Artemisia Gentileschi e la sua capacità di sopravvivere a un’esplosione

Ormai è noto a tutti la capacità degli scarafaggi di sopravvivere un po’ a tutto, un po’ ovunque, alle radiazioni, senza acqua e cibo, e addirittura, riescono a vivere senza la testa, insomma sicuramente attribuirei a loro il concetto di resilienza.

Un altro essere vivente a cui avrei attribuito il concetto di resilienza è sicuramente Artemisia Gentileschi, artista illustre del 1600.

Però per spiegarvi il motivo vi devo catapultare indietro nel 2020, il 4 agosto per precisione, a Beirut.

Se dico agosto 2020 e Beirut probabilmente a tutti verrà in mente l’esplosione che c’è stata e che ha provocato oltre 200 morti e migliaia di feriti e altrettanti edifici distrutti, ma tra tutti quei detriti c’era anche qualcosa di speciale a nascondersi.

Un quadro che è stato dimenticato per secoli, lasciato appeso a Palazzo Sursock, senza nessuna etichetta, senza nessun nome.

Nessuno prima dell’esplosione l’aveva mai studiato, ma subito dopo la tela fu trasportata a Los Angeles, al Getty Museum, per un restauro, dove venne finalmente analizzata la sua origine, Artemisia Gentileschi.

Un quadro che rappresenta Ercole ai piedi di una regina, come sempre con la chiave di rivalsa e forza femminista che Artemisia ha sempre portato nei suoi racconti su tela.

E non fu l’unico quadro di Artemisia a sopravvivere all’esposizione, anche Napoli accolse un suo dipinto, “La Maddalena Penitente”.

Artemisia è stata un esempio in vita di resilienza, sopravvissuta a uno stupro, sopravvissuta a uno dei primi processi per stupro, sopravvissuta a un padre opprimente, e sopravvissuta a un lavoro considerato da uomini, in un mondo di uomini, riuscendosi a ritagliare il suo spazio.

Dopo tutti questi anni, la sua arte ancora vive e racconta storie, e sopravvive, resiste, a catastrofi come esplosioni del calibro di quella di Beirut.

Finalmente il quadro è stato terminato, il restauro è finito, e ha di nuovo la possibilità di essere osservato dal pubblico, questa volta però con un nome a fianco, quello di un’artista che ci dimostra quanto la forza, la determinazione e la tenacia vengano ripagati.

Il quadro sarà parte di una mostra dedicata proprio ad Artemisia Gentileschi, chiamata: “Artemisia’s Strong Women: Rescuing a Masterpiece”, organizzata dal Getty Museum sulle colline di Santa Monica.

Non ci sarà solo “Ercole e Onfale” ma saranno presenti anche “Lucrezia” ( 1627), di proprietà del Getty; “Betsabea” (1636-1637) dal Columbus Museum of Art, una versione di “Susanna e i vecchioni” (1635) della collezione di Dick Wolf e un autoritratto proveniente da una collezione privata.

In un periodo come questo, dove il genocidio in Palestina sembra non avere una fine, dove quelle terre sembrano non avere più una vita, sia per i morti che continuano a salire, sia per gli edifici che sembrano sparire, questa storia mi ha dato speranza, mi ha fatto pensare a quanta bellezza si nasconda nel mondo e a quanta forza ci vuole a sopravvivere.

Mi ha fatto sperare che un domani ci sarà un racconto del genere anche su quelle terre e che ci sarà stato un punto, a una guerra che non sembra avere una fine.

Artemisia anche oggi mi ha lasciato uno spiraglio di bagliore, e con la sua arte è riuscita a insegnarci qualcosa anche da morta, l’arte si nasconde, a volte fra le macerie, ma riesce a illuminare anche nei momenti più critici, un esempio di una resistenza, anche in momenti come questi, in cui sembra impossibile resistere.

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Lucia Monina, nata in Ancona nell'agosto del 2001, è una fotografa e scrittrice, che studia presso l'accademia delle belle arti di Brera, a Milano. Ha esposto le sue fotografie in varie occasioni, tra le quali il punto zero di Sesto, il Lock di Lambrate e il LatoB di Milano. Ha scritto una biografia di Taylor Swift, con Diarkos Editori. Scrive di musica, cinema e arte.

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