati da un autore di cui ho molto letto, parlo di oltre venti anni fa, ma di cui al momento non ricordo il nome, vedi tu che tiri mancini che offre il destino. Ricordo poi che mi aveva confermato la cosa il fidanzato, oggi marito, di una collega di mia moglie, oggi ex collega di mia moglie, entrambi di Ivrea. Il monte in questione, attenzione attenzione, si chiama il Monte Calvo. Ora, chiunque abbia dimestichezza non tanto col mondo dell’esoterismo o delle streghe, è noto che il Piemonte è un posto particolarmente attivo in fatto di esoterismo, Torino una delle tre capitali occulte d’Europa, anzi, al centro di due triangoli legati all’occulto, per essere più precisi, quello legato alla magia bianca, tutto europeo, appunto con Lione e Praga, e quello legato alla magia nera con Londra e San Francisco, avendo io parlato già di psicogeografia mi urge ora indurvi a leggere i libri di colui che indubbiamente ha preso l’eredità di Guy Debord a riguardo, Iain Sinclair, libri e libri dedicati a Londra e con particolare attenzione ai luoghi occulti della capitale britannica, metteteci anche Alan Moore e la sua opera dedicata a Jack lo Squartatore, che storia assolutamente legata all’occulto è, poi finita al cinema con la faccia di Johnny Depp, e avete un minimo quadro della situazione, per altro la mia città natale, Ancona, a sua volta è considerata una piccola capitale dell’occulto, ma non è neanche di occulto che voglio parlarvi, anche se, torno a lì dove avevo deviato nel discorso, chiunque abbia dimestichezza non tanto col mondo dell’esoterismo o delle streghe quanto piuttosto col mondo dei cartoni animati, e della Disney in particolare, non potrà non sapere a memoria la scena del film culto Fantasia, che all’esoterismo è legato, nel quale a fare da colonna sonora è il poema sinfonico di Modest Petrovič Musorgskij, Una notte sul Monte Calvo. Una scena particolarmente inquietante, diabolica, cupa, quella di Fantasia che vede come sottofondo la musica di Musorgskij. Ovviamente il Monte Calvo di cui parla Musorgskij, o meglio, a cui Musorgskij ha dedicato il suo poema sinfonico, non è quello nel canavase, vicino a Ivrea, ma quello omonimo che si trova vicino a Kiev, in Ucraina, un tempo Russia. Un monte, provate a fare una semplice ricerca su Google per credere, che proprio recentemente, durante la guerra che vede l’Ucraina di Zelensky attaccata dalla Russia di Putin, è divenuto piuttosto popolare perché, così dicono, al centro di messe nere e riti occulti, vedi tu a volte come funziona l’onomastica.

Ma non è neanche della guerra tra Ucraina e Russia che voglio parlarvi, men che meno di riti occulti, pur non potendo notare che anche i Monti Sibillini, quelli che ho su citato per esserci andato a condurre il Domina Festival, sono associati a una strega, la Sibilla, la psicogeografia è davvero una fonte illimitata di spunti.

