
Oggi parlerò di aspirapolvere. No, attenzione, non fraintendetemi. So che c’è un sedicente collega, recentemente preso di mira da Selvaggia Lucarelli, che è diventato giustamente oggetto di meme per il suo raccontarci le caratteristiche, fin nei minimi dettagli, di robot come Roomba e aspirapolveri capaci di aspirare l’impossibile, anche se recentemente sembra aver spostato il focus di quelle che credo tecnicamente si chiamino marchette sugli smartphone, per altro in palese violazione del codice deontologico dei giornalisti, ma io, pur non essendo giornalista, non intendo certo fare una marchetta. Né una recensione di una aspirapolvere. Voglio proprio parlare di una aspirapolvere, una per altro delle più note, che quindi poco troverebbe vantaggio da questo mio parlare. E parlerò di aspirapolvere perché l’altra sera, mentre la passavo in cucina, ho visto la luce. Esatto, come John Belushi e Dan Ackoyd, aka Jake e Elwood Blues, quando entrano nella chiesa presieduta dal reverendo James Brown. La luce. Solo che la luce che ho visto io era verde, come il raggio verde, che invece era un vecchio film d’essai, molto amato da mia moglie, ai tempi della sua uscita ancora neanche mia fidanzata, parliamo del 1986, la regia di Eric Rohmer. Un fenomeno raro, vedere il raggio verde in certi luoghi esotici, più ancora dell’aurora boreale, io ho avuto la fortuna di assistere a entrambi questi fenomeni spettacolari, il primo nel mar di Cina, mentre ero in un’isoletta sperduta della Malesia, il secondo al circolo polare artico, in Norvegia.
Ma non è dei miei viaggi o del mondo che voglio parlare, ma di aspirapolvere e di come nello specifico l’aspirapolvere della Dayson, fossi uno che fa marchette o si intende di aspirapolveri vi direi anche il modello, che ho, lì in cucina appeso nell’apposito aggeggio atto a farlo stare appeso mentre si ricarica, ma non conosco per nome, invece parlerò genericamente di aspirapolvere Dayson, e di come sia impietosa non tanto nei confronti della polvere, quanto piuttosto di chi la passa. Impietosa in maniera violenta, perché è un non essere pietosi spacciato per pietà, o meglio, per accondiscendenza, e non c’è niente di peggio di un cattivo che spaccia per un buono.
Ero lì, quindi, che passavo il Dayson sotto il tavolo della cucina, aggirando le sedie, in casa siamo in sei, sette quando come in questi giorni è a Milano mia suocera, sono tante le gambe da aggirare, passandolo costeggiando i mobili, sopra il tappeto che trova spazio a ridosso del lavandino e di tutto il piano cottura, notando come di polvere, a ogni passaggio, ce ne rimanesse sempre un po’. Peggio, di come la polvere fosse assai più presente di quanto non sembrasse, anche se più che di polvere dovrei parlare di molliche, di briciole, e di tutte quelle piccolezze invisibile a occhio nudo, le luci delle cucine sono sempre fioche, lo cantava già quasi quarant’anni fa Luca Carboni.
La luce verde posta nella spazzola, che si trova ovviamente al termine del tubo, all’altro capo si trova il motore con il deposito, cinicamente trasparente, così che si possa continuare a vedere quanta sporcizia c’era in giro. Tu passi semplicemente l’aspirapolvere, e fin qui niente di particolarmente strano, ma di colpo ti sembra di essere in uno di quei documentari che ci mostrano quanto tutta la nostra vita sia “abitata” da microorganismi incredibilmente orripilanti, gli acari o chi per loro. Roba da Piero Angela, forse più da Wes Craven o da pubblicità di un particolare spray contro le tarme o le cimici. Solo che è la tua cucina, e tu passi l’aspirapolvere, e lo ripassi, e niente, è sempre pieno di briciole, certo più piccole a ogni passaggio, ma in quanto più piccole anche più insidiose, più difficili da raccogliere, questo non perché la Dayson, non è una marchetta ma non vorrei neanche passasse per qualcosa contro, ce l’ho, la uso e mi trovo bene, a parte questo dettaglio sul cinismo e l’impietosità, sempre che si dica così, ma perché siamo pur sempre esseri imprecisi, incapaci di mangiare senza far cadere a terra briciole o altro, puliti solo in apparenza.
