Maria Chindamo, “uccisa e data in pasto ai maiali”: caso risolto nella retata della Dda

Caso risolto: arrestato il killer dell’imprenditrice calabrese Maria Chindamo, scomparsa il 6 maggio del 2016

L’imprenditrice calabrese Maria Chindamo è sparita dal 6 maggio del 2016 a Limbadi, Vibo Valentia. Per lei, dopo le foto pubblicate sui social col nuovo compagno, era scattata la ‘sentenza’ della cosca. Per il suo delitto è stato arrestato Salvatore Ascone, appartenente alla cosca Mancuso, che prima ha manipolato il sistema di videosorveglianza della villa, agevolando il sequestro della donna e poi l’ha uccisa, insieme a due complici: uno dei due ormai deceduto.

Maria sarebbe stata “colpevole” di essersi rifatta una vita, dopo il suicidio del marito, avvenuto un anno prima. Così è emerso dall’inchiesta “Maestrale-Carthago” contro le cosche del Vibonese. Inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che ha portato all’arresto di 81 persone.

La ‘ndrina inoltre era anche interessata alla tenuta agricola di Limbadi appartenente all’imprenditrice 42enne.

Un omicidio crudele, terribile: il suo corpo è stato dato in pasto ai maiali e i resti triturati dalla fresa di un trattore. La donna è scomparsa proprio nel giorno dell’anniversario della morte del marito. Il marito di Maria si era suicidato dopo essere stato lasciato dall’imprenditrice. Si chiamava Ferdinando Punturiero, “impiccatosi pochi giorni dopo che la coppia aveva deciso di separarsi, nel 2015.

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“Una circostanza che sul momento aveva fatto pensare agli inquirenti a una ritorsione da parte dei parenti del marito nei confronti della donna” – questo riporta Il Corriere della Sera in un articolo del 6 gennaio 2021, aggiungendo: “La pista non portò, però, a nessun risultato. Diverse lettere anonime fatte recapitare in questi anni all’avvocato Nicodemo Gentile, legale della famiglia, e a un sacerdote della zona, indicavano circostanze e personaggi che avrebbero potuto avere avuto un ruolo nella sparizione della donna. Le rivelazioni del collaboratore di giustizia Antonio Cossidente aprono oggi un nuovo scenario sulla morte dell’imprenditrice”. In più, l’articolo su menzionato riferisce: “È stato il collaboratore di giustizia Antonio Cossidente, ex componente del clan dei Basilischi a rivelare particolari, sino a oggi inediti, sulla morte dell’imprenditrice. Cossidente lo scorso febbraio ha riferito ai magistrati della procura distrettuale di Catanzaro di aver saputo da Emanuele Mancuso, esponente di spicco dell’omonimo clan di Limbadi, anche lui collaboratore di giustizia con il quale condivideva la cella nel carcere di Melfi, che Maria Chindamo sarebbe stata uccisa per punizione perché non voleva cedere i suoi terreni”.

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