Torno a Cosmo, e alla canzone che ha in qualche modo deciso le sorti di una parte della nostra giornata sulla neve, ma non prima di aver fatto un’altra deviazione, anche piuttosto corposa e importante. Sulle ali del cavallo bianco è il titolo dell’ultimo album di Cosmo, dicevo. Cavallo bianco, invece, è il titolo del secondo singolo dei Matia Bazar, parliamo del novembre 1975. Primo che vede la presenza in line-up di Giancarlo Golzi, alla batteria, lì a affiancare Carlo Marrale, Piero Cassano, Aldo Stellitta, rispettivamente voce e chitarra, voce e tastiera, basso, e ovviamente Antonella Ruggiero, voce così importante da non necessitare neanche di una didascalia. La band, nata dall’incontro appunto di Antonella Ruggiero, in arte Matia, con i tre ex componenti dei J.E.T., aveva esordito l’anno precedente col singolo Stasera che sera/ Io, Matia, per poi replicare l’anno seguente con Per un’ora d’amore/Cavallo bianco, e di lì a poco con l’album d’esordio Matia Bazar 1, uscito nel marzo del 1976. La canzone è una ballatona prog, dove le tre voci si intrecciano in una maniera che oggi quasi lascia spiazzati, come Stendhal di fronte alla Basilica di Santa Croce a Firenze. Ne seguiranno altre, di canzoni così, e la mia preferita con queste tre voci è indubbiamente C’è tutto un mondo intorno, brano che ha dato anche il titolo a un mio vecchio libro, così come del periodo senza Piero Cassano il mio brano preferito è Fantasia oltre alla classica Ti sento, e in quel post-Antonella Ruggiero Volo anch’io, con Laura Valente, moglie di Mango e mamma di Angelina, ma qui stiamo parlando di Cavallo bianco. Una ballata incredibile, dove oltre le voci che armonizzano come fossimo sull’Olimpo al cospetto di tre divinità, non si può non menzionare il riff fatto da Cassano alla tastiera. Una ballata che ai miei occhi, forse dovrei dire orecchi, sta lì in un trittico di eccellenze che vede anche Impressioni di settembre della PFM, dove il riff alla tastiera è di Flavio Premoli, a prendere il posto della voce di Franco Mussida senza più lasciare spazio per un ritorno, e Amico di ieri de Le Orme, da quel capolavoro di Smogmagica, sempre del 1975, il pezzo della PFM è invece del 1972, la voce di Aldo Tagliapietra, autore insieme a Tony Pagliuca, a librarsi sulla sua chitarra acustica, le tastiere a fare da tappeto, la chitarra di Tolo Marlon a duellare col basso dello stesso Tagliapietra, Michi Dei Rossi dietro i tamburi. Tre capolavori che tutti dovremmo avere in una ipotetica playlist, anche chi nulla sa di quell’epoca fatata. Il fatto che io sia amico di Piero Cassano e Carlo Marrale, oggi in dissidio per faccende legate all’utilizzo del nome Matia Bazar, che conosca bene anche Franz Di Ciccio e Patrick Djvas, recentemente miei ospiti a Musicleaks, su 361Tv, e che abbia intrattenuto un epistolario con Aldo Tagliapietra, oltre che aver portato fisicamente alla collaborazione tra Tony Pagliuca e i Camillas, prima che il Covid ci portasse tragicamente via Zagor Camillas, è cosa che tuttora mi sorprende sempre, come chi prova a fare un tiro alla Roberto Carlos, sapendo che mai gli potrà riuscire, e invece, toh, ecco il pallone che corre verso il fondo salvo poi rientrare all’ultimo e infilarsi a fil di palo.

Caspita, di carne al fuoco ne ho davvero messa un sacco. Dovessi star qui a dire che tipo di carne, operazione tanto complicata quanto forse inutile, direi gli algoritmi, la psicogeografia di Guy Debord e i situazionisti parigini, ma anche quella di Iain Sinclair e la Londra di Jack lo Squartatore, Alan Moore e Johnny Depp nel ruolo di comparse, l’autofiction, Cogne e la sua tragedia, Ivrea, quindi Olivetti, il carnevale e il lancio delle arance, Cosmo, l’esoterismo, Torino, Praga, Lione, Londra, San Francisco, certo, ma anche il Monte Calvo nel canavese, Musorgskij e la sua Una notte sul Monte Calvo, quindi Fantasia, quindi anche un cenno alla guerra tra Ucraina e Russia, i Matia Bazar, con tanto di lite tra i miei due amici Piero Cassano e Carlo Marrale, la PFM, Le Orme, i Camillas, e toh, pure il Covid, e buttati un po’ lì i Die Antwoord e Max Pezzali, tanto per fare numero. Un bel papocchio, come a suo tempo era intitolato un film di Renzo Arbore, anche se il titolo giusto era Pap’occhio, e oltre a Renzo Arbore c’era Isabella Rossellini, Roberto Benigni quando ancora Roberto Benigni era Roberto Benigni, Luciano De Crescenzo, Andy Luotto, Mario Marenco e tutta la combriccola che girava intorno a Renzo Arbore ai tempi. Oggi mi capita quotidianamente di leggere ricette o vedere video sempre inerenti a ricette di Andy Luotto in una chat nella quale mi trovo senza ancora avere capito bene perché, nome della chat I Topi, nati a suo tempo per volontà di Vittorio Sgarbi e Morgan, entrambi poi usciti di scena da quelle parti.

Lo so, se mia intenzione era quella di farvi vedere come funzionava la mia mente, lì a simulare un passaggio di link in link degno di un algoritmo, magari arrivando a dire che l’algoritmo a simulare il passaggio della mente umana, credo di aver detto comunque troppo, ma ormai siamo in ballo e balliamo.

Perché ancora non vi ho detto un paio di cose che ritengo fondamentali, una delle quali ho lasciato giusto intuire ormai un numero spropositato di parole fa, quando ho detto che ero di fronte a un bivio, da una parte il seguire il filo del discorso, dall’altra divagare, scegliendo io di divagare, sempre e comunque. Quello sarà il finale, e torneremo a Ivrea, anzi ci andremo proprio per la prima volta, parlo per me usando ancora una volta un noi generico che comprende anche voi che leggete.

