Era latitante dall’estate del 1993
Un giorno storico per la giustizia italiana grazie all’arresto di Matteo Messina Denaro, avvenuto oggi, 16 gennaio 2023.
Il boss, uno degli esponenti più pericolosi di Cosa Nostra, è stato fermato dai Ros di Palermo.
Chi è Matteo Messina Denaro
Non un criminale qualsiasi, uno degli ultimi boss di Cosa Nostra, latitante da oltre 30 anni. Nato a Castelvetrano (Trapani) nel 1962 aveva iniziato a lavorare come fattore insieme al padre.
La scalata di Matteo Messina Denaro, noto anche con i soprannomi di “U siccu”, il magro, o anche “Diabolik”, avviene nel giro di pochi anni in cui diventa braccio destro di Totò Riina.
Dopo 30 anni di latitanza, catturato dai #Carabinieri il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Si trovava all’interno di una struttura sanitaria dove si era recato per sottoporsi a terapie cliniche pic.twitter.com/4oO4xNCIjf
— Arma dei Carabinieri (@_Carabinieri_) January 16, 2023
Già nel 1989 viene denunciato per associazione mafiosa per la partecipazione alla faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna.
Nemmeno due anni più tardi uccide un proprietario di un hotel di Triscina, Nicola Consales, reo essersi lamentato della presenza di «quei mafiosetti sempre tra i piedi».
Matteo Messina Denaro viene però ricordato soprattutto per il suo coinvolgimento nelle stragi del 1992 in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Per i due attentati è stato condannato ad ergastolo nel 2020, quando la Procura di Caltanissetta ha riaperto le indagini.
Secondo quanto emerso negli anni, Denaro avrebbe preso parte alla pianificazione, con Riina, del piano per fare fuori Falcone e Borsellino.
A suo carico anche il peso delle stragi del 1993 (anno in cui inizia la latitanza) a Roma, Firenze e Milano. Imputato e processato è stato condannato all’ergastolo per le bombe nel Continente.
Di ergastoli ne raccoglie tantissimi negli anni. Viene infatti condannato al carcere a vita per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Ovvero il figlio del pentito rapito da un commando di Cosa nostra, strangolato e sciolto nell’acido nel 1996 dopo quasi due anni di prigionia.
È stato anche ritenuto colpevole di associazione mafiosa a partire dal 1989. Altri ergastoli li ha ricevuti anche nei processi Omega e Arca che hanno fatto luce su una serie di omicidi di mafia commessi tra Alcamo, Marsala e Castellammare tra il 1989 e il 1992.
Termina così una latitanza da record al pari di quella di Totò Riina, sfuggito alle forze dell’ordine per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.
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