Il fatto che chi dovrebbe star lì a garantirci pulizia, finisca per farci sentire in colpa, forse metafora di qualcosa che al momento potrebbe anche sfuggirmi, non fa che rendere il tutto peggio di come sembra, e i sensi di colpa, ca va sans dire, sono lì pronti a prendere il sopravvento, parlo del me stesso che passa l’aspirapolvere dopo cena, per il resto ho cinquantacinque primavere alle spalle, so bene come gestirli i sensi di colpa.
Il fatto che la descrizione che si trova online di quella luce impietosa sia “in una delle spazzole è presente un diodo laser che emette una sciabolata di luce verde, proprio come quelle delle discoteche” non fa che rendere il tutto ulteriormente surreale. Sciabolate di luce verde, diodo laser, discoteche, non credo serva dire molto altro a riguardo.
Ecco, diciamo che mentre passo il Dayson in cucina, tra una sciabolata di luce verde e l’altra, mi sento vagamente come Obi Wan Kenobi che fronteggia Darth Vader in Star Wars, il Lato Oscuro della Forza contro il Lato Chiaro, anche se confesso che non sono riuscito a stare dietro alle tre trilogie e a tutti gli spin off che continuano a uscire a riguardo, la volontà di eliminare la sporcizia, ma al tempo stesso di indicarla e metterla in evidenza, questo anche uno dei miei quattro figli decide che è necessario mettersi a mangiare un biscotto dopo cena e lo fa in piedi, sbriciolandolo laddove sono appena passato e ripassato, provando da solo a salvare il mondo, o almeno quella porzione di mondo che si trova proprio sotto il tavolo della mia cucina.
Il mestiere del critico musicale, oggi come oggi, mi appare abbastanza simile al passare il Dayson sotto il tavolo della cucina dopo aver cenato. Un continuo provare a pulire qualcosa che in apparenza è pulito, ma nei fatti è pieno di microscopici acari, di briciole invisibili a occhio nudo, ma al tempo stesso, mentre sei lì che pulisci, anche un continuo evidenziare come in fondo di pulito ci sia ben poco. Questo a livello micro, perché è poi evidente che in certi casi ti trovi di fronte agli ecomostri, così mi piace chiamare certi obbrobri che incontrovertibilmente rovinano il paesaggio sonoro, e in quel caso non è certo con un’aspirapolvere che puoi risolvere qualcosa, devi lavorare di wrecking ball e di esplosivi, sperando di lasciare meno macerie possibili, così da poter ipotizzare poi di ripristinare un panorama gradevole se non addirittura bello.
Oggi, però, basta un’aspirapolvere, pur con quel vezzo malefico di mostrarci quanto il nostro provare a fare pulizie non sia sufficiente, e quanto quel che abbiamo pulito se ne stia sempre lì, dentro un serbatoio trasparente, sotto il nostro sguardo.
Oggi basta un’aspirapolvere perché spendere troppe energie per abbattere non un ecomostro, ma un bruscolino, sarebbe esagerato, come sparare a un moscerino con un bazooka, infilare guantoni e pantaloncini e portare su un ring un bambino dell’asilo, pronti a combattere. Certo, anche un bruscolino, se ti entra in un occhio, può essere doloroso, a tratti anche pericoloso, ma un bruscolino con un bazooka non lo si potrebbe comunque annientare, quindi tocca portare pazienza a provare a raggiungere anche gli angoli più lontani. Ecco, provate a visualizzarmi nella vostra mente mentre passo il mio Dayson con la luce verde per provare a spazzare via Tutta l’Italia di Gabry Ponte, probabilissima rappresentante di San Marino al prossimo Eurovision Song Contest, forse anche ipotetica vincitrice di Eurovision Song Contest, Dio ci perdoni, e prova provata che i luoghi comuni, quegli stessi luoghi comuni perculati da Tommy Cash in Espresso macchiato, luoghi comuni lì giocati con ironia che così tanto ha fatto arrabbiare certi nostri politici, in realtà tanto luoghi comuni non sono, e soprattutto che dovremmo proprio smetterla di offenderci se gli altri mettono in evidenza certi nostri difetti, e non mi sto certo riferendo a quelli contenuti nel testo dell’artista estone, perché a metterci alla berlina siamo spesso noi stessi. Sentire quella tarantella tamarra, stupisce che l’abbia scritta e cantata Andrea Bonomo, tarantella tamarra prima scartata da Carlo Conti e poi eletta addirittura a sigla dell’ultimo Festival, e sentirsela tutta, dall’inizio alla fine, è un’esperienza che non augurerei neanche al mio peggiori nemico, il corrispettivo sonoro dell’abisso che se lo guardiamo troppo a lungo poi comincia a guardare noi di Nietzche, forse anche peggio. Che sciabolate di luci verdi siano.