Prima, però, voglio parlarvi, ma forse più che parlarvi dovrei dire “buttare lì”, perché questo è un testo che potrei paragonare a un giro in auto portato avanti a velocità abbastanza sostenuta, si vede il panorama, che credo sia comunque un panorama piuttosto originale, inedito, prima quindi voglio buttarvi lì di un progetto che in qualche modo a Cavallo bianco è legato, e che si chiama Requiem Elettronico. Un progetto di un duo di artisti che risponde al nome di ConiglioViola e che vede il duo in questione collaborare con Antonella Ruggiero, la voce dei Matia Bazar di quei tempi. Un progetto, toh, nato a Torino, al Teatro Stabile di Torino, all’interno del Festival delle Avanguardie Prospettiva 09, progetto dal titolo Concerto senza titolo. Uno spettacolo teatrale del 2009 che nel 2015 è diventato l’album Requiem Elettronico e un progetto di videoart, il tema affrontato quello di collisione tra il mondo del pop e la morte, un tema mica da prendere troppo alla leggera. A curare la regia video i due ConiglioViola, mentre a occuparsi della rielaborazione musicale, tutta giocata sull’elettronica, di dieci perle del nostro pop nazionale, sei artisti,  Matteo Curallo, Fulvio Renzi, Alessandro Siani, Luca Vicini dei Subsonica, Ivan Ciccarelli e Roberto Colombo, il quale ha curato anche la rielaborazione generale del tutto. Un’opera importante, che attraverso atmosfere rarefatte e eleganti sembra volerci dire che è possibile anche col pop parlare di morte, almeno se si ha a disposizione una voce come quella di Antonella Ruggiero, dieci autori potenti come Domenico Modugno, Sergio Endrigo, Roberto Vecchioni, Fabrizio De Andrè, Herbert Pagani, Alberto Fortis, Renato Zero, Angelo Branduardi, Pier Paolo Pasolini e i New Trolls, sei musicisti in grado di rielaborare il tutto, per la precisione Matteo Curallo su Vecchio frac e L’arca di Noé, Fulvio Renzi su Samarcanda, Alessandro Siani su La canzone di Marinella e Albergo a ore, Luca Vicini su La sedia di lillà, Ivan Ciccarelli su Il Carrozzone e Il dono del cervo e Roberto Colombo su Cosa sono le nuvole e Una miniera. Pop e morte, caspita, ne parlavo giusto qualche giorno fa riguardo I miei uomini di Agnese Valle e il sentimento cupo e ferito col quale mi sono recato a teatro, la musica può davvero a volte prendersi cura di noi.

Sapeste voi come sono arrivato a mettere gli occhi su Requiem Elettronico, però, forse il mio discorso vi sembrerebbe meno poetico, o quantomeno un filo più corporeo. Perché dovendo iniziare a capire con quale foto accompagnare questo mio scritto, ogni articolo, io fatico a chiamare così questi miei testi, e così immagino chiunque sia iscritto all’albo dei giornalisti, con una foto di copertina, ho digitato su Google Immagini il nome Antonella Ruggiero, e mi è apparsa una foto in bianco e nero, più nero che bianco, di una coppia completamente nudo, lui a sinistra, lei a destra, nudi madre, lei con questi capelli ricci. Sono rimasto spiazzato, perché non stavo certo cercando foto di Antonella Ruggiero come mamma l’ha fatta, né pensavo onestamente ce ne fossero, benché sia parte di quella generazione di artiste che amava giocare col proprio corpo, penso a Loredana Bertè, per dire, che a proposito ultimamente ha collaborato con i ConiglioViola per dei suoi videoclip animati, non mi ricordavo fosse a sua volta parte di quel discorso. Infatti, allargando la foto, ma confesso che ci ho messo un po’ a capirlo, ho scoperto che la ragazza in questione, la donna in questione, pur somigliandole, non era lei. E sarebbe comunque stata una lei del passato, perché le immagini erano appunto del progetto Concerto senza titolo, padre putativo di Requiem Elettronico, spettacolo teatrale nel quale la nostra, ultracinquantenne, appariva vestita più simile alla Regina di Cuori di Alice nel paese delle meraviglie che a Eva nel Paradiso Terrestre. Uno shock dal quale mi sono comunque ripreso a stento, pur grato per avermi fatto scoprire un progetto collaterale alla sua carriera che, ai tempi, mi ero perso.

Non mi sono invece perso Talponia, arriviamo verso la fine di queste tante digressioni, tornando fisicamente a Ivrea. Anzi, arrivandoci per la prima volta, di ritorno da Cogne, diretti a Milano. Dopo aver fatto una doverosa sosta al Castello di Aymavilles, bello e apparentemente fuori contesto, appoggiato lì senza un preciso motivo, dopo esserci anche lasciati alle spalle la fortezza di Bard, lungo l’autostrada, leggendo il nome Ivrea tra quelli delle prossime uscite mi è venuta l’idea di andare a vedere, in compagnia di buona parte della mia famiglia, Talponia. Ne ho sentito parlare per la prima volta per l’omonima canzone, contenuta in Sulle ali del cavallo bianco di Cosmo, e ho scoperto che è così che chiamano gli abitanti di Ivrea, che poi sarebbero gli eporediesi, sono ben strani questi che vivono qui, il Unità Residenziale Ovest, per gli eporediesi Talponia, appunto. Un luogo assai strano, anomalo, a suo modo dotato di un fascino tutto suo. Parte del complesso abitativo Olivetti, voluto da Adriano dopo essere succeduto alla guida dell’azienda di famiglia a suo padre Camillo, patrimonio dell’umanità per l’Unesco con la dicitura Ivrea Città Industriale del XX Secolo, Talponia è stata ideata dai due architetti Roberto Gabetti e Aimaro Oreglia D’Isola nel 1968, con lo scopo di accogliere in città dirigenti, impiegati e ricercatori di passaggio da Ivrea non per lunghi periodi. I due svilupparono quindi un complesso che in qualche modo assecondasse una loro idea di città in simbiosi con la natura, qui la realtà più prossima è l’adiacente bosco di Villa Casana, dando vita a una sorta di palazzo sviluppato in orizzontale, lungo una curva semicircolare per un diametro di settanta metri, completamente interrato. Abitazioni tutte uguali, settantadue singole e tredici duplex, le prime di ottanta metri quadri, su un unico piano, le seconde su due piani, di centoventi metri quadri, tutte affacciate su un anfiteatro invisibile all’esterno, e con unica concessione a chi passasse in zona degli oblò posti sul prato che funge da tetto. Tutti gli appartamenti raggiungibili da una strada interna, al coperto, con un garage posto sul lato opposto all’anfiteatro, anch’esso invisibile. Un complesso decisamente futuristico, arricchito da dettagli di design come come una linea di mobili modulari adattabili a ogni singola esigenza. Talponia oggi, ovviamente, non è più legata alla Olivetti, e continua a ospitare abitazioni private, oltre che un asilo nido. Asilo frequentato dalla figlia di Cosmo, a lei è dedicata Talponia appunto. Nella canzone Cosmo parla delle prostitute che li abitano e operano, ai tempi della candidatura di Ivrea a Patrimonio umanitario dell’Unesco la faccenda delle sex worker che lavoravano lì era finito sia in tv che al Parlamento, e c’era chi aveva giocato sul passaggio da Unesco a Unescort, Google anche in questo aiuta. Dedicare una canzone a propria figlia raccontando di prostitute e trans che si trovano lì dove la piccola passa le giornate è qualcosa di difficilmente comprensibile a orecchi poco abituati a confrontarsi col mondo di Cosmo, “vedrai, il corpo è un parco giochi” la frase clou del pezzo, seguita poi da “vedrai, puoi perdere il controllo” e anche “sei tu che deciderai chi sei tu”, tanto per non lasciare dubbi riguardo come il nostro la pensi a riguardo, ma è solo grazie a lui che la nostra gita a Cogne, città di montagna legata comunque a doppio filo a un immaginario fanciullesco non convenzionale, viva Dio, è passata di lì. Un posto decisamente da vedere, anche se il solo modo per farlo e salire attraverso una scalinata che porta sul tetto del complesso e guardare il tutto dall’alto in basso, senza per questo emettere giudizi non richiesti. Antonella Ruggiero, da anni, vive a Berlino, dove all’edilizia residenziale sociale è stata dedicata una grande attenzione. A questo punto, lei che in tempi non sospetti è andata a pescare nella musica alternativa dell’epoca per ridar lustro proprio ai brani dei Matia Bazar, Registrazioni moderne, uscito nel 1997, che la vedeva duettare tra gli altri con Ritmo Tribale, Scisma, Subsonica, Bluvertigo e Timoria, il titolo, dovrebbe proprio pensare a fare una cover di Talponia, in feat con Cosmo, così tutto questo mio divagare troverebbe una quadra, sempre che una quadra non ce l’abbia già. Eros e Thanatos, del resto, non se lo sono mica inventati a Ivrea, almeno credo, e immagino neanche gli asili nido, tutto il resto sembra proprio di sì.

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Michele Monina, nato in Ancona nel 1969 è scrittore, critico musicale, autore per radio, tv, cinema e teatro. Ha pubblicato 97 libri, alcuni scritti con artisti quali Vasco Rossi, Caparezza e Cesare Cremonini. Conduce il videocast Musicleaks per 361Tv e insieme a sua figlia Lucia il videocast Bestiario Pop. Nel 2022 ha portato a teatro il reading monstre "Rock Down- Altri cento di questi giorni" che è durato 72 ore e 15 minuti ininterroti e ha visto il contributo di 307 lettori